Appello degli intellettuali: sono d'accordo però...
Rosanna Vittori - 29-03-2008
"La storia è diventata lo studio degli indicatori temporali...".
Ebbene, consentitemi, esimi colleghi: c'è nel vostro appello - che condivido nella sostanza - un po' di qualunquismo.
Condivido l'esigenza di recuperare rigore e impegno nella scuola, di ridare valore alla conoscenza come fattore imprescindibile di sviluppo. Non condivido alcune cose che dite, che rivelano scarsa conoscenza della scuola. Ad esempio il tema del "sei politico": mi pare roba vecchia e dismessa da tempo; il fatto che "si perdona tutto"..."nove milioni di impreparati" promossi lo stesso. E' vero, sono stati una triste realtà che la scuola sta oggi superando, con infinite difficoltà (organizzative). Questo insieme all'altrettanto grave fatto relativo alla maturità - che avete misteriosamente taciuto - meritano un'analisi più approfondita. Per alcuni anni gli esami di maturità sono stati degradati a non essere più "di stato" e la commissione esaminatrice è stata composta, in quegli stessi anni, da soli docenti interni. Molti pensarono allora che tanto la scellerata decisione di non esigere il recupero dei debiti e di promuovere col "sei rosso", quanto quella di declassare la maturità, fossero motivate da ragioni di cassa. Oggi, visti i risultati, possiamo dire che chi prese quelle decisioni, soprattutto se lo fece per ragioni di cassa, fece una scelta politicamente aberrante, legata ad una visione della società in cui la conoscenza è un valore marginale. Quindi è da deprecare quel politico ed è bene che l'elettore che crede ancora nella scuola e si reca alle urne, ne rammenti il nome. Quanto alla scuola primaria italiana sulla quale ironizzate, credo che se facciamo un'indagine comparativa, resti ancora una delle migliori e delle più capaci di innovarsi.
Mi preoccupate un po' quando parlate di quell' "ipocrisia della cultura egualitarista": forse ho capito male, nel caso me ne scuso anticipatamente. A me viene in mente l'art. 3 della costituzione che garantisce uguaglianza per tutti i cittadini e don Milani che lo metteva cristianamente in atto nella sua scuola. Oggi, in questo tempo di inquietante rampantismo, il valore dell'uguaglianza piace molto meno di allora, ma ciò basta a giustificarne il rifiuto? Perdonatemi, ma io difendo l'uguaglianza e proprio per questo non la confondo con la prassi di chi "chiede poco", perché è con quella che si promuove la disuguaglianza. Una scuola che si arrende rinunciataria all'individualismo dilagante e propone la selezione quale panacea contro la mediocrità, insomma antidemocratica, non mi piace. Mi fa paura il mito della selezione (una parola che sa di Norimberga). Vorrei, invece, il riconoscimento della professionalità dei docenti, professione seria che impone competenza, innovazione, capacità di orientare e riorientare e qui si che c'è da attivare la meritocrazia (merito non può essere l'anzianità...). Riscontro, infine, un difetto: manca la collocazione del discorso sulla scuola nel quadro dell'attuale complessità sociale, dei valori attuali, tra i quali, ahimè, scarseggia quello della conoscenza. Questo difetto di metodo, ma a mio modesto giudizio, rivela un approccio contaminato da un pregiudizio piuttosto diffuso: che la scuola sia la principale resposabile del degrado culturale di questo paese (e fosse solo questo il paese degradato!), dunque anche del suo degrado morale e civile. Senza sottrarre alcuna delle responsabilità alla scuola, ritengo opportuna un'analisi più articolata. Sarà necessaria al prossimo governo. Dovrà essere fatta in fretta per cercare di contrastare il declino. Come sarà necessario che il nuovo parlamento e il governo decidano - e non solo in materia di scuola - con chiarezza e determinazione.

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 Giuseppe Aragno    - 29-03-2008
Nulla da aggiungere alle ragioni perfettamente sostenute nell’articolo. Una piccola chiosa sui firmatari dell'appello. Chi sono? Giorgio De Rienzo, che all’Università ha insegnato Letteratura italiana moderna; Giovanni Belardelli associato in Storia del pensiero politico contemporaneo a Perugia; Giulio Ferroni ordinario di storia della letteratura italiana alla Sapienza; Ernesto Galli della Loggia ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Facoltà di cui ha ricoperto per due anni la carica di Preside; Giorgio Israel, ordinario presso il Dipartimento di Matematica della "Sapienza"; Lucio Russo (che ha tenuto anche corsi di aggiornamento per insegnanti), professore ordinario di matematica all'Università di Roma Tor Vergata; Sergio Givone, ordinario di Estetica nel Dipartimento di Filosofia dell'Università di Firenze; Salvatore Veca, direttore del Centro interdipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale dell'Università di Pavia e Prorettore per la didattica dell'Università di Pavia; Aldo Schiavone, dal 1999 Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze; Gian Luigi Beccaria, ordinario di "Storia della lingua italiana" all'Università di Torino, Remo Bodei, a lungo titolare della cattedra di Storia della filosofia sia presso l'Università di Pisa che la Scuola Normale Superiore della stessa città, e Piero Craveri titolare della cattedra di Storia contemporanea presso l’ateneo Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Intellettuali? Può darsi. Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, esponenti di un mondo in cui la meritocrazia non ha cittadinanza. Il mondo che è all’origine della “fuga dei cervelli”. Non voglio dire “baroni” universitari, ma parte integrante di una realtà tutta italiana, in cui i “baroni” fanno il bello e il cattivo tempo. Gaetano Quagliariello - accademico e uomo di Berlusconi - in un opusculo di cui non condivido le proposte, ma apprezzo il coraggio, riconosce pubblicamente che esiste nell'università una pletora di docenti che - cito testualmente - "hanno vissuto per un quarantennio a sbafo, sulle spalle dello Stato, sottraendo i posti a tanti giovani valorosi delle generazioni successive". [Gaetano Quagliariello, Come evitare il declino dell'Università, Magna Carta Papers, Roma, 2008, p. 6].
Nel sistema formativo nazionale lo scandalo non è la scuola, ma l’Università e trovo quanto meno singolare che siano questi signori a discutere di qualità della formazione nel nostro paese. Peccato davvero che Sartori e Pirani si prestino al gioco.