VERSO LISBONA 2000
Il
cammino europeo all’istruzione inizia ufficialmente nel 1989 quando l’European Round Table of Industrialist, l'ERT,
potente lobby di industriali europei con grande influenza ed entratura presso
Più
specifico è il Libro Bianco Cresson: Gli obiettivi
principali che il sistema educativo deve conseguire sono: 1) l'avvicinamento
della scuola all'impresa con l'educazione alla flessibilità ed alla mobilità;
2) il trattare allo stesso modo gli investimenti in affari e quelli in
formazione; 3) la lotta all'emarginazione ed all'abbandono scolastico, che
possono avere successo con l'introduzione di ogni tecnica multimediale e con i
suggerimenti della Commissione: "sviluppare la concertazione ed il partenariato con il settore economico; si può ad esempio
immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola ... Le famiglie sarebbero
anch'esse coinvolte direttamente ..."; 4) la conoscenza di tre lingue
comunitarie; 5) l'auspicio che i Paesi della UE adottino "disposizioni
a favore delle imprese che attribuiscono particolare attenzione alla formazione".
Queste
premesse portano a LISBONA 2000.
LISBONA 2000
A questo occorre aggiungere
quanto sostenuto dal Memorandum della UE del 30/10 del 2000:
“Si
distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:
• l’apprendimento
formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e porta
all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
• l’apprendimento
non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture
d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a
certificati ufficiali. L’apprendimento
non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro
di attività di organizzazioni o
gruppi della società civile (associazioni giovanili,
sindacati o partiti politici). Può essere
fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a
complemento dei sistemi formali (quali
corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi
privati per la preparazione degli
esami);
• l’apprendimento
informale è il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente
all’apprendimento formale e non formale, esso non è
necessariamente intenzionale e può
pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso
interessato, come apporto alle sue
conoscenze e competenze.
Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato
la riflessione politica, influenzando
l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione
nonché la percezione generale di
“apprendimento”. L’apprendimento permanente senza
soluzioni di continuità consente
l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale
in un unico contesto. L’istruzione
non formale, per definizione, è impartita al di fuori di
scuole, istituti d’istruzione superiori,
centri di formazione o università. Questo tipo
d’istruzione è raramente percepita come una
formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno
un valore riconosciuto sul mercato del
lavoro. L’apprendimento non formale è pertanto in
generale sottostimato.
Tuttavia, è l’apprendimento informale che rischia di
essere completamente trascurato, benché
costituisca la prima forma di apprendimento e il
fondamento stesso dello sviluppo infantile. Il
fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima
nelle famiglie che nelle scuole conferma
l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente
informale rappresenta una riserva
considerevole di sapere e potrebbe costituire
un’importante fonte d’innovazione nei metodi
d’insegnamento e di apprendimento ... si tratta ora
innanzitutto di valutare la
complementarità dei sistemi di apprendimento formale, non
formale e informale e, in secondo
luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione
e di riconoscimento delle qualifiche tra
questi tre contesti dell’apprendimento”.
Questa disquisizione è fatta
per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva
considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e
contenuti. Ma dove si può educare
informalmente? Lo dice la stessa UE: "Per
avvicinare l'offerta di formazione al livello locale bisognerà anche
riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri
appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana
in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i
centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di
culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali,
i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro".
E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer
che era al corrente di tutti i lavori preparatori della UE. Nel 1997, nel suo primo
documento sulla "Riforma dei cicli”, si legge: "Gli
obiettivi generalmente condivisi sono stati: (...) avvicinare i luoghi
dell'istruzione alla realtà sociale, culturale, produttiva, occupazionale del
territorio". Basta poi leggersi le
stravaganze delle passerelle, che dovrebbero permettere il passaggio
dalla scuola statale ordinaria alla formazione professionale, qualcosa che esiste
solo nella mente di chi l’ha pensata se anche la bontà dello stesso Berlinguer fa dire (a 4 anni di distanza dalla sua
Riforma), che il percorso inverso è di là da venire soprattutto se non
sostenuto da corsi ad hoc mai previsti dalle sue pretese riforme e tanto meno
dai suoi esimi successori. Se si leggono
poi alcune cose della Bassanini 1997, si capisce che
i primi bravi esecutori dell’ERT in Italia sono stati proprio i centrosinistri:
“- estendere il
regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed
equiparati delle amministrazioni pubbliche;
- compensi di
incentivazione o similari;
-
razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante soppressione;
- criteri di
flessibilità;
- sistemi per
la valutazione;
- elaborazione
di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità
ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;
- collegare
l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati
alla allocazione annuale delle
risorse;
- l'autonomia
organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della
diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico,
alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture,
all'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto
territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria
della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e delle modalità di
organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle
risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali;
- obbligo di
adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività
scolastica e del raggiungimento degli obiettivi;
- ai capi
d'istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all'acquisto
della personalità giuridica e dell'autonomia da parte delle singole istituzioni
scolastiche;
- attribuzione
della dirigenza ai capi d'istituto attualmente in servizio, assegnati ad una
istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di
formazione. “
Quanto
scritto è sufficientemente chiaro. Ma sono utili alcune specificazioni. E’ da
notare che solo se la valutazione della produttività scolastica di cui
sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben
chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con
il mondo della scuola. Si interviene sugli insegnanti differenziando il loro status
non tanto sulle funzioni quanto sui salari variabili.
Dal
punto di vista più eminentemente didattico
“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova
cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento e la
proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella
didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il
superamento della "cultura del posto" a vantaggio di una nuova visione
delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso
la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le
nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello
atipico; la preparazione all'autoimprenditorialità.
Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi
strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano
all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di
contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di
impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme
dell'apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di
responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed
intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la
soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi
(competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell'educazione
permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto
costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”
ANCORA UE
L’ultimo
documento della Commissione UE è comunque dell’ 11 novembre 2003 ed è un
progetto a medio termine dal nome Istruzione & Formazione 2010,
l’urgenza delle riforme per la riuscita della strategia di Lisbona. Si tratta di un documento che cerca la
verifica di quanto si era accordato nel documento di Barcellona del marzo 2002.
Dopo aver ricordato tutti i passi successivi a Lisbona 2000, agli obiettivi che
dovevano rappresentare “una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova
economia basata sulla conoscenza“,
Occorre darsi da fare subito. I governi
nazionali devono investire di più e, soprattutto, incentivare di più i privati
perché intervengano. Serve poi una cooperazione strutturata e continua a
livello comunitario per la migliore utilizzazione delle risorse umane e degli
investimenti (ed anche per far confluire al più presto le legislazioni
nazionali in una legislazione europea). Ciò al fine di avere “un quadro di riferimento europeo per le
qualifiche dell’istruzione superiore e della formazione professionale; tale
quadro è indispensabile per creare un vero e proprio mercato europeo del lavoro
e facilitare la mobilità”. Insomma
non si può dire che gli obiettivi non siano chiari. Del resto si erano andati
esplicitando a partire proprio da Lisbona, dove si era affermato di voler
costruire: “un’economia e una società fondate sulla conoscenza … strategia
che si fonda su un’ampia gamma di azioni coerenti e complementari (come ad
esempio le riforme dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali,
l’adattamento delle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro e la
riforma dei sistemi di previdenza sociale)”.
CONCLUDO
Il cammino che dagli industriali europei (1989) porta a
Lisbona 2000 è chiarissimo ed anche gli intenti lo sono. La scuola pubblica
come l’abbiamo conosciuta noi prima di Bassanini-Berlinguer
è ritenuto un carrozzone molto costoso. Serve qualcosa di più dinamico da
affiancare ad una scuola residuale che deve morire. Una scuola di competenze
immediatamente utilizzabili (le eccellenze ce le costruiamo a parte a modo
nostro), una scuola che si può realizzare sempre più come e-learning,
quindi privata e competitiva ed anche in grado di rendere denaro (molto).
Quindi reclamare Lisbona 2000 o è azzardato o mostra il cambiamento genetico
dei DS. Lisbona 2000 è l’inizio dell’assalto privatistico
alla scuola pubblica.
Oggi occorre che una forza che si definisce di sinistra
capisca tutto questo per intervenire non assecondando (come accaduto) ma per
bloccare e dirigere in modo differente queste spinte liberiste che sono
distruttive per la nostra scuola. Servono quindi delle grandi competenze
politiche e tecniche per intervenire su cose che tra un poco non saranno
neppure più competenza del commissario UE per l’educazione ma di quello per il
commercio (scuola e sanità sono appetito continuo del WTO). Se la forza di
pretesa sinistra ha capito qualcosa, deve ripartire dalla messa in discussione
di Bassanini-Berlinguer. L’Autonomia è un grimaldello
per destrutturate la scuola e metterla sul mercato.
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(I
dettagli, tutti i documenti ed i riferimenti bibliografici di alcune delle cose
qui dette si trovano in un mio lavoro pubblicato su Insegnare n° 6 del giugno 2004 e qui riportato in https://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=6675
; il lavoro completo è pubblicato su il Giornale di Storia Contemporanea
in libreria entro febbraio 2005).