17 marzo: un altro giorno
Doriana Goracci - 16-03-2007
CONTRO LA GUERRA

La stampa non ha questa settimana amplificato o indotto nessun timore per la manifestazione di domani 17 marzo a Roma contro la guerra.
Domani scade l'ultimatum per Daniele Mastrogiacomo.
Oggi si aspettano conferme che il suo autista sia stato ucciso in Afghanistan.
Oggi il governo e la diplomazia stanno facendo il possibile per il rilascio del giornalista.
Oggi il governo e l'opposizione non stanno facendo nulla per uscire dai luoghi di guerra, per chiudere le basi, per disarmare gli eserciti, per investire nella vita le risorse monetarie dello stato italiano.

Domani una volta ancora il movimento fatto di donne e uomini di tutte le età e provenienze, destineranno di investire il loro tempo nelle strade di una città, a reclamare il diritto alla pace e alla non violenza.
Quello che camminerà domani è un popolo che non dà delega a nessuno, che non si fà rappresentare se non dalla propria determinata volontà di far cessare la guerra, che non si veste di bandiere di partito.
Forse sarà data una proroga al rilascio di Daniele Mastrogiacomo, noi proroghe non le chiediamo, noi pretendiamo la scelta della vita.
Oggi si chiedono di adottare misure di sicurezza in aree che restano molto pericolose.

Oggi, domani, sempre, noi chiediamo di adottare il rifiuto della guerra, che nessun governo e potere condivide.
Non ci sono domani treni speciali per giungere a Roma, solo iniziative locali che chiedo di diffondere, di speciale ci sarà ancora una volta la certezza della nostra lotta e determinazione.

Oggi dobbiamo inoltrare, diffondere un appuntamento oscurato, questo sì non illuminato dai media, presi ad accendere riflettori su valletti e vallette, vassalli e valvassori, schiavi e padroni dell'informazione al potere.

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 Redazione di Fuoriregistro    - 16-03-2007
Come molti, moltissimi altri, abbiamo aderito alla manifestazione. I nomi non appaiono, il lavoro di preparazione è febbrile, il tempo manca. Ma l'urgenza resta e non è procrastinabile. Tutta la nostra solidarietà a chi crede in una pace possibile, a chi la costruisce nel rumore e nel silenzio, a chi sa che per cambiare rotta occorre necessariamente cambiarla.

 l'Unità    - 17-03-2007
Iraq, nel ddl tre milioni di euro per i "contractors"

Tre milioni e 498 mila euro - circa sette miliardi del vecchio conio - verranno spesi dal governo italiano per stipulare in Iraq, accordi con i contractors, alias body guard, in italiano guardie del corpo facenti capo a società private. Uomini armati di una polizia privata avranno il compito di difendere il personale italiano composto da tecnici ed esperti, presenti a Nassiriya. Alla pagina 33 del decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero, approvato alla Camera l'8 marzo e attualmente in commissione Difesa e Esteri al Senato, si legge la notizia. Poche righe, sotto il titolo "Sicurezza dell'Usr" - dove questa sigla sta ad indicare "l'Unità di sostegno alla Ricostruzione" istituita nel primo semestre 2006 nella regione irachena di Nassiriya - parlano chiaro. Come pure sono inequivocabili quei 3.498.000,00 euro scritti in neretto accanto al testo. E tuttavia sono sfuggiti a molti parlamentari che quel testo lo hanno approvato alla Camera.

«Considerato che il contingente militare italiano, che garantiva la sicurezza e l'incolumità del personale civile presente presso la Usr, non sarà più presente in Iraq nel corso del 2007 - si legge nel testo - il Governo italiano ha la necessità di stipulare un contratto con una società di sicurezza che già sia operante in Iraq con personale locale. Ciò al fine di garantire l'incolumità dei civili presenti a Nassiriya e di consentire loro di uscire dal perimetro della base militare internazionale per monitorare i progetti ed incontrare le personalità locali in un contesto di massima sicurezza».

Si chiama Aegis defence Services l'agenzia britannica privata scelta dal governo per difendere i nostri tecnici in Iraq, anche se il contratto con la Farnesina è ancora in via di definizione. Non si tratta di una piccola società composta da pochi vigilantes locali, ma di un colosso presente in Iraq dal 2004, dopo aver stipulato con il ministero della Difesa statunitense un contratto da 293 milioni di dollari. Il suo fondatore, Tim Spider, è stato coinvolto in abusi contro i diritti umani e in violazioni internazionali.

I parlamentari della maggioranza, inclusi quelli della "sinistra radicale" e pacifista, difendono, obtorto collo, la scelta del governo. «Mi rendo conto che l'Italia avendo ritirato le truppe - dice Rosa Calipari, senatrice dei Ds - deve pur trovare il modo di difendere i civili che lavorano in Iraq dove il conflitto interreligioso è in via di peggioramento. In termini generali e di principio - prosegue la senatrice - penso che il compito di garantire la sicurezza dei propri cittadini sia dello Stato e sono contraria alla privatizzazione della sicurezza. Negli anni precedenti, sono stati utilizzati questi contractors ma per difendere società petrolifere. Ora, invece, si tratta di guardie che difendono personale civile che opera per fini umanitari».

Per Silvana Pisa, senatrice dei Ds, si poteva trovare un'altra soluzione. «In qualsiasi ambasciata estera ci sono i nostri carabinieri - spiega - anche nei paesi dove non ci sono le nostre truppe. Si poteva, dunque, ritirare l'esercito dall'Iraq, mantenendo i carabinieri a Nassiriya soltanto per proteggere i nostri tecnici. Ero contraria all'esternalizzazione della sicurezza - conclude la senatrice - e lo sono anche ora. Abbiamo peraltro votato questo testo senza che venisse discusso tra i capigruppo».

Anche la vicepresidente della Commissione Difesa Elettra Deiana del Prc, sta sulla posizione del "sì ma". «Ci sono tecnici italiani che devono essere protetti a Nassiriya e la polizia irachena non è in grado di farlo - dice - Non ho un pregiudizio ideologico nell'assumere vigilantes privati ma sono contraria ad assumere personale non controllabile. Non si conoscono le regole alle quali queste persone devono sottostare e da chi sono controllati. Ho già presentato un'interpellanza - conclude la parlamentare di Rifondazione- per sapere cosa sta succedendo a Nassiriya e chiederò anche i criteri con cui vengono scelti questi body guard».

Pino Sgobio capogruppo dei Comunisti italiani alla Camera, non ha dubbi: «Tra un carabiniere e un body guard preferisco che ci siano i body guard». «Avevamo chiesto il ritiro di tutti i soldati, - dice il deputato dei Pdci - non potevamo lasciare a Nassiriya i carabinieri. Sono dei militari e avrebbero coinvolto di più il nostro Paese in azioni belliche. Si tratta di una situazione di emergenza dove non è possibile fare altrimenti. Spero almeno - conclude Sgobio - che la Farnesina scelga tra società private che diano garanzie di controllo e democraticità».

Fabio Alberti, presidente dell'Organizzazione Non Governativa Un Ponte per, presente in Iraq da molti anni si dice meravigliato che in Iraq, «ci sia ancora una presenza armata italiana a difesa dei Provincial Reconstruction Team (Prt) che sono la parte civile dell'occupazione: se noi ne facessimo parte saremmo sotto il comando Usa. Peraltro - spiega Alberti - a dicembre il nostro personale civile a Nassiriya girava scortato dai marines». Ma soprattutto chiede il presidente dell'Ong: «Quali sono le regole d'ingaggio di questi eserciti privati? Chi li controlla? E quale bisogno c'è di avere fisicamente dei tecnici italiani sul posto?». «Per assistere gli iracheni alla ricostruzione - conclude Alberti - basta assisterli economicamente, nella progettazione e in tanti altri modi: l'Iraq è pieno di tecnici bravi».


Maura Gualco

 da Umanità nuova    - 18-03-2007
Ovvero: Del terrore e della guerra

Gentile signor Presidente,

ho avuto modo di leggere, oggi, martedì 20 febbraio 2007, la Sua lunga intervista rilasciata al quotidiano governativo, quindi amico Suo, "La repubblica", dal titolo alquanto significativo: "Nella lotta al terrorismo la strada è la nonviolenza".

È da un po' di anni che Lei ed i Suoi compagni di partito parlano a pieni polmoni di non violenza, ed è da altrettanto tempo che condannate, in tribunali improvvisati, coloro che non si sono avvicinati al Vostro Credo e soprattutto quelli, come il sottoscritto che non credono alla Sua (Vostra) Conversione.
Premetto subito che mi definisco anarchico, termine assai complesso e contraddittorio, ma che mantiene, nonostante il logorio del tempo, una dignità politica non ancora superata e che non mi ritengo un non violento, ma detto questo, non mi ritengo neppure un violento. Odio, ad esempio, come tutti noi, la forma più brutale di terrorismo, che Lei omette accuratamente dal citare, ovvero la Guerra: mi perdoni, capisco che Lei possa evitare di citarla, perché la questione Le porterebbe imbarazzi sui quali difficilmente un non violento conseguente potrebbe far finta di niente. Perché, ma forse la Sua vasta cultura Le permette di saperlo, i più grandi armieri, produttori, finanziatori di massacri e di morti indiscriminate su scala planetaria sono proprio gli Stati.

E Lei siede al Terzo posto sugli scranni di uno Stato, di cui Lei ed il Suo partito condividono le sorti di Governo, che spartisce, insieme ad altri Stati, la promozione di guerre e la diffusione, nonché la fabbricazione di armamenti destinati ad ammazzare (forse non Le piace che qualcuno glielo ricordi) simili eguali a Lei, proprio come, forse, stavano per fare, quei brigatisti contro i quali anche Lei si è scagliato dal Pulpito della Nonviolenza. E Le ripeto, per non sbagliarmi, che la nostra cultura politica, quella dell'anarchismo sociale e rivoluzionario, ha in odio ogni forma di sopruso e di violenza in genere e di violenza terroristica in particolare. Ma le Prediche che vengono dal Suo pulpito ci fanno rabbrividire, perché in odio abbiamo anche le Ipocrisie: sappiamo, perché lo avete fatto Voi, che nel luglio del 2006 (decreto di rifinanziamento delle missioni militari all'estero (DL 224/2006) avete finanziato missioni militari e di guerra in Iraq, Afganistan, in Medio Oriente, in Congo, nei Balcani... pari a 25,1 miliardi annui (quante bocche da sfamare, quanti pozzi, quanta acqua...?)
Ma sappiamo anche, perché su questo ci informano pacifisti e non violenti conseguenti, non attaccati ad alcuna poltrona se non alla dignità della loro etica personale, che avete fatto una Finanziaria militare e di guerra: "Una finanziaria per lo sviluppo", l'avevano definita Padoa-Schioppa e Prodi. Ma l'unico sviluppo certo della finanziaria 2007 (oltre all'aumento delle tasse) è quello delle spese militari, aumentate dell'11% pari a oltre 20 miliardi di euro (!!!). In un comunicato, Emergency rende noto che "è stato costituito nel Ministero della Difesa un apposito Fondo per le esigenze di investimento per la difesa con uno stanziamento di 1.700 milioni di euro per il 2007 e per un totale di 4.450 milioni nel triennio 2007 - 2009".

"Come si legge in un articolo a firma di Giorgio Beretta sul sito "Mosaico di pace" l'aumento delle spese per acquisto di nuovi armamenti è - non c'è che dire - "un bel risultato per un Governo che aveva affermato nel suo programma elettorale che 'l'Unione si impegna, nell'ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti'. E se la maggior parte dell´intero bilancio, più del 70%, è assorbito dai costi sempre più elevati per il mantenimento delle Forze armate - che nel 2002 ricoprivano però solo la metà della 'Funzione Difesa' - e dalle sempre più numerose missioni militari, una buona fetta se la ritagliano pure le industrie armiere per la produzione di nuovi armamenti e la partecipazione dell'Italia a programmi di riarmo in partnership con diversi Paesi."; Oppure: "Il governo Prodi ha ceduto alla lobby delle armi - commenta Luciano Bertozzi su Nigrizia.it - ed ha autorizzato un rilevante programma di investimenti mostrandosi poco sensibile alle esigenze di parte del suo elettorato che ha chiesto un drastico taglio delle spese militari per dirottarle verso quelle sociali".
Come riporta il citato articolo di Beretta, il riarmo italiano spazia su vari progetti "a cominciare da quelli europei per il cacciambombardiere 'Eurofighter Typhoon' di cui l´Italia conta di acquistare altri 121 modelli per Aeronautica e Marina per un costo di circa 7 miliardi di euro. E per le fregate Fremm: 60 milioni di euro per il 2007, 135 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e dal 2010 fino al 2022 a raggiungere i 1.665 milioni di euro. Ma anche per programmi non proprio europei, come quello per un altro tipo di cacciabombardiere, il 'F35-Lightnight II', noto come Joint Strike Fighter (JFS). Un programma che piace particolarmente al centro-sinistra visto che la partecipazione fu decisa dal Governo D´Alema nel 1998. Lunghe vedute per un Governo tutto sommato breve: le consegne dell´F35 non dovrebbero giungere prima del 2013, ma partecipare al programma fin dalla fase di progettazione ha avuto un interesse aggiunto e - non ne dubitiamo - strategico."

Allora signor Presidente della Camera Bertinotti, da quale Pulpito, se non quello del Potere, può elargire al mondo le sue Prediche?: "(...) il Pci ruppe coraggiosamente con il dittatore sovietico, ma poi per alcuni anni tollerò che nella propria base rimanesse un mito. Io stesso, quando diventai segretario di Rifondazione Comunista, dovetti più volte pretendere la rimozione del ritratto di Stalin dalle sezioni dove andavo a parlare. Quelle foto, ora, non ci sono più".
Così Lei conclude l'intervista: che ne direbbe se qualche sezione del Suo partito, o qualcuno che ha creduto nella Sua buona fede togliessero dalle pareti le fotografie che la ritraggono portatore di Pace e di Speranza?

Pietro Stara


FONTE: Umanità Nova quotidiano fondato, nel 1920, da Errico Malatesta.

 dall'Unità    - 18-03-2007
Afghanistan, italiani al fronte? «Regole d'ingaggio rispettate» Mastrogiacomo in video: «Sto bene»


Le notize sulla partecipazione degli italiani all'offensiva di primavera contro i talebani rimbalzano dalla Spagna in Italia e riaprono la questione Kabul. Tutto inizia con la notizia, trapelata da fonti del ministero della Difesa di Madrid (citate dall'agenzia Efe e riprese da tutti i media iberici, tra cui il quotidiano conservatore el Mundo) secondo cui, in appoggio all’operazione “Achille” - la "grande avanzata" delle forze alleate contro la roccaforte dei talebani e dei signori dell'oppio nel sud dell'Afghanistan - ci sarebbero anche truppe italiane e spagnole impegnate da lunedì in un'operazione nella zona occidentale dell'Afghanistan. Si parla dell'impiego della Brigata dei Cacciatori di Montagna spagnoli, che fanno parte della Forza Rapida di Reazione di stanza a Herat e di una forza mista composta da spagnoli, italiani e afgani. L'operazione, secondo le fonti, ha lo scopo di «impermeabilizzare» la frontiera fra il sud e l'ovest del Paese in collaborazione con l'esercito e la polizia afghani.

L'operazione, che è iniziata il 12 febbraio e dovrebbe concludersi il prossimo 10 aprile, intende ridurre la possibilità di attacchi da parte di gruppi terroristici nell'area ovest dell'Afghanistan. E secondo altre fonti - compreso Peace reporter, sito di notizie legato a Emergency -sarebbe diretta dal generale italiano Antonio Satta, che è il comandante del contingente italiano a Herat.

Fonti della Difesa italiana in tarda mattinata smentiscono all'Ansa le notizie trapelate dalla Spagna. Poi, nel pomeriggio è il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri a spiegare, in audizione a Palazzo Madama che è effettivamente in corso «un'operazione di impermeabilizzazione». E poi aggiunge: «Non credo che sia possibile che le nostre truppe possano partecipare alle operazioni di attacco nei confronti dei talebani, dei terroristi o dei ribelli perchè non è compito delle nostre truppe».

In mattinata si Prc che Pdci che Verdi hanno chiesto che il ministro degli Esteri Massimo D'Alema spieghi, non appena possibile, la situazione in Aula. Il punto è proprio quello chiarire il ruolo delle truppe italiane nell'operazione di queste ore insieme all'esercito spagnolo.

Le dichiarazioni di Forcieri non calmano comunque le polemiche. «Il sottosegretario Forcieri ha dato una risposta trasparente confermando la presenza di militari italiani e spagnoli impegnati in un'operazione di barrage e di contenimento lungo il confine tra la provincia di Herat, nell'area di Farah, e quella di Helmand a supporto dell'Operazione Achille per evitare che i talebani possano cercare vie di fuga nella provincia di Herat assegnata alle forze italiane» commenta il senatore Alfredo Mantica, vicepresidente del gruppo di Alleanza Nazionale e vicepresidente della Commissione Esteri. «Per ora le nostre truppe controllano le strade e le comunicazioni fra le provincie, ma sono coordinate dal comando Isaf e le operazioni sono guidate dal gen. Satta. Ciò conferma che il comando Isaf è unico e che le nostre sono truppe di combattimento, pronte ad intervenire in caso di attacchi dei talebani. Sorprende il fatto che stamattina qualcuno dal ministero della Difesa abbia smentito».

«Il governo ha confermato di fatto che le truppe italiane in Afghanistan partecipano alla 'operazione Achille' - dice Giorgio Stracquadanio, senatore di Forza Italia - Si tratta della maggiore offensiva contro i talebani dall'inizio dell'anno. Il sottosegretario Forcieri, rispondendo alle precise domande che io e gli altri commissari dell'opposizione abbiamo posto, ha di fatto confermato l'impegno delle truppe italiane nell'operazione, anche se per ipocrisia politica non ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e ha cercato di smentire quanto da me sostenuto in aula. È bene che tutti sappiano che i nostri militari sono a pieno titolo impegnati nell'offensiva contro i Talebani e che non si nasconda la verità del nostro impegno».

In tv a Matrix l'altra sera il presidente del consiglio Romano Prodi ha ribadito la posizione dell'Italia di non essere disposta a mandare «non un soldato in più nè un metro quadrato in più». Il nostro Paese non invierà altri soldati rispetto agli oltre 2mila già collocati soprattutto nella provincia di Herat né si sposterà in altre zone dell'Afghanistan rispetto a quelle che sono state assegnate al controllo dell'Italia. «Però -ha aggiunto Prodi- le scelte condivise si mantengono, il Paese ha deciso e se non intervengono fatti diversi, deve esserci una continuità nella politica di un Paese».

L’'iter in Senato del decreto per il rifinanziamento della missione in Afghanistan è intanto cominciato nelle commissioni riunite di esteri e difesa in Senato. In commissione si vuole concludere in tempi rapidi l'esame del decreto, licenziarlo entro giovedì, e consentire che arrivi la settimana prossima in aula al Senato. Alle 14 è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti, che sono 34, tra cui un lungo emendamento del senatore a vita Francesco Cossiga sulle regole d'ingaggio dei soldati italiani in Afghanistan e la diffusione delle notizie da parte degli Stati membri dell'alleanza.