Scomodare la Verità
Doriana Goracci - 22-06-2007
Stanno diventando molti gli italiani che non bevono e mangiano più menzogne. Come quella che viviamo in pace e non siamo in guerra e non siamo tra i migliori armatori della macelleria internazionale.

Come quella che la democrazia , chiamandosi tale, porta il Benessere e allora sono da applaudire i G8.
Come quella che a Genova c'erano migliaia di pericolosi, da spezzare e magari da azzittire per sempre, come in Piazza Alimonda e alla scuola
Diaz.

Come quella che un ragazzo di nome Federico Aldrovandi è morto per cause naturali.

Come quella che al governo fanno il nostro bene comune, si occupano della nostra sicurezza , a destra e a sinistra. Come quella che siamo benedetti dalla chiesa e dobbiamo dare anche l'altra guancia per farcela schiaffeggiare.

Come quella che se ti chiami donna ti chiami guai e i guai te li devi prendere come a Vicenza. Come quella che l'inferno è in terra ma nel cielo ci aspetta il paradiso.

Come quella che i tribunali garantiscono sempre la giustizia.

Mi riferisco agli ultimi fatti della cronaca italiana: l'ostinazione dolorosa e continua di poche e di tanti ma all'apparenza sempre scarsa, ha mostrato la via, quella dell'Osare, del tentare e tentare.

Rimangono le valanghe di menzogne omertose e congegnate a tavolino, che hanno seppellito i morti, hanno fatto stragi, hanno reso criminali ed emarginati, servi e indifferenti, folle e masse di comuni cittadini, che comunque vogliono vivere.

Allora semplicemente grazie a quelle tante a quei pochi, giovani o anziane, a quelle Persone che non si sono mai fermate, che non hanno voltato con disgusto lo sguardo, che hanno con la loro azione e pensiero esercitato la nostra coscienza critica e lo continuano a fare. Grazie.

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 Repubblica.it    - 21-06-2007
Il capo della Polizia iscritto dopo una testimonianza dell'ex questore Colucci. L'ipotesi di reato è quella di istigazione alla falsa testimonianza

Gianni De Gennaro indagato nell'inchiesta sul G8 di Genova

Il capo della Polizia avrebbe suggerito una sua versione dei fatti della Diaz. Un piano preparato a tavolino per scagionare alcuni dirigenti


GENOVA - Induzione e istigazione alla falsa testimonianza. La recente iscrizione nel registro degli indagati del prefetto Gianni De Gennaro sarebbe legata ad un'indagine aperta nel corso del processo per lo sciagurato blitz nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova. Un'indagine tesa a dimostrare che i vertici della Polizia di Stato si sarebbero messi d'accordo per raccontare in tribunale un'altra "verità", molto più comoda, sulla sanguinaria irruzione del 21 luglio 2001.

Un piano a tavolino per scagionare alcuni e scaricare le colpe sui rimanenti. Le accuse della locale Procura a De Gennaro sono conseguenza del fascicolo per la "falsa testimonianza" di Francesco Colucci, che sei anni fa era questore nel capoluogo ligure.

Lo scorso 3 maggio Colucci era stato interrogato in aula, e di fronte alle domande dei pm era caduto in un'imbarazzante serie di contraddizioni, "non ricordo" e silenzi. Cambiando versione rispetto a quanto dichiarato subito dopo il G8 aveva indirettamente alleggerito la posizione del prefetto, che da Roma sembrava non aver avuto alcun ruolo nell'operazione.

Alcuni giorni più tardi il questore ha ricevuto un avviso di garanzia per le presunte bugie raccontate. Bugie che gli sarebbero state suggerite dallo stesso De Gennaro. Il mese passato i pubblici ministeri avevano in programma di ascoltare anche il capo della polizia sul blitz alla Diaz, ma all'improvviso l'appuntamento in tribunale era saltato. Con il senno di poi, è facile ritenere che non abbiano voluto convocare in pubblico il prefetto perché sarebbero stato costretti a rivelargli che era ufficialmente indagato in un altro procedimento. L'avviso di garanzia gli è comunque arrivato - l'undici giugno - perché gli inquirenti hanno deciso di sentirlo nei loro uffici, assistito da un avvocato: De Gennaro ha chiesto e ottenuto di differire l'incontro a data ancora da destinarsi.

Tutto ruoterebbe intorno alla presenza alla scuola Diaz, quella notte da dimenticare, dell'uomo che allora era l'addetto stampa del capo della polizia: Roberto Sgalla. Interrogato dai pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, nell'ottobre del 2001 Francesco Colucci raccontò che subito dopo aver deciso la perquisizione dell'istituto - e prima ancora di farvi irruzione - ricevette una telefonata da De Gennaro, che durante il vertice non si era mosso da Roma: "Mi disse di avvertire Sgalla". Era mezzanotte, l'addetto stampa a sua volta chiamò giornali e televisioni: c'era aria di arresti, di riscatto. Dopo due giorni di guerriglia urbana le forze dell'ordine volevano dimostrare di avere ripreso in pugno la situazione. E il prefetto coordinava l'operazione.

Interrogato nel dicembre 2002 dalla Procura di Genova, De Gennaro smentisce la versione del questore: "Prendo atto che il dottor Colucci ha riferito che avrei dato disposizioni di avvisare il dottor Sgalla. Credo che ricordi male. Ricordo bene invece che raccomandai il giorno dopo misura, prudenza e sobrietà nel dare notizia sull'evento". Sei anni più tardi, nel corso del processo che vede imputati 25 tra agenti e superpoliziotti, Colucci ci ripensa: "Fui io a chiamare Sgalla: lo giuro davanti a Dio e allo Stato italiano".

Scatta l'iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Poco dopo l'apertura del nuovo fascicolo, ecco il secondo indagato: Gianni De Gennaro, accusato di aver istigato e indotto un suo subalterno a raccontare l'"altra" verità sulla Diaz.

MARCO PREVE e MASSIMO CALANDRI

 Repubblica.it    - 21-06-2007
Ferrara, sono i poliziotti coinvolti nell'arresto e nella morte del diciottenne. La madre del ragazzo ha combattuto per due anni per arrivare alla verità

Caso Aldrovandi, svolta nel processo. Quattro agenti rinviati a giudizio


FERRARA - Sono stati rinviati a giudizio i quattro poliziotti indagati per la morte di Federico Aldrovandi, il 17enne deceduto due anni fa durante un controllo di polizia troppo violento. Sono i quattro agenti, scrive La Nuova Ferrara, (tre uomini e una donna) che la notte del 25 settembre 2005 effettuarono l'intervento nei pressi dell'Ippodromo a Ferrara.

L'accusa per tutti è quella di 'eccesso colposo': di aver cioé ecceduto "i limiti dell'adempimento di un dovere". Un eccesso colposo che ha "cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi" e che ha portato la Procura a richiedere per gli agenti il processo. Un reato per cui, come recita il capo di imputazione, è prevista la stessa pena dell'omicidio colposo (da sei mesi a cinque anni).

La decisione di oggi segna una svolta in una vicenda che, da subito, presentò lati poco chiari. Federico Aldrovandi venne bloccato, il 25 settembre 2005, in mezzo alla strada da una pattuglia di polizia. Un intervento che ,si rese necessario per le ripetute chiamate al 113 che segnalavano la presenza di un giovane in preda ad una crisi di autolesionismo e in stato di agitazione, nei pressi dell'Ippodromo".

Un intervento che finì tragicamente con la morte del ragazzo. La consulenza della procura parlò di una asfissia dovuta ad una concausa legata all'assunzione di droghe e alcool, mentre per i tecnici della famiglia la morte sarebbe stata provocata da una "asfissia posturale", causata dalla compressione toracica cui fu sottoposto dai poliziotti che, praticamente, gli salirono sopra per bloccarlo mentre era steso a terra o contro un'auto. Fu così che la madre di Federico diede via ad una campagna per non far spegnere i riflettori sulla morte del figlio. Aprì un blog. Voleva capire, la donna, il perché delle contusioni rilevate sul corpo del figlio, il motivo della ferita alla testa, del sangue sui vestiti.

E adesso alcune risposte stanno arrivando. Secondo la Procura l'intervento di polizia per immobilizzare il diciottenne è da considerarsi "imprudente", per aver "ingaggiato una colluttazione" con Aldrovandi "eccedendo i limiti del legittimo intervento". E per aver colpevolmente ritardato la chiamata al 118.

La questione rimase a lungo ferma. Poi la svolta. Alla fine di maggio, da una cassaforte della questura saltò fuori il brogliaccio delle chiamate di quel giorno al 113. Ed è stata subito aperta un'inchiesta bis per capire come mai il documento redatto dagli operatori della sala operativa della Questura, la mattina del 25 settembre fu corretto proprio nello spazio in cui venivano riportati i dati dell'intervento eseguito dai quattro agenti delle due pattuglie, oggi accusati dell'eccesso colposo che ha cagionato la morte del ragazzo.


 Beppe Grillo    - 21-06-2007
Ascoltatemi bene: non ce la faccio più a vivere in uno Stato come questo.

In cui un ragazzo di 18 anni, Federico Aldrovandi fermato da quattro poliziotti, picchiato, muore senza motivo. Dopo non si sa nulla, il ragazzo si è ucciso da solo. Il questore e il procuratore della Repubblica non muovono un dito. Due manganelli rotti per spezzare la sua vita. Calci in faccia a terra.

Le pattuglie che hanno fermato Federico erano composte da Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri. Dove sono oggi? Prendono ancora lo stipendio? Quello che pagano i genitori di Federico, che gli paghiamo anche noi, per avere la loro protezione?

La verità non si sarebbe saputa se il ministro degli Interni Giuliano Amato non avesse incontrato il padre di Federico e visto le fotografie del corpo martoriato del figlio. Una settimana dopo il questore Elio Graziano viene trasferito.

Dei documenti sono stati contraffatti. I testimoni, perchè c’erano dei testimoni, hanno taciuto per paura, tranne una signora del Camerun. Onore a lei, signora.
Un appello alla Polizia: non permettete che ci siano altri Federico.

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