Berlusconi può anche far ridere
Giuseppe Aragno - 07-06-2008
Leggo attentamente ciò che si scrive con malcelato compiacimento sull'intento del governo di giungere rapidamente ad uno "stato d'eccezione". La "democrazia totalitaria" che da tempo vedo profilarsi nitidamente all'orizzonte mi conduce con angoscia a Karl Schmitt, giurista, filosofo della politica e nazista convinto, e mi turba il sonno con i suoi terribili grovigli. Se non sei un "democratico" convinto - e io non lo sono, perché più passa il tempo, più la democrazia mi appare solo un funesto raggiro - come spieghi a te stesso il disagio per una crisi che ha i caratteri di un'emergenza democratica? Che disagio è mai questo, se tu democratico non sei e hai per giunta in sospetto ciò che si nasconde dietro la formula vaga del "totalitarismo"? Hannah Arendt, Raymond Aron e peggio ancora Nolte, ma più in generale gli storici, ne hanno fatto una "categoria" buona per le più avventurose generalizzazioni. Certo, lo storico procede spesso per comparazioni, ma tutto ha un limite e, se si mette la stessa etichetta al fascismo, al nazismo ed al bolscevismo, è chiaro che si stanno usando le affinità solo per cancellare le differenze. Se totalitaria diventa addirittura la democrazia, a me pare chiaro: è tempo di guardarsi seriamente attorno. Potremmo scoprire così non solo che aveva ragione Brecht e "il ventre che generò la bestia immonda è ancora fertile", ma che c'è chi ha centrato il tiro e l'ha ingravidato. Mentre l'idiozia benpensante è scesa sul piede di guerra levando la bandiera del male assoluto che non si ripete, sotto occhi che non vogliono e non sanno vedere il parto s'è rinnovato e la commedia italiana evolve in tragedia: non solo abbiamo un sovrano, ma la sua dichiarazione dello "stato d'eccezione" va ben oltre la questione apparentemente napolatana della spazzatura. Io non credo, però, che tutte le vacche siano bianche e se pure Machiavelli ha ragione, se è vero che "non si governa senza crimine", non meno vero è che, quando la democrazia non si marita con la dittatura per diventare madre di un mostro, molti tra noi, a vederla morire, sentono che prima o poi saranno costretti a rimpiangerla. Certo, ogni Stato anche quello più laicista, come la Francia e la Turchia di Ataturk, ha un gene teologico monoteista e una vocazione "colpevolista". Meglio però, molto meglio, la Turchia di Ataturk che quella fondamentalista, meglio la Francia di Mitterand che offriva asilo a chi lo chiedeva, che quella neoliberista di Chirac e Sarkozy, che viola i patti e consegna alle nostre prigioni speciali coloro ai quali era stato promesso un asilo.
Qui da noi, d'altra parte, in tema di "stato d'eccezione", c'è una tradizione così antica e radicata che l'eccezione può sembrare regola. Con l'eccezione Crispi massacrò i contadini siciliani al tempo dei "fasci" e, a Napoli, nel maggio del '98, Rudinì accampò la cavalleria in piazza Nicola Amore, solo perché un manipolo di scugnizzi aveva rovesciato davanti ai negozi i cesti del pane salito alle stelle. In quanto ai "tempi nostri", non fu propriamente "stato d'eccezione", ma nel 1975 Aldo Moro fece passare la "legge Reale" che diede alle forze dell'ordine licenza d'uccidere e, a sentire chi queste cose le ha studiate, 15 anni dopo eravamo già oltre i 600 morti ammazzati. Una volta, la sola che pareva servisse, quando gli squadristi recitarono da guitti la pantomima della rivoluzione, Facta tremò e il re non volle firmare.
Sia come sia, è vero: se una repubblica trova un sovrano e quello si mette ad evocare la necessità dello "stato d'eccezione", c'è poco da stare allegri, la situazione è seria e il futuro non promette bene. I rivoluzionari guidati da Grillo possono anche ridere perché il sovrano è nano e, quando parla, è un psicodramma, ma le cose si mettono sicuramente male.
I ragazzi che lottano a Chiaiano quasi certamente non sanno quant'è pericoloso il diritto e che rapporto perverso c'è, di fatto, tra l'arbitrio e l'uso legale della forza che tocca allo Stato in quanto espressione concreta dell'astratto potere che deriva dal diritto. Un potere disumano, che decide a priori la norma, la sua efficacia e i suoi limiti. Un potere che alla norma chiede di conseguire soprattutto uno scopo: concorrere a mantenere l'ordine. Può accadere, però, è paradossale ma succede, che l'uso della norma contribuisca a creare e a legittimare il disordine. "Tu non puoi avvelenarci, la legge te lo impedisce", urlano al governo davanti alle discariche i manifestanti. E' il caso atipico e insolito in cui la legge invocata difende un diritto, ma produce uno stallo. Così la spazzatura aumenta, il problema si fa insolubile e il sistema entra in sofferenza. Prima o poi, in nome del diritto alla tutela immediata della salute, si affermerà il bisogno di sospendere i diritti.
Io lo vedo e i più avvertiti lo sanno: ormai "la normatività è impotente" e non c'è governo che possa evitare di scegliere. Occorre sospendere la "normalità". E sono tutti d'accordo. Napolitano, che sta al suo posto per tutelare quella Costituzione che è pronto a cancellare, Veltroni, che può sopravvivere solo se si accorda col sovrano per fare con lui le riforme istituzionali, gli Enti locali, che non sanno che pesci pigliare, la gente che ti guarda con odio e ti domanda: ma allora che proponi?
In quanto ai giudici, la loro risibile opposizione è quella di un potere che si sente leso: che fine farà l'autonomia dei magistrati - e la loro infinita arroganza - se lo "Stato d'eccezione" si consente il lusso di esautorarli? La loro protesta non nasce dall'amore per la libertà, ma dal bisogno di ricollocarsi, patteggiando miseramente col governo. Trovategli un Tribunale speciale, fategli una normativa eccezionale che gli restituisca un ruolo, tranquillizzateli sul loro futuro di ceto privilegiato e si metteranno cheti.
Berlusconi può anche far ridere quando afferma che le leggi si fanno per far vivere meglio i cittadini. E tuttavia, con quali strumenti puoi negare la terribile verità del suo assunto? Con estrema rozzezza, ma con innegabile efficacia, il sovrano afferma ciò che ogni dissidente capisce e teme: l'ordine costruito non sopporta nemmeno se stesso, se produce disordine. Figurarsi le minoranze "sovverisive" che, anche solo pensando, si collocano fuori dei fini del diritto positivo. Quel diritto che, solo, giudica se stesso. Berlusconi - e con lui naturalmente anche Veltroni - sa, sente che una sospensione della "normalità" sarebbe salutata con sollievo dalla maggioranza dei cittadini che non vuole sentir più parlare di spazzatura, tutele, garanzie e presunzione d'innocenza. La gente ormai vuole - e Berlusconi lo sa bene - che ogni reato abbia un colpevole a qualunque costo, anche a rischio di mettere dentro un innocente. E' questa la domanda che sale dal basso, profonda e sconvolgente: basta con impacci e impicci legalitari. Lo "stato d'eccezione" è ormai nelle coscienze obnubilate, prima ancora che nella necessità delle cose. Così passa la scelta della guerra, persino per chi s'era detto pacifista, così si accetta il "terrorista" torturato a Guantanamo, così si guarda con speranza al carro armato dove lo Stato si confonde con la malavita, così si spera processare gli insegnati se la scuola non funziona, così si invoca il licenziamento dei "fannulloni", la messa al bando dello Statuto dei lavoratori, la mano libera, la tolleranza zero.
E' dal settembre del 2001 che la semina dei bisogni indotti ha avuto per obiettivo un solo raccolto: la spontanea abdicazione ai diritti, la richiesta dello stato d'emergenza per uscire da un'emergenza "virtuale" che ha preso il posto del reale. La fiction televisiva dell'attacco alle Twin Towers - apoteosi del diritto che si esprime nelle forme del potere virtuale - ha aperto l'attacco alla sopravvivenza dell'intelligenza critica.
E' da tempo che spesso mi viene in mente la bella figura d'un vecchio rivoluzionario. Errico Malatesta, malato e praticamente sepolto vivo, come un animale feroce, a Roma, in via Doria, dove oggi poche parole incise sul marmo lo ricordano a chi ancora ha cuore libero. "Abbiamo alla porta sei guardie, notte e giorno - ebbe a dire alla fine della sua vita - quattro per me, uno per Elena e l'altro per Gemma. Non mi toccano, ma mi rendono la vita insopportabile".
Da giovane aveva scritto: "Se la democrazia potesse essere altro che un mezzo di ingannare il popolo, la borghesia, minacciata nei suoi interessi, si preparerebbe alla rivolta e si servirebbe di tutta la forza e di tutta l'influenza che le sono date dal possesso della ricchezza, per ricordare al governo la sua funzione di semplice gendarme al suo servizio."
Non aveva torto, eppure la finzione democratica, per essere credibile, prevede una serie di garanzie che aiutano ad accettare la fatica di vivere. Solo quando la finzione cessò, Malatesta sentì la vita farsi insopportabile. Non è cosa da poco. Sui suoi pensieri spesso mi fermo. C'è una sua riflessione che mi ha sempre colpito profondamente: "Qualunque sia la barbarie degli altri, spetta a noi [...] uomini di progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell'umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà". La "sospensione della normalità", così come si profila ormai chiaramente all'orizzonte, è una di quelle mostruosità del diritto che pongono inevitabilmente alla coscienza il tema della violenza. E questo mi inquieta molto.

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 Loffredo Bruno    - 12-06-2008
Non sono un uomo di cultura quindi non riesco a commentare nella stessa maniera l'articolo menzionato. Sono "l'unità di popolo" con una cultura scolastica e di vita che sicuramente oggi vale più di un libro di filosofia politica spicciola. Mi reputo democratico e rispettoso delle leggi del mio paese, aborro le dittature sotto qualsiasi forma e di qualsiasi colore, ma nella stessa maniera aborro il lassismo dei sistemi 'democratici' o pseudo tali. Il diritto di una "unità di popolo" dovrebbe essere pari a quello del 'Gerarca' che oggi si chiama 'Deputato' e fintanto ciò nopn avverrà, non ci sarà mai democrazia, è solo una illusione....