Ground zero...
Sono stato a Ground zero, è un buco, un vuoto, un lutto difficile da elaborare.
Gli stessi americani lo hanno cancellato dalle foto della città, sulle mappe il Word Trade Center c'e' ancora, tra le foto dei depliant della
zona bassa le torri sono state cancellate, è rimasto la voce Word Trade Center ma non ci sono in giro foto "dell'assenza", l'immagine di una tragedia non si vende bene.
Hanno circondato il buco con teli verdi, lo nascondono, i visitatori bruciano i teli con gli accendini, fanno buchi per fotografare il buco. Al di là della cinta di grattacieli che ancora circonda la zona i bambini sfilano con gli insegnanti, i più piccoli si tengono alla cordicella guidata dalla maestra, i turisti fanno la fila per Liberty statua, in Battery park la Promenade è affollata, le bancarelle vendono salsicce-hamburger-bevande-vestiti-souvenir, uomini e donne di origine orientale ti invitano per un massaggio sulle loro sedie-lettino, gli uomini di affari intasano il non lontano Financial District, all'ora del lunch per parchi e strade per il mangiare breve, tutti sorridono, come sempre, tutti corrono, come sempre. Altri grattacieli sono in costruzione nel Battery Park City, come pure a Time square, e persino in Columbus circus.
Bandiere ovunque, dai palazzi dei poteri e dalle villette delle sterminate periferie suburbane, sulle auto, perfino su ogni nuovo vagone dei treni.
God bless America scrivono, recitano, cantano, con la mano sul cuore.
Quel buco ripulito dai detriti e dai resti umani -40,000 pezzi non identificati- ha le pareti costellate dalle arterie recise che connettevano il Centro al corpo della città, sembrano buchi neri le numerose linee di treni che passavano lì sotto, così pure buchi neri sono gli acquedotti, le condotte del gas, dei telefoni,
dell'energia elettrica, e migliaia di altri piccoli indecifrabili vasi recisi.
La ferita è aperta e guarda il cielo, non si sa o non si vuole chiuderla.
Ora il mondo intero si prepara alla commemorazione dell'11 settembre.
Lo faranno certamente i familiari e gli amici delle vittime, una partecipazione dolorosa, ricordi, rimpianti, assenze, desideri inappagabili, alcuni avranno trovato la serenità di una nuova vita, altri la cercano ancora, alcuni cercano di dimenticare altri non vogliono dimenticare, alcuni chiedono al loro governo sicurezza, altri aspettano vendetta, altri ancora hanno perdonato.
Lo faranno certamente i poteri, quelli statali, in primo luogo il governo degli Stati Uniti che utilizzerà l'evento per esportare fuori dai suoi confini la crisi della transizione capitalistica che, seppure attanagli tutto il mondo, lì ha l'epicentro, soprattutto lì ha il laboratorio per sperimentare nuove soluzioni. La
guerra all'Irak, certamente, ma non sarà una cosa semplice perchè la sperimentazione di una nuova forma di potere mondiale comporta la
responsabilità morale di un'azione ritenuta giusta dalla maggioranza del mondo, loro non possono più andare in guerra per se, devono fare guerre rappresentabili come utili per la pace del mondo, essi devono dimostrare di essere in grado di trovare una strada condivisibile per decidere chi, dove e come punire; poi devono anche dimostrare che hanno il potere di applicare le decisioni prese. Lo scontro nell'amministrazione americana tra le 2 politiche, quella dell'orto di casa e quella della grande missione della costruzione dell'Impero mondiale, pare essersi risolta a favore dell'intervento militare comunque, anche se isolato.
Il problema rimane: bruciare il cammino della storia ed andare in guerra solo per esportare la crisi - come ha sempre fatto il tradizionale imperialismo-, oppure fare il grande salto del consenso mondiale?
Oppure il conflitto tra le 2 politiche e' stato risolto perche' si pensa di aver trovato l'audace e pericolosa strada della Costituzione del nuovo ordine come prodotto dello slancio di un unico vecchio stato-nazione, anche se il piu' moderno, anche se il piu' imperiale degli stati in disfacimento, vale a dire gli Stati Uniti d'America?
L'11 settembre da questo punto di vista sicuramente rappresenta un'accelerazione, il ground zero oggi è pura metafora, la tabula rasa da cui partire per il nuovo mondo.
Ground zero qualcuno lo interpreta come il vuoto che sta al centro del mondo, la globalizzazione del mercato, il nuovo mondo che sta nascendo non ha un centro, è una struttura diffusa, distribuita, è un vuoto, è un'identità non identificabile.
Qualcun altro lo utilizza per ricordare che non è l'unico buco del mondo, che la tragedia è un male diffuso, che prende il nome di AIDS laddove intere
città ogni anno scompaiono falciate dal male -che i poveri non comprendono e non possono curare-, che prende il nome di fame, di sete, di malaria, di
sterminate bidonville che tra pochi anni ospiteranno il 60% di tutta l'umanità.
La povertà è un buco nero anche nelle foto dei satelliti che riprendono il mondo di notte, perché la povertà non può permettersi grandi consumi di energia.
Ground zero per qualcun altro è la tabula rasa proposta dall'universo dei diseredati, dagli uomini che non hanno che da perdere le catene, questo universo sferra l'attacco al Centro del mondo. L'11 settembre le periferie del mondo hanno attaccato il centro, ne hanno inteso tagliare la testa, vogliono dire che non può nascere niente di nuovo senza che prima qualcosa muoia. Questo qualcosa che deve morire gli intellettuali lo chiamano modernismo, il terzo mondo lo chiama colonialismo, l'Islam lo chiama occidentalismo, i poveri lo chiamano sfruttamento.
C'e' convergenza da tutto il mondo per la fine del vecchio centro, una convergenza pericolosa in quanto non fondata su un piattaforma comune, una
convergenza quindi solo distruttiva, a volte cieca intollerabile violenza.
Il mondo che sta per nascere non avrà più le sembianze di quello coloniale e dell'imperialismo, stati-nazione ricchi e pseudostati-nazione poveri,
esso si presenterà con la ricchezza e la povertà distribuite egualmente in tutte le parti del mondo, non ci saranno stati che contano e altri che
non contano perché tutti gli stati non conteranno piu', anzi si dissolveranno, come non ci saranno popoli, al loro posto moltitudini sradicate, a cui si cerchera' di impedire la creazione di "pericolosa" soggettività collettiva.
Dove sta nascendo il nuovo mondo?
Sta nascendo dentro il moto perpetuo, nei luoghi e nelle persone che in esso sono sempre più coinvolti.
I luoghi dove da tempo si costruisce questa nuova condizione antropologica sono innumerevoli, alcuni operano da sempre -si sono solo moltiplicati esponenzialmente-, altri sono propri del XX secolo, altri ancora lo diventeranno in questo XXI, sono i porti, gli alberghi, gli aeroporti, le stazioni dei treni e quelle degli autobus, sono i vettori stessi, navi, aerei, treni, autobus, autotreni, sono le reti telematiche, i nodi approdi delle reti, sono gli espianti e i trapianti, sono le contaminazioni cyborg uomo-animale-macchina, sono i movimenti tettonici, i movimenti energetici, gli animali migratori, sono le strade, le autostrade, le strade ferrate, i cavi che trasportano energie -elettriche o organizzate come informazioni-, sono le pipeline, le onde elettromagnetiche, sono tutti i moti della nostra persona i flussi dei plasmi, i flussi nervosi, i flussi di pensiero fino al moto delle particelle infinitesimali che negli immensi spazi vuoti corrono e tengono insieme il nostro corpo, la nostra identità; la nostra identità è un equilibrio dinamico sottoposto a migliaia di modifiche quotidiane.
Il tentativo di ingabbiare tutto questo, lo sforzo per rappresentarci fermi, inflessibili, certi, determinati, definiti dentro una forma, un confine può essere
ammirevole ma in realtà disperante e paranoico.
Ma l'umanità ricca è angosciata dal movimento che è vissuto come destabilizzazione, possibilità di perdere certezze, sicurezza economica, sociale, culturale.
E per umanità ricca non si intende solo i ricchi ricchi ma anche molti "poveri dei paesi ricchi" che si percepisco come ricchi, forse rispetto agli immigrati, forse rispetto ai paesi poveri, forse solo perché questa è l'immagine di se che i mass media costruiscono-restituiscono loro.
E' questo che la destra rappresenta.
La destra gioca nella transizione in atto un ruolo doppio: è alleata fedele esecutrice delle necessita' del capitale che anima, gestisce, sfrutta i movimenti globali della forza lavoro, mentre dall'altra, attraverso i mass media alimenta un certo tipo di paura, in modo che non si individuino le vere cause e i veri responsabili, i quali devono poter lavorare indisturbati. E' per questo che si alimenta il circuito paura dei diversi - promessa di barriere tra gli stati, le regioni, i quartieri della stessa città, tra le persone, i sessi, le religioni, le ideologie, le condizioni economiche, le professioni........
La destra ha assunto che quest'uomo individuo-individualista è debole, anzi spesso non è, e percio' gioca nel circuito: distruzione di soggettività-debolezza-alimentare paura-proporre soluzioni alla paura alimentata.
E' su queste paure del profondo che si mantengono i poteri, è sulle paure che agiscono le destre di tutto il mondo, è a queste paure che bisogna dare altre risposte, un altro futuro che fa scattare il coraggio della liberazione.
In realta' queste barriere che la destra fa finta di erigere non possono tenere, anzi non devono tenere perche' esse sono un ostacolo al processo in atto.
E' incredibile come in occidente questo gioco funzioni, ad uno ad uno i popoli degli stati-nazione si rivolgono alle destre politiche per creare barriere proprio mentre queste stanno realizzando l'abbattimento di tutte le barriere, compresa la fine dello stato-nazione.
Si perche' Il nuovo mondo sta nascendo innanzitutto nei Consigli di Amministrazione delle multinazionali, sta anche nascendo nei centri di ricerca finanziati dai poteri economici per analizzare, progettare, organizzare, dirigere la globalizzazione dei loro affari, sta nascendo sotto la forte spinta del FMI, della Banca Mondiale, del WTO, il fine è la globalizzazione del mercato mondiale, la globalizzazione dei modi di produzione.
Si perché il capitalismo ha bisogno di libere frontiere, di eliminare qualsiasi pregiudizio, di poter contare su tutti, su tutte le immense moltitudini di persone pronte a entrare in produzione, pronte a spostarsi in qualsiasi parte del mondo ce ne fosse bisogno, pronte a cambiare lavoro, professionalità, soggettività, identità.
E noi?
Ci opponiamo?
Ma a che ci opponiamo?
Non abbiamo da sempre auspicato l'abbattimento di tutte le barriere, non siamo per la libera circolazione di tutti gli individui della terra, per i
diritti di cittadinanza uguali per tutto il mondo?
Ground zero allora è davvero "tabula rasa" per tutti.
Lo e' per Bush, per il G8, per FMI, per la BM, il WTO, per i grandi trust transnazionali: accelerare il processo di globalizzazione, accelerare il processo di "Costituzione" del nuovo ordine mondiale,
Ma lo e' anche per noi che amiamo l'uomo, la sua centralita', la sua liberta'.
Perché?
Perche' o costruiamo la nostra idea di libero mondo unito, o costruiamo i nostri strumenti di rappresentanza e di lotta per la "Costituzione del nuovo mondo", o questa nasce senza il nostro "punto di vista". La realizzeranno solo loro, sara' a loro immagine e somiglianza, uomini-nodi di rete a contrattazione individualizzata, privi di qualsiasi potere e diversità, privi del potere di costruire identità collettive che non siano funzionali allo sviluppo mantenimento della macchina universale. Agire in condizioni del genere sara' molto duro, praticamente impossibile.
La storia e' finita si diceva una decina di anni fa, no, la vogliono finita, si auspicano finita, ma e' solo finita una storia per lasciare il posto ad un altra.
Siamo costretti ad esserne protagonisti...
(continua)
Catanzaro Francesco Paolo - 08-09-2002
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L'articolo di Limoncello è chiaro ed efficace.A completamento delle sue riflessioni propongo una mia composizione sull'11 settembre.
11 settembre
Neri presagi
gravano sui ritmi metropolitani,
realtà misteriose
dove s’innalzano
civici meccanismi
nell’ora dell’attesa, dell’apertura uffici,
tra un cornetto o un cappuccino
una cola o un hot –dog
consumati sul panoramico ristorantino
ad un passo dal cielo newyorkese.
E pensare
che in quel frammento
in una normale e tiepida
mattina settembrina,
routine appena uscita
dalle estive calure meteorologiche,
asfissianti barlumi tecnologici
in un tempo di globalizzazione del business
tra indici di borsa e previsioni indicizzate.
Schegge di vita, vita in frammenti
come indifferenze istituzionalizzate
nella necessità dell’ipocrita normalità
sotto l’occhio osservatore del capitalismo criminale
sulla torre più alta di Manhattan.
Forse il sole s’era attardato ad uscire
e giocava a nascondersi fra le nubi
intossicate dallo smog metropolitano
quando dal cielo
uccello impazzito
acciaio affusolato
nel cuore carico di passeggeri
e dirottatori
si lancia sopra la prima torre gemella
e grida
e stupore
ed impotenza a capire
a razionalizzare un’azione
che non ha logica
né umana né divina
ma farneticazione
odio
sangue
sadismo
integralismo
fanatismo esasperato.
Superavano i crolli
Le grida di donne, bambini,
uomini
ricchi
poveri
cristiani
ebrei
ortodossi
islamici
atei
americani
stranieri
grida di disperazione
e chiamate telefoniche
testamenti sms
registrazioni in segreteria
“ aiuto, moriamo”
“ ti ho sempre voluto bene”
“ abbi cura dei nostri figli”.
Il crollo della prima torre
che inghiotte i fruitori dei cento piani
ed i soccorritori eroi
vigili del fuoco
disintegrati
mentre si accingono
a salvare i feriti.
E fu il crollo della seconda torre
colpita da un altro uccello d’acciaio
che non può essere detto maledetto
perché carico di uomini prigionieri
del farneticante fondamentalismo islamico,
uccelli strumenti di strage.
Da quell’11 settembre
non siamo più gli stessi.
Piangiamo
ridiamo
facciamo all’amore
in altro modo.
Non siamo più gli stessi
sulla faccia di questa terra
preoccupati per l’odio da sconfiggere
e per il trionfo
della pace e della vita.
Cadan 2002
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