Ubaldo Chiarotti - 26-10-2008 |
Prova ad insegnare in una classe del biennio delle superiori con 14 ragazzi extracomunitari su 18 totali di almeno 5 etnie diverse, la maggioranza dei quali non conodce l'italiano e non riconosce la parità dei diritti fra uomo e donna e quindi rifiuta l'insegnante donna, poi dimmi se non ci sarebbe bisogno di classi di ACCOGLIENZA, non classi differenziate dove insegnare a questi ragazzi per un anno (e solo per un anno) la lingua e gli usi e costumi; il vivere civile del paese che li ospita e poi inserirli nelle classi comuni come tutti gli altri studenti, ma ora con la possibilità di misurarsi quasi alla pari con gli altri coetanei. Io penso che questo non possa chiamarsi razzismo ma semplicemente accoglienza civile, solo che per fare questo servono fondi ed investimenti (per esempio quel famoso organico funzionale di berlingueriana memoria). Penso anche che buttare questi ragazzi in competizione con i coetanei del paese che li ospita senza che essi ne abbiano le stesse preparazioni di base ci porti spesso vicino alla ghettizzazione degli stessi oppure alla ghettizzazione dei ragazzi italiani che si trovano come nel caso sopracitato in quella classe di 14 su 18 vedendo ampiamente compromesso il loro diritto allo studio in quanto in quella classe non potrà mai essere svolto un normale programma di studio. |
Cosimo De Nitto - 27-10-2008 |
Gentile Ubaldo Chiarotti, mi sembra di essere stato chiaro ed esplicito che un conto è l'integrazione a 5 anni altro è a 15. Mi sembrerebbe offensivo stare a illustrare le differenze a chi capisce di psicologia dell’età evolutiva. Non si può fare una legge che stabilisca una soluzione per tutte le fasce d’età, una unica soluzione per problemi molto diversi tra loro. Altro punto affermato è che non si può fare una legge né per le 2 (dico due) classi dell'on. Cota a Novara, mi pare nella scuola primaria, né per la classe cui fa riferimento lei, perché sono casi così specifici e diversi la cui storia andrebbe analizzata e verificata nel dettaglio, soprattutto con le scuole nelle quali si sono registrati questi fenomeni e particolarmente con dirigenti scolastici, collegi dei docenti che stabiliscono i criteri, commissioni che lavorano alla formazione delle classi. Fra l’altro nella stragrande maggioranza dei casi le scuole e i docenti risolvono i problemi anche con le poche risorse a disposizione. Comunque questi dettagli rientrano nelle scelte che una scuola fa nel pieno dell'esercizio della sua autonomia costituzionalmente riconosciuta dalla legge. E' la scuola che, tra le varie scelte, stabilisce i criteri di formazione delle classi. I criteri sono di natura pedagogica e didattica, non di altra natura, compresa quella razziale, etnica, religiosa, ecc., e solo i docenti, con la loro competenza, sono in grado ed hanno la responsabilità di fissare. Altra confusione che spesso si fa è quella tra accoglienza, inserimento, decondizionamento culturale e linguistico, integrazione. Non si può fare di tutte le erbe un fascio, fare propaganda di qualsiasi tipo sulle diversità etniche, razziali, religiose, culturali, semplificare ciò che non è semplificabile, trattandosi di processi diversi che bisogna identificare, definire e trattare con diverse strategie e interventi didattici specifici. Per esempio, le Istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado quando analizzeranno la situazione delle classi, per far raggiungere a tutti gli alunni gli obiettivi didattici fissati, ricorreranno agli interventi didattici educativi Integrativi IDEI (legge n. 448/98), interventi che hanno l'obiettivo di permettere il recupero o il sostegno degli studenti in difficoltà, mediante l'attivazione, all'interno dei curricoli, di attività di compensazione e recupero. Quando si parla di studenti in difficoltà ci si riferisce a TUTTI gli studenti indiscriminatamente, indipendentemente da razza, etnia, religione, paese di provenienza ecc. In questo contesto, senza classi ponte-inserimento-accoglienza, o in qualsiasi modo le si voglia chiamare, i problemi da lei sollevati possono trovare soluzione, senza pregiudicare i principi costituzionali. Tralascio, per esigenza di brevità, il problema della conoscenza linguistica richiamando solo, e ancora una volta, la diversità dei processi di apprendimento della lingua a 5 anni e a 15. Anche qui soluzione unica per problemi diversi non è possibile. Non mi pare né serio né efficace. Quindi gli strumenti normativi per risolvere i problemi, che nessuno ignora o sottovaluta, a partire da chi nella scuola lavora e fatica, ci sono. Le difficoltà per le scuole sono derivate non dalla mancanza di classi ponte, ma dalla mancanza di risorse, proprio quelle che il governo fa venire meno con i tagli indiscriminati ed ingiustificati di oltre 8 miliardi che docenti, genitori, studenti, associazioni, sindacati ecc. contestano in questi giorni. A ragione. |