VERSO LISBONA 2000

 

Il cammino europeo all’istruzione inizia ufficialmente nel 1989 quando l’European  Round Table of Industrialist, l'ERT, potente lobby di industriali europei con grande influenza ed entratura presso la UE, aveva pubblicato un rapporto dal titolo: "Istruzione e competenza in Europa". Nel  1992 la  UE, con il trattato di Maastricht, inizia ad avere competenze in materia d'Istruzione. Nel 1993, il Libro Bianco della UE apre all'industria ("apertura dell'educazione al mondo del lavoro").  Nel Libro Bianco della UE 1995  si fa esplicito riferimento all'ERT: "Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (...) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [long life learning] ...[e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell'informazione è diventata una necessità". Nel 1996 , facendo riferimento ad una tavola rotonda svoltasi negli USA (Filadelfia) nel febbraio dello stesso anno,  l’OCSE spiegava che "l'apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da 'prestatori di servizi educativi' (...). La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione". Ad evitare possibili obiezioni su programmi didattici che travalichino le frontiere interferendo sui sistemi scolastici nazionali , la Commissione UE si preoccupa di affermare che l'insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e come tale rientra nell'articolo 59 del Trattato CEE ; sarà la UE a rilasciare una Tessera personale delle competenze [il portfolio, ndr], per scavalcare i titoli di studio dei singoli Paesi. In ogni caso la stessa OCSE avvertiva che era necessario "un maggiore impegno da parte  degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione". Gli insegnanti residuali (sic!), che occorrerà portarsi dietro fino alla loro estinzione, si occuperanno della popolazione non redditizia. Seguono poi il rapporto UNESCO 1996 (Delors) ed il LIBRO BIANCO UE 1996 (Cresson). Nel primo si dice esplicitamente: “nell'industria, specialmente per gli  operatori di macchine e per tecnici, la supremazia dell'elemento cognitivo e di quello informativo, come fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l'idea di abilità professionale e mettendo in primo piano quella di competenza personale” [qui si adombrano i 'percorsi individuali' e le abilità del telelavoro, ndr] ... Tale competenza "è un misto, specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del termine, acquisita attraverso la formazione tecnica e professionale, di comportamento sociale, di un'attitudine al lavoro di gruppo e d'iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi” [la 'mobilità', ndr]. Il sistema scolastico deve possedere "maggiore diversità curricolare e costruire passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita lavorativa ed ulteriori corsi di formazione. Una tale flessibilità contribuirebbe anche a ridurre il fenomeno della mortalità scolastica ed il terribile spreco di potenziale umano che ne risulta”.

Più specifico è il Libro Bianco Cresson: Gli obiettivi principali che il sistema educativo deve conseguire sono: 1) l'avvicinamento della scuola all'impresa con l'educazione alla flessibilità ed alla mobilità; 2) il trattare allo stesso modo gli investimenti in affari e quelli in formazione; 3) la lotta all'emarginazione ed all'abbandono scolastico, che possono avere successo con l'introduzione di ogni tecnica multimediale e con i suggerimenti della Commissione: "sviluppare la concertazione ed il partenariato con il settore economico; si può ad esempio immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola ... Le famiglie sarebbero anch'esse coinvolte direttamente ..."; 4) la conoscenza di tre lingue comunitarie; 5) l'auspicio che i Paesi della UE adottino "disposizioni a favore delle imprese che attribuiscono particolare attenzione alla formazione".

Queste premesse portano a LISBONA 2000.

 

LISBONA 2000

 

La UE, nel vertice di Lisbona del 2000,  decide di occuparsi in prima persona delle scuole nazionali, con il solito slogan di scuola per tutta la vita, affermando "La sorte dell'insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve anch'esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle politiche educative. (...) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell'economia di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio".

A questo occorre aggiungere quanto sostenuto dal Memorandum della UE del 30/10 del  2000:

“Si distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:

l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e porta

all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;

l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture

d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento

non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o

gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere

fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali

corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione degli

esami);

l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente

all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può

pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue

conoscenze e competenze.

Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato la riflessione politica, influenzando

l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione nonché la percezione generale di

“apprendimento”. L’apprendimento permanente senza soluzioni di continuità consente

l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale in un unico contesto. L’istruzione

non formale, per definizione, è impartita al di fuori di scuole, istituti d’istruzione superiori,

centri di formazione o università. Questo tipo d’istruzione è raramente percepita come una

formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno un valore riconosciuto sul mercato del

lavoro. L’apprendimento non formale è pertanto in generale sottostimato.

Tuttavia, è l’apprendimento informale che rischia di essere completamente trascurato, benché

costituisca la prima forma di apprendimento e il fondamento stesso dello sviluppo infantile. Il

fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima nelle famiglie che nelle scuole conferma

l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente informale rappresenta una riserva

considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei metodi

d’insegnamento e di apprendimento ... si tratta ora innanzitutto di valutare la

complementarità dei sistemi di apprendimento formale, non formale e informale e, in secondo

luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione e di riconoscimento delle qualifiche tra

questi tre contesti dell’apprendimento”.  

Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e contenuti. Ma dove si  può educare informalmente? Lo dice la stessa UE: "Per avvicinare l'offerta di formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro".

E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer che era al corrente di tutti i lavori preparatori della UE. Nel 1997, nel suo primo documento sulla "Riforma dei cicli”, si legge: "Gli obiettivi generalmente condivisi sono stati: (...) avvicinare i luoghi dell'istruzione alla realtà sociale, culturale, produttiva, occupazionale del territorio". Basta poi leggersi le stravaganze delle passerelle, che dovrebbero permettere il passaggio dalla  scuola statale ordinaria alla  formazione professionale, qualcosa che esiste solo nella mente di chi l’ha pensata se anche la bontà dello stesso Berlinguer fa dire (a 4 anni di distanza dalla sua Riforma), che il percorso inverso è di là da venire soprattutto se non sostenuto da corsi ad hoc mai previsti dalle sue pretese riforme e tanto meno dai suoi esimi successori.  Se si leggono poi alcune cose della Bassanini 1997, si capisce che i primi bravi esecutori dell’ERT in Italia sono stati proprio i centrosinistri:

“- estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche;

- compensi di incentivazione o similari;

- razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante soppressione;

- criteri di flessibilità;

- sistemi per la valutazione;

- elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;

- collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;

- l'autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale.  Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali;

- obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi;

- ai capi d'istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all'acquisto della personalità giuridica e dell'autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche;

- attribuzione della dirigenza ai capi d'istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione. “

Quanto scritto è sufficientemente chiaro. Ma sono utili alcune specificazioni. E’ da notare che solo se la valutazione della produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il mondo della scuola. Si interviene sugli insegnanti differenziando il loro status non tanto sulle funzioni quanto sui salari variabili.

Dal punto di vista più eminentemente didattico la Sintesi Maragliano della Riforma Berlinguer è chiarissima:

“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della "cultura del posto" a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all'autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell'apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell'educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”

ANCORA UE

L’ultimo documento della Commissione UE è comunque dell’ 11 novembre 2003 ed è un progetto a medio termine dal nome Istruzione & Formazione 2010, l’urgenza delle riforme per la riuscita della strategia di Lisbona.  Si tratta di un documento che cerca la verifica di quanto si era accordato nel documento di Barcellona del marzo 2002. Dopo aver ricordato tutti i passi successivi a Lisbona 2000, agli obiettivi che dovevano rappresentare “una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza“, la Commissione si chiede a che punto si è arrivati nel conseguimento di tali obiettivi ambiziosi ma realistici? La cosa non sembra andare bene se si afferma: “in tutti i paesi europei si compiono sforzi per adattare i sistemi d’istruzione e formazione alla società e all’economia della conoscenza, ma le riforme avviate non sono all’altezza delle sfide e il loro ritmo attuale non consentirà all’Unione di raggiungere gli obiettivi che si è fissata”.

Occorre darsi da fare subito. I governi nazionali devono investire di più e, soprattutto, incentivare di più i privati perché intervengano. Serve poi una cooperazione strutturata e continua a livello comunitario per la migliore utilizzazione delle risorse umane e degli investimenti (ed anche per far confluire al più presto le legislazioni nazionali in una legislazione europea). Ciò al fine di avere  “un quadro di riferimento europeo per le qualifiche dell’istruzione superiore e della formazione professionale; tale quadro è indispensabile per creare un vero e proprio mercato europeo del lavoro e facilitare la mobilità”.  Insomma non si può dire che gli obiettivi non siano chiari. Del resto si erano andati esplicitando a partire proprio da Lisbona, dove si era affermato di voler costruire: “un’economia e una società fondate sulla conoscenza … strategia che si fonda su un’ampia gamma di azioni coerenti e complementari (come ad esempio le riforme dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali, l’adattamento delle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro e la riforma dei sistemi di previdenza sociale)”.

CONCLUDO

Il cammino che dagli industriali europei (1989) porta a Lisbona 2000 è chiarissimo ed anche gli intenti lo sono. La scuola pubblica come l’abbiamo conosciuta noi prima di Bassanini-Berlinguer è ritenuto un carrozzone molto costoso. Serve qualcosa di più dinamico da affiancare ad una scuola residuale che deve morire. Una scuola di competenze immediatamente utilizzabili (le eccellenze ce le costruiamo a parte a modo nostro), una scuola che si può realizzare sempre più come e-learning, quindi privata e competitiva ed anche in grado di rendere denaro (molto). Quindi reclamare Lisbona 2000 o è azzardato o mostra il cambiamento genetico dei DS. Lisbona 2000 è l’inizio dell’assalto privatistico alla scuola pubblica.

Oggi occorre che una forza che si definisce di sinistra capisca tutto questo per intervenire non assecondando (come accaduto) ma per bloccare e dirigere in modo differente queste spinte liberiste che sono distruttive per la nostra scuola. Servono quindi delle grandi competenze politiche e tecniche per intervenire su cose che tra un poco non saranno neppure più competenza del commissario UE per l’educazione ma di quello per il commercio (scuola e sanità sono appetito continuo del WTO). Se la forza di pretesa sinistra ha capito qualcosa, deve ripartire dalla messa in discussione di Bassanini-Berlinguer. L’Autonomia è un grimaldello per destrutturate la scuola e metterla sul mercato.

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(I dettagli, tutti i documenti ed i riferimenti bibliografici di alcune delle cose qui dette si trovano in un mio lavoro pubblicato su Insegnare 6 del giugno 2004 e qui riportato in https://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=6675 ; il lavoro completo è pubblicato su il Giornale di Storia Contemporanea in libreria entro febbraio 2005).