Abla e Edna
Emanuela Cerutti - 19-06-2002
Lunedì sera, 17 giugno.
La sala conferenze del teatro Donizetti, a Bergamo, è austera ed elegante.
Tendaggi e poltrone in velluto trattengono il caldo in modo irrespirabile, ma nessuno si lamenta.
Le Donne in Nero hanno organizzato un “incontro di pace”, con Abla Masroujeh, pacifista palestinese di Nablus, sindacalista e coordinatrice del Women Issuese Departement, e Edna Zaretzky, pacifista israeliana di Haifa, presidentessa di I’ha le-I’sha,sociologa e convinta sostenitrice del dialogo come soluzione dei conflitti.
Due donne che appartengono a storie nemiche, drammaticamente inscenate sullo stesso palcoscenico, davanti alle quali provano dolore, rabbia, umiliazione, profonda nostalgia per un sogno solo immaginato (” …non avremmo pensato così la terra promessa…”).
Parlano pacatamente, in un inglese che non è la lingua di nessuna delle due e forse per questo si fa gradualmente impaziente della traduzione artigianale, perchè il messaggio vorrebbe arrivare immediato e diretto, con un’ urgenza che non può più attendere: da noi la situazione è insopportabile.
Abla racconta di quotidiane distruzioni del visibile, contrapposte ad un’umanità resa invisibile dall’occupazione ad oltranza, dalle prevaricazioni, la provvisorietà sociale, l’assenza di strutture istituzionali stabilmente acquisite (scontate, verrebbe da dire), la prigionia di un popolo dentro i suoi confini, la sofferenza ignorata, i diritti calpestati, il lutto come dimensione normale. Lo racconta senza lacrime, senza cedimenti.
Edna non si chiama fuori, non rinuncia alle responsabilità che derivano dall’appartenenza, denuncia la cecità storica di uno Stato che, passato attraverso l’Olocausto, non ha saputo coltivare assonanze cognitive, ma ha disperso i processi di ricostruzione nello sforzo a senso unico di riaffermazione. Meccanismi e processi vengono bypassati, nessuno dice la verità, non i politici, non i libri di scuola, non gli insegnanti preoccupati o fagocitati dal mito della formazione iperetnica, genesi della militarizzazione ad oltranza.
Eppure non c’è silenzio, oggi, tra il Giordano e il mare.
Ci sono movimenti di opposizione spontanei che hanno infrante le collocazioni identitarie: e così Bat Shalom e Jerusalem Center for Woman Joint, associazioni femminili dei due stati, denunciano insieme la “ sistematica violazione della legge umanitaria internazionale a cui è soggetta la popolazione civile palestinese”; i riservisti israeliani obiettori di coscienza sfidano l’ostilità di Yossi Sarid, leader dell’opposizione di sinistra, che li giudica un pericoloso precedente; il gruppo donne di New Profile chiede al governo una reale educazione democratica e civile per i propri figli e per tutti i figli…
Non c’è silenzio, anche se il rumore dominante è più forte.
Mentre Abla ed Edna parlano, sullo schermo laterale scorrono immagini: le mappe dei territori palestinesi, anche visivamente invasi dai mille triangolini blu delle colonie israeliane, come in un contagio esantematico; i volti dei feriti durante gli scontri; i check-point da attraversare se vuoi andare da casa tua a casa tua.. E, ogni tanto, Brescia, Exa 2002.
Proprio a Brescia, qualche mese fa, in occasione della manifestazione contro la produzione e la vendita di armi, nasceva tra donne l’idea di questa serata e di molte altre simili organizzate nel Nord Italia, e non è strano, che accanto allo striscione ”Fuori la guerra dalla storia”, appaia quello Due popoli due stati”: sintesi semplice di una complessità che mostra ogni giorno, ad ogni angolo, i suoi drammi, contestualizzazione incontestabile. Radici.
Dalle nostre poltrone infuocate, per uno di quegli stati allucinatori che colpiscono a volte per eccesso di coinvolgimento, o semplicemente per una particolare combinazione prospettica, cogliamo per un attimo un curioso intreccio di sguardi.
La “Dama in rosa”, voluta da Ernesto Quarti Marchiò, leggiadra e leggera figura di nobile fanciulla, incorniciata in finto oro sulla parete di destra, pare osservare con sorpresa il volto bianconero di celluloide della giovane truccata da bersaglio, che con tecnologico salto spazio-temporale giunge tra noi da piazza della Loggia. Si crea una sorta di identificazione, meglio, di metafora: noi, sedute ad ascoltare un dolore, attonite, stupite, immobili nel caldo, con la sensazione di una vicinanza solo apparente, di un’effettiva inutilità
Strano pensare, oggi, che solo poche ore dopo il copione avrebbe riservato altre sorprese, sempre a noi, eterne spettatrici della nuova esplosione.
La paura ce la stanno descrivendo, fa parte del gioco, diventa fatto quotidiano, genera mostri.
C’è una fabbrica, dicono, che ne sforna a palate, come residuo ineliminabile.
Le conclusioni di Abla ed Edna sono identiche: nessun condono a nessun terrorismo, ma il doveroso distinguo tra terrorismo di Stato, provocatorio e responsabile, e terrorismo indotto, disperato, inevitabile.
Gli applausi sembrano battiti in fibrillazione, ali spezzate di colombe: e come può una colomba volare con un’ala sola?

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