Pensieri convergenti
Cocco - 27-01-2005
Chi ha avuto occasione di leggere la parte conclusiva del libro “La cultura degli Italiani” di Tullio De Mauro edito da Laterza e disponibile in libreria da settembre scorso ha già avuto modo di apprezzare i contenuti ed i riferimenti bibliografici, in quella sede in parte richiamati, di un interessante articolo di cui propongo la lettura, pubblicato sul mensile “Insegnare” (rivista del CIDI) del giugno 2004.


LE MANI SULLA SCUOLA
di Roberto Renzetti

“Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”(1955).
Milton Friedman (nobel per l'Economia 1976)
Milton and Rose D. Friedman Foundation for Educational Choice


L'efficienza di cui parla Friedman è evidentemente legata allo sfruttamento della scuola a fini di mercato. E' proprio così? E' possibile pensare una cosa del genere? Se si, dove possiamo rintracciarne i sintomi?
Per capire di cosa si tratta occorre risalire a conferenze internazionali, ad accordi presi in passato, a tutta una serie di documenti in gran parte sconosciuti ai non addetti ai lavori o che non era utile diffondere ...
E' utile ricordare che dai primi anni '90 l'economia e la finanza hanno aumentato considerevolmente il loro peso nella direzione politica del mondo occidentale. La politica in senso stretto ha sempre meno margini di mediazione. E' quindi dalle scelte di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre partire per capire cosa si progetta per questo secolo.
Intanto una indagine OCSE (1998) stima in 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo (per la sanità, 3500) ed in 1000 miliardi negli Stati membri (circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università). (1) Un vero gigantesco affare.

La società 20:80 (2)

Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l'élite del mondo, il braintrust globale (Bush senior, M. Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin, D. Packard, J. Gage, Z. Brzezinski, ...), sotto l'egida della Fondazione Gorbaciov, per "decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà". Tutti furono d'accordo nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbero stati necessari per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente (sic!). Si passava quindi dalle pur nere prospettive degli anni Ottanta, la società in cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto accesso al benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage, dirigente di Sun Microsystem, "assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!" e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si poneva il problema di come farla accettare alla massa eccedente. Fu Zbigniew Brzezinski che fornì una prima soluzione: tittytainment, una parola coniata a proposito che sta per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e entertainment = gioco, il panem et circenses della Roma imperiale. Ed a quelli che obiettavano che il circo sarebbe stato insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore, R. Roy, rispondeva che volontariato, associazioni sportive, ... "potrebbero essere valorizzate con una modesta retribuzione per promuovere l'autostima di milioni di cittadini". I numeri della massa eccedente, continuava Roy, non dovrebbero preoccupare perché, a breve, vi sarà nei Paesi Occidentali, una nuova richiesta di lavori precedentemente rifiutati: pulizia strade, collaborazioni domestiche, ... Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, le società asiatiche della rinuncia devono essere prese ad esempio ...
Naturalmente in questo scenario la scuola diventa funzionale a quanto si va delineando. La scuola così come è, tutti concordano, costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Occorre che i cittadini conoscano, ad esempio: digitale, DVD, Laser, Hi Tech, PC, Internet, Provider, CD, masterizzatore, ...; non è invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi scientifico tecnologici che sono dietro questi nomi. Per intenderci: occorre che i cittadini abbiano la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica, di quella che è pagata dalla fiscalità generale. Vi è naturalmente necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto inutile e soprattutto è un vero spreco di risorse pensare di formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste superiori specializzazioni. Chi serve per tali fini verrà preparato in scuole speciali. La selezione per accedere a queste scuole la faranno: le stesse scuole private e le imprese. Non ha senso continuare a dissipare denaro nell'istruzione pubblica. Il mercato è buono e gli interventi dello Stato sono cattivi: derergulation anziché controllo statale, liberalizzazione di commercio e capitali, privatizzazione di ogni cosa abbia il sapore del pubblico (Friedman). Questo è il sunto della parte che adombra la scuola nella tre giorni di stringenti dibattiti della Fondazione Gorbaciov. Si invoca in ogni settore, ed anche per la scuola, il modello americano.

ERT: Tavola Rotonda Europea degli industriali (3)

L’Europa delle imprese, dovendo recuperare molto rispetto agli USA, era da tempo in fibrillazione. Già nel 1989 l’European Round Table of Industrialist, l'ERT (4) , potente lobby di industriali europei, che ha grande influenza ed entratura presso la UE, aveva pubblicato un rapporto dal titolo: "Istruzione e competenza in Europa" in cui si sosteneva che "l'istruzione e la formazione (...) sono (...) investimenti strategici vitali per la competitività europea e per il futuro successo dell'impresa"e che "l'insegnamento e la formazione [sono purtroppo] sempre considerati dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (...). L'industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici che devono essere rinnovati insieme ai sistemi d’insegnamento". Si aggiungeva poi che gli insegnanti "hanno una comprensione insufficiente dell'ambiente economico, degli affari, della nozione di profitto ... e non capiscono i bisogni dell'industria".
E nel 1992 la UE, con il trattato di Maastricht, inizia ad avere competenze in materia d'Istruzione. Nel 1993, il Libro Bianco della UE (5) apre all'industria ("apertura dell'educazione al mondo del lavoro") proponendo incentivi fiscali e legali al fine di far investire la stessa nell'Istruzione. La supposta sfida viene raccolta, in un gioco delle parti, dall'ERT che nel 1995 (6) spinge gli industriali a "moltiplicare i partenariati tra scuole ed imprese" e sollecita il mondo politico in tal senso. L'ERT insiste nel denunciare che "nella gran parte d'Europa le scuole [sono] integrate in sistemi pubblici centralizzati, gestiti da una burocrazia che rallenta la loro evoluzione o le rende impermeabili alle domande di cambiamento provenienti dall'esterno". E passa ad avanzare i suoi intendimenti: “la responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall’industria. Sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori di cui l’industria ha bisogno. L’istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico. I governi nazionali dovrebbero vedere l’istruzione come un processo esteso dalla culla fino alla tomba. Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento [ERT, 1995]". "Non abbiamo tempo da perdere. (...) Ci appelliamo ai governi perché diano all’educazione un’alta priorità, perché invitino l’industria al tavolo di discussione sulle materie educative, e perché rivoluzionino i metodi d’insegnamento con la tecnologia [ERT, 1997 (7) ]”.
La cosa viene immediatamente ripresa, dal Libro Bianco della UE 1995 (8) in cui si fa esplicito riferimento all'ERT: "Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (...) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [long life learning] ...[e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell'informazione è diventata una necessità".
Ad evitare facili illusioni era l'OCSE che, nel 1996 (9) , facendo riferimento ad una tavola rotonda svoltasi negli USA (Filadelfia) nel febbraio dello stesso anno, spiegava che "l'apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da 'prestatori di servizi educativi' (...). La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione" e, mediante TV ed Internet, si possono produrre programmi da una parte e proporli in tutto il mondo (educazione a distanza o e-learning: si sente qui la presenza nell’ERT di vari colossi informatici europei, Philips, Siemens, Ericsson, Bertelsmann, ...). Ad evitare possibili obiezioni su programmi didattici che travalichino le frontiere interferendo sui sistemi scolastici nazionali , la Commissione UE si preoccupa di affermare che l'insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e come tale rientra nell'articolo 59 del Trattato CEE (10) ; sarà la UE a rilasciare una Tessera personale delle competenze [il portfolio, ndr], per scavalcare i titoli di studio dei singoli Paesi. In ogni caso la stessa OCSE avvertiva che era necessario "un maggiore impegno da parte degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione" (11) . Gli insegnanti residuali (sic!), che occorrerà portarsi dietro fino alla loro estinzione, si occuperanno della popolazione non redditizia. Ed ecco che si può intravedere la stessa conclusione alla quale erano arrivati a San Francisco: anche qui si scoprono masse eccedenti. Ed un plauso a questo Libro Bianco viene dagli USA. M. Murphy, della Northern Illinois University, osserva che "la decisione politica di incoraggiare l'apprendistato a vita è destinata a fornire alle grandi imprese europee l'infrastruttura educativa essenziale al mantenimento dei loro tassi di profitto" (12) . Viene infatti a realizzarsi uno degli scenari che la stessa Commissione Europea aveva delineato tra il 1990 (13) ed il 1991 (14) : un grande mercato degli strumenti didattici offerti sul mercato dell'insegnamento permanente secondo le ordinarie leggi della domanda e dell'offerta. In tale mercato i corsi sono i prodotti e gli studenti sono i clienti. "Un'università aperta, si dice, è un'impresa industriale e l'insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. Quest'impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell'insegnamento permanente".

(Commissione J. Delors)(15) e Libro Bianco UE 1996 (E. Cresson)(16)

In tempi rapidissimi i desiderata del mondo dell'impresa e della finanza trovano accoglienza in un lavoro dell'UNESCO del 1996. Una Commissione presieduta da Jacques Delors, che ha appena lasciato la Presidenza della UE, stila un rapporto che getta le basi per la scuola europea del futuro immediato (ricordo che le prime intenzioni puntavano ad una scuola nuova per il nuovo millennio). Anche la UE, crea una Commissione, presieduta da Edith Cresson, nientemeno che un ex Primo Ministro francese, che lavora nel senso delle richieste avanzate dall'ERT.
Le analisi di Delors partivano dal cambiamento di un mondo, di un modo di essere, dal passaggio dall'ingombrante cartaceo ai computer, con le illusioni tipiche create nei neofiti e le certezze di chi fa affari. Si ripeteva quanto accaduto all'inizio del Novecento, il passaggio dall'operaio con mestiere complessivo allo specializzato ad una dimensione del fordismo. Ora la catena di montaggio, le grandi concentrazioni operaie, il modo di produzione che abbiamo conosciuto cede il passo ad altro che non conosciamo. Delors prende atto di un mondo non più descrivibile in termini di sviluppo lineare e di continua accumulazione; in cui la rottura dei rapporti tra mondo produttivo ed ambiente e l'enorme conflittualità tra mercati, che si è creata con l'esclusione di gran parte dell’umanità, ha visto un continuo crescere di tensioni e di guerre.
Le risposte a queste problematiche sono molto articolate ma si possono riassumere in quattro grandi finalità per la scuola: imparare a conoscere, imparare a vivere insieme, imparare ad essere, imparare a fare. Sulle prime due c'è poco da dire, ma sulle altre è necessaria una qualche specificazione. L'imparare ad essere punta verso il riconoscere che l'essere umano è fatto oltre che di corpo, anche di spirito. Scrive Delors: "Il mondo, spesso senza accorgersene, ha un desiderio ardente, spesso inespresso, di un ideale e di valori che noi chiameremo 'morali'. E' quindi nobile compito dell'educazione incoraggiare tutti e ciascuno, agendo in armonia con le loro tradizioni e convinzioni e mostrando pieno rispetto per il pluralismo, innalzare le menti e gli spiriti fino al piano dell'universale e, in certa misura, al superamento di se stessi. Non è esagerato, da parte della Commissione, affermare che da questo dipende la sopravvivenza dell'umanità". Per quel che riguarda invece l'imparare a fare si ritorna con i piedi sulla Terra e si dice: "nell'industria, specialmente per gli operatori di macchine e per tecnici, la supremazia dell'elemento cognitivo e di quello informativo, come fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l'idea di abilità professionale e mettendo in primo piano quella di competenza personale [qui si adombrano i 'percorsi individuali' e le abilità del telelavoro, ndr] ... Tale competenza "è un misto, specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del termine, acquisita attraverso la formazione tecnica e professionale, di comportamento sociale, di un'attitudine al lavoro di gruppo e d'iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi [la 'mobilità', della quale Delors si era occupato in un Libro Bianco della UE del 1993, ndr] ". E, nonostante tante buone intenzioni, la parte essenziale è quella che conclude il Rapporto medesimo: Il sistema scolastico deve possedere "maggiore diversità curricolare e costruire passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita lavorativa ed ulteriori corsi di formazione. Una tale flessibilità contribuirebbe anche a ridurre il fenomeno della mortalità scolastica ed il terribile spreco di potenziale umano che ne risulta".
Su linee più decisamente imprenditoriali si muove il Libro Bianco della UE (Cresson) del 1996. Partendo dal riconoscimento di una società in rapido cambiamento (mondializzazione, informazione, scienza e tecnica, impresa, ... ) si afferma che la scuola si deve adeguare. In particolare la crescita dell'informazione a livello mondiale potrebbe essere di aiuto al sistema formativo. Ma per far questo l'Europa deve avere come priorità l'investire in software multimediale, data la frammentazione del mercato multimediale europeo, al fine di sfruttare tutte le potenzialità dell'educazione permanente attraverso la TV e, quando si saranno diffusi i computer, attraverso internet. Ma una 'scuola' di questo tipo non può più certificare le conoscenze attraverso un diploma che è sempre più obsoleto. E' quindi auspicabile quella "Tessera personale delle competenze" di cui prima, da spendere nella UE. Gli obiettivi principali che il sistema educativo deve conseguire sono: 1) l'avvicinamento della scuola all'impresa con l'educazione alla flessibilità ed alla mobilità; 2) il trattare allo stesso modo gli investimenti in affari e quelli in formazione; 3) la lotta all'emarginazione ed all'abbandono scolastico, che possono avere successo con l'introduzione di ogni tecnica multimediale e con i suggerimenti della Commissione: "sviluppare la concertazione ed il partenariato con il settore economico; si può ad esempio immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola ... Le famiglie sarebbero anch'esse coinvolte direttamente ..."; 4) la conoscenza di tre lingue comunitarie; 5) l'auspicio che i Paesi della UE adottino "disposizioni a favore delle imprese che attribuiscono particolare attenzione alla formazione".
A questo occorre aggiungere quanto sostenuto dal Memorandum della UE del maggio 2002. Esistono tre tipi di educazione: “quella formale che fornisce diplomi alla fine di un ciclo di studi; quella non formale fuori dagli istituti d’istruzione che non porta a diplomi; quella informale che è un corollario della vita quotidiana”. Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e contenuti. Ma dove si può educare informalmente? Lo dice la stessa UE: "Per avvicinare l'offerta di formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro". Chissà cosa avranno in mente !

Sembrerebbero cose stravaganti. Evidentemente non lo sono se nel documento Bertagna, che è la premessa alla Riforma Moratti, si legge: "In genere, si distingue tra sistema educativo informale, non formale e formale. Il primo è rappresentato dalla vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche potenzialità formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera anche irreversibile. Il secondo riguarda quell'insieme di istituzioni che, pur non essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità e sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione, tuttavia esprime intenzionalità in questa direzione in un territorio e lungo l'intero arco della vita dei soggetti. L'ultimo si riferisce specificatamente al sistema educativo di istruzione e di formazione istituito e strutturato dalla Repubblica (Stato, regioni, Enti Locali) per i minori e per le giovani generazioni. L'ipotesi di riforma che si presenta vuole essere attenta all'integrazione tra questi diversi sistemi (...). L'attenzione si sposta, dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (...) certificazione delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l'altro del sistema educativo di istruzione e formazione (...) Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (...) Si aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di maturazione educativa, culturale e professionale, (...) indipendentemente dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)". E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer.

Negli USA intanto ...

La situazione scolastica americana resta sempre il riferimento della nostra impresa. E’ lì che sono già avanti nella destrutturazione della scuola pubblica. E’ lì dove le eccellenze provengono da scuole private che costano anche 40 mila dollari l’anno, a fronte di una scuola pubblica (che serve 50 milioni di alunni) assolutamente dequalificata (insegnanti privi di titoli specifici, mancanza di essi, classi superaffollate, mancanza di fondi, diversità di curricoli da Stato a Stato, da scuola a scuola, discipline assenti dai curricoli, disomogeneità nel richiedere un esame finale, meno del 3% degli alunni con una preparazione che permetta di accedere all’Università, assenteismo, abbandoni, ...) ed individuata, senza soluzioni però, come emergenza nazionale già da Clinton (17) . Ma gli imprenditori americani vogliono di più. Non contenti degli “cheques education” [buoni scuola, ndr] che proprio da quell’anno avevano iniziato a togliere fondi alla scuola pubblica per indirizzarli alla privata, sulla spinta suggerita da Lehman Brothers (1996) di iniziare ad investire nel settore molto promettente della scuola (oltre che nella sanità), si riuniscono a Nashville (1997) (18) per delineare una strategia di intervento che prevede intanto un “accordo sulle misure suscettibili di rendere l’industria [sic] scolastica redditizia: ridurre il numero degli insegnanti aumentando il numero degli alunni per classe; ridurre la massa salariale degli insegnanti arruolando un maggior numero di giovani e di non abilitati; ridurre o sopprimere gli organismi che rilasciano diplomi di insegnamento ed affidare la valutazione delle competenze degli insegnanti ai manager delle scuole” [si sta dicendo che si può assumere personale insegnante indipendentemente da una sua qualificazione oggettiva, ndr]. Si tratta solo di rendere inoffensivi i sindacati degli insegnanti (AFT) e pare che ciò si farà, visto il vento politico favorevole. Tutto questo viene giustificato con la necessità di ridurre i costi della globalizzazione che imporrebbero risparmi anche legati alla riduzione delle tasse [sic!]. Anche negli USA si punta all’educazione mediante TV ed Internet ed in tal senso hanno esempi di ottima resa economica. Emblematico è il caso della rete TV Channel One.
I fondi che lo Stato fornisce alle scuole USA sono del tutto insufficienti. Occorre arrangiarsi, soprattutto se si vuole restare al passo in infotecnologie. Circa 12 mila scuole per oltre 8 milioni di studenti tra USA e Canada hanno stretto un accordo con Channel One secondo il quale la rete Tv fornisce alla scuola materiale audiovisivo, televisori e video (solo per opportune dimensioni, si ottiene anche il computer), in cambio la scuola si impegna a far vedere agli studenti la programmazione quotidiana di 20 minuti, dedicata alle scuole, di Channel One (reportage, sport, meteo e due minuti di pubblicità). Questi 2 minuti sono ambitissimi dalle aziende che pagano 200 mila dollari ogni spot di 30 secondi (il doppio della media del costo di uno spot). I danni di tutto questo non nascono certo da questa pubblicità che fa vendere scarpe, hamburger e caramelle ma dal fatto che quella programmazione ha assunto lo status di programma educativo moderno e disinvolto, da contrapporre agli obsoleti libri degli insegnanti (19) . Si immagini ora quali paradisi si aprirebbero dalle parti nostre ...
Sull’onda di esperienze come queste, che si vanno diffondendo soprattutto in USA ed Australia, proprio questi due Paesi spingono da anni affinché la scuola (oltre che la sanità e l’ambiente) entri tra le merci previste per il libero scambio dal World Trade Organisation (WTO) e dal General Agreement of Trade in Service (GATS). Ed anche la Banca Mondiale chiedeva di sbrigarsi nell’integrare la scuola alle strategie globali dei Paesi (20) . In tal senso è attivissimo Robert Zoellick, rappresentante dell’ U.S. Trade, l’Agenzia USA per il Commercio Estero, che è in sintonia con il Responsabile europeo per il commercio, Pascal Lamy. Questi tenne un discorso all’International Council for International Business di New York nel quale sostenne: “Se vogliamo migliorare il nostro accesso ai mercati esteri (...) bisognerà acconsentire a dei sacrifici”e cioè cedere sui pubblici servizi (tra cui la scuola) (21) . Recentemente però, a precise richieste, Lamy ha sempre fornito risposte che negavano l’inserimento della scuola nell’elenco delle merci, anche se l’argomento è già arrivato alla discussione (31 marzo 2003) in seno alla Commissione UE (era segretamente all’ordine del giorno) ed è recentissimo l’argomento capzioso che porterebbe al colpo definitivo sulla scuola pubblica: poiché essa è un servizio per il quale i cittadini pagano allora, secondo le ferree regole del WTO, non può ricevere aiuti dallo Stato. E’ elementare comprendere che ciò significherebbe la fine della scuola pubblica. E, sgomberato il campo da questo ultimo orpello (l’aggettivo pubblico), si potrebbe dispiegare in ogni sua forma l’ingresso dei privati in una entità ormai solo privata. Sta di fatto che la UE, nel vertice di Lisbona del 2000, ha deciso di occuparsi in prima persona delle scuole nazionali, con il solito slogan di scuola per tutta la vita, affermando "La sorte dell'insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve anch'esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle politiche educative. (...) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell'economia di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio".

E in Italia ?

Non entrerò nei dettagli delle riforme che, a partire dal 1997, si sono susseguite il ambito scolastico. Il mio scopo è solo quello di far conoscere alcune importanti affermazioni che compaiono in alcune leggi, affermazioni che, nella pratica, hanno cambiato alla radice la scuola italiana.
La prima legge che interviene sulla scuola è quella che introduce l’Autonomia scolastica (Legge Bassanini) (22) . La parola autonomia è apparentemente affascinante ma, nel contesto scuola, è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto propedeutici alla paventata privatizzazione. Nella suddetta Legge è scritto che si deve estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche. Nella scuola i salari diventano variabili, si introducono criteri di flessibilità, sistemi di valutazione legati all’elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati. Solo se la valutazione della produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il mondo della scuola. In modo più completo si definisce anche l’autonomia organizzativa: essa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione ed al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative ... Per la sua completa realizzazione sarà possibile superare i vincoli di unità oraria della lezione, dell’unitarietà della classe e delle modalità di impiego e di organizzazione dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali. Per buon peso si iniziano a stabilire riduzioni consistenti di docenti (circa 21mila nel 1998: si può intuire che, quando si vuole privatizzare, occorre che l’impresa sia economicamente sana perché sia appetibile) e, addirittura, si cambia il nome del Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). La sparizione di pubblico (Legge 300/99) come aggettivo qualificante l’istruzione fa il paio con altri provvedimenti che vengono presi in quegli anni: la parità scolastica tra scuola pubblica e privata (Legge 62/00), il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva 307/97), l’introduzione di crediti e debiti (DM. 24/00), ... Anche qui, come a San Francisco, occorre inventare qualcosa che faccia digerire il tutto. Il miracolo viene fatto dai pedagoghi (con psicologi e docimologi) che iniziano con la loro opera di spostamento dell’asse della scuola dai contenuti ai metodi che si avvitano su se stessi (una vera e propria deriva). La Sintesi Maragliano (maggio 1997) che spinge su nuove tecnologie è emblematica del clima: “Le nuove tecnologie dell'informazione hanno in questo senso un valore paradigmatico, dal momento che coniugano in modo visibile la componente materiale costituita dall'hardware, fondamentale per svolgere le funzioni che loro competono, con la componente simbolica del software, che determina le operazioni che vengono effettuate e dà loro senso.” e nessuno spiega che non si studierà quell’hardware né tanto meno quel software. Per la Sintesi occorre togliere alla scuola tutto quello che sa di scuola e sostituirlo con giochi, con l’alleggerimento del carico culturale, con strumenti multimediali, con divulgazioni, con testi essenziali, con il sostituire la storia con la cronaca, andando sulla strada del saper fare e con il coinvolgimento delle famiglie nel processo educativo. La Sintesi è ancora più esplicita e dice con chiarezza ciò che si vuole: “far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della ‘cultura del posto’ a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all'autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell'apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell'educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”

Il mondo dell’impresa e la Confindustria

Anche in Italia l’Impresa vuole di più e lo chiede con un documento del 1999 dal titolo accattivante "Scuola libera! Appunti per la nascita di un movimento” (23) , che ha come firmatari: Ferdinando Adornato, Dario Antiseri, Antonio Augenti, Paolo Blasi, Carlo Bo, Dino Boffo, Pellegrino Capaldo, Innocenzo Cipolletta, Emma Marcegaglia, Antonio Martino, Letizia Moratti, Angelo Panebianco, Sergio Romano, Cesare Romiti, Giorgio Rumi, Paolo Savona, Lorenzo Strik Lievers, Marco Tronchetti Provera, Stefano Versari, Giorgio Vittadini, Sergio Zaninelli. In tale documento si sostiene che la scuola non deve più essere un monopolio dello Stato ma una entità in cui gli istituti siano indotti a una emulazione per proporre la migliore offerta formativa possibile. Una nuova scuola italiana, libera, potrà affermarsi e realizzarsi solo grazie al concorso di passioni, intelligenze e culture laiche e cattoliche. Il documento immagina “una nuova scuola nella quale:
1) lo Stato finanzi ma non gestisca l'istruzione di tutti i cittadini;
2) si affermi una pluralità di offerte e istituti formativi, statali e non, e una pluralità di opzioni possibili per il cittadino;
3) viga la pari dignità tra le diverse scuole e quindi l'assoluta irrilevanza del fattore economico nella scelta da parte dei cittadini ;
4) si giunga all'abolizione del valore legale del titolo di studio,necessaria conseguenza di tale nuovo assetto;
5) A tal fine lo Stato deve fissare quanto intende spendere annualmente per la formazione di ciascun cittadino;
6) deve disporsi poi a riconoscere quella somma, diversificata a seconda del grado di istruzione, alla famiglia di ciascun alunno, utilizzando appositi bonus o altri analoghi strumenti;
7) si può infine prevedere che gli alunni iscritti a scuole non statali gravino sulle casse dello Stato per un 10% in meno di quelli che scelgono la scuola statale. C'è infatti da calcolare una serie di spese fisse che lo Stato è comunque chiamato a sostenere, ad esempio nei piccoli centri a scarsa popolazione scolastica e dove però l'istruzione va comunque garantita. C'è per converso da pensare che altri sussidi, familiari, di enti privati e imprese possano giungere alla scuola non statale.”
Si devono prevedere dei percorsi formativi individuali ed un rafforzamento della formazione professionale per legare il mondo della scuola a quello dell’impresa. Saranno i genitori a garantire le libertà di scelte educative. Dove trovare le risorse? “L'impresa deve trovare proficuo e vantaggioso investire nella scuola. Da questo punto di vista gli Stati Uniti possono insegnarci qualcosa. Particolarmente per le scuole professionali ..”. Ed anche qui si arriva ad una medesima conclusione con una possibile aggravante: che si richiami il Paese in cui ogni tecnica privatistica è stata utilizzata può essere naturale, ma far finta di non sapere che proprio negli Usa si sta ripensando tutto, compresi i buoni scuola, si sono avute clamorose bocciature di Bush in Senato, sono state bocciate in vari Stati leggi per il finanziamento pubblico di scuole private, ... beh, sembra davvero esagerato.
Ed anche Confindustria si mostra particolarmente attiva in prima persona. Inizia con un documento del 1998 (mentre si sta varando la Riforma Berlinguer), Verso la scuola del 2000 (24) , nel quale si denuncia e reclama tutto ciò che abbiamo già incontrato: troppe nozioni, troppi insegnanti, troppe scuole, costo esagerato [con confronti assolutamente disomogenei, ndr], ... comprese le conclusioni dei rapporti Delors e Cresson. Nessuna novità rispetto a quanto rivendicato dall’ERT e da altri gruppi imprenditoriali di pressione. Al momento del varo della Riforma Berlinguer la stessa Confindustria darà il suo parere molto favorevole. Certo si poteva fare di più ... (25)
L’organizzazione degli imprenditori italiana si coordina anche con altre 6 organizzazioni europee simili per varare un documento, Per una scuola di qualità (Londra 2000) (26) che compendia tutto ciò che l’impresa vuole dalla scuola: autonomia organizzativa, didattica e gestionale [nella Riforma Berlinguer i pochi soldi arrivavano dal MIUR, sostenere l’autonomia gestionale vuol dire sostenere la privatizzazione della scuola pubblica, ndr]; standard nazionali di conoscenze e competenze; un ente indipendente per la valutazione di ogni singola scuola e del complesso; finanziamento pubblico guidato dalla domanda; competizione; tecnologie informatiche e multimediali; saper fare; flessibilità del lavoro docente; docenti estremamente preparati ed in continua formazione; maggior ruolo per il dirigente; integrazione scuola impresa con l’impresa che indirizza gli studenti, con stage aziendali e per studenti e per insegnanti.

Concludendo ...

Credo che siamo oggi ad un punto di possibile non ritorno. La scuola pubblica, sommo bene da molte generazioni, quella che ha permesso l’emancipazione di tutti e ciascuno di noi è oggi a rischio. Si sta smontando, destrutturando, regionalizzando, ... per far scendere i prezzi ed immetterla sul mercato. Occorre molta maggiore attenzione a questa vicenda da parte dei cittadini tutti. Quando si avanzasse ancora su questa strada sarà impossibile tornare indietro. E, in quel momento, ogni recriminazione sarà vana. Non ci si accorge di come si sta bene fino a che non si perde quel bene.


NOTE

(1) Regards sur l'éducation. Les indicateurs de l'Ocde, Paris 1997.
(2) Hans Peter Martin, Harald Schumann - Die Globalisierungsfalle. Der Angriff auf Demokratie und Wohlstand - Reinbeck bei Hamburg 1998. In italiano: La trappola della globalizzazione - Raetia, 1988.
(3) L'Ert, fondata nel 1983 con il sostegno determinante dell'allora Commissario Europeo all'Industria Etienne Davignon e dell'ex Ministro francese François Xavier Ortoli, , riunisce i maggiori gruppi industriali e finanziari europei, con interessi nei più diversi settori: Air Liquide, BP, Bertelsmann, British Telecom, Cofide-Cir, Ericsson, Fiat, General Electric, Lufthansa, Nestlé, Petrol Fina, Philips, Renault, Rhône-Poulenc, Siemens, Société générale du Belgique, Suez- Lyonnais des eaux, Telefonica, Volvo, ... con gli italiani Romiti, Tronchetti Provera, Marzotto, De Benedetti, ...). Con la Presidenza della UE di Jacques Delors (dal 1985 al 1994) e successivamente con Santer, l'ERT si è consolidato come gruppo privilegiato d'influenza, partecipando ad ogni incontro che progettasse il futuro della UE.
Le cose che dirò in questo primo paragrafo prendono spunto da:
Gérard de Selys - La scuola, grande affare del XXI secolo - Le Monde Diplomatique, 16 giugno 1998. N. Hirtt - All'ombra della Tavola Rotonda degli industriali - Extrait de Cahiers d'Europe, n° 3, inverno 2000 e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/famiglie/poledue.html.
N. Hirtt - L'Europa, la scuola, il profitto - http://users.skynet.be/apedù e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/ped/europa_scuola_profitto.htm .
(4) ERT, Education et compétence en Europe, Etude de la Table Ronde Européenne sur l'Education et la Formation en Europe, Bruxelles, Février 1989.
(5) Commission of the European Communities, White Paper on growth, competitiveness, and employment - The challenges and ways forward into the 21st century, COM (93) 700 final, Brussels, 5 December 1993 (chapitre 3, emploi).
(6) ERT, Une éducation européenne, Vers une société qui apprend. Un rapport de la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, Février 1995.
(7) ERT, Investir dans la connaissance. L'intégration de la technologie dans l'éducation européenne, Bruxelles, Février 1997.
(8) Commission des Communautés Européennes, Livre Blanc sur l'Education et la formation. Enseigner et apprendre; vers la société cognitive, 29 novembre 1995.
(9) OCSE, Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Paris, 1996
(10) Commissione UE, L’insegnamento a distanza nel diritto economico e nel diritto dei consumi sul mercato interno, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo, 1996.
(11) OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996.
(12) Mark Murphy, Capital, class and adult education: the international political economy of lifelong learning in the European Union, Northern Illinois University, USA, 1997
(13) L'educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990.
(14) Rapporto sull'insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec(91), 388 finale, 24 maggio 1991.
(15) J. Delors, L'Education un trésor est caché dedans, Paris 1996. In italiano: Nell'Educazione un tesoro. Rapporto all'UNESCO della Commissione Internazionale sull'Educazione per il Ventunesimo Secolo - Armando Editore, Roma 1997.
(16) UE, Libro Bianco sull'istruzione e la formazione. Insegnare ed apprendere: verso la società cognitiva. COM (95) 590 finale.
(17) E' estremamente utile, a questo punto, leggere il bel lavoro di Chiara Nappi (Autonomia locale e scuole pubbliche - Sapere, Ottobre 1999) dove si traccia un quadro di grande interesse della scuola pubblica USA con la sua autonomia. Un resoconto dettagliato del livello deplorevole della scuola negli USA si può trovare in: OCSE, Education in a Glange: Oecd Indicators 1998, Paris 1998. Una storia succinta e documentata della scuola USA fino al disastro si trova al Cap. 8 di: C. Lash, La ribellione delle élite, Feltrinelli, Milano 2001.
(18) Stati Uniti: l'impresa privata all'assalto della scuola, Classe Struggle n° 26, gennaio-febbraio 2000. In questo articolo della rivista USA, si possono trovare anche dei dati sulla scuola USA.
(19) N. Klein, No Logo, Cap. IV, Baldini & Castoldi, Milano 2001.
(20) Banca Mondiale, L’educazione nel mondo che cambia, 1999.
(21) Lamy Adresses Need for New WTO Round, 8 maggio 2000.
(22) La Legge 59/97, integrata successivamente con il D.P.R. 233/8 ed il D.I. 44/01.
(23) http://www.agesc.it/Liberal.htm
(24) Confindustria - Verso la scuola del 2000 - Documenti Confindustria, 1998.
(25) Confindustria - Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione. Il parere di Confindustria - Documenti Confindustria, 1999. Si veda anche l’intervista di Attilio Oliva (responsabile Confindustria per l’Educazione a R. Bassoli (Espresso, 17 febbraio 2000).
(26) VOI (Austria), DA (Danimarca), MEDEF (Francia), BDA (Germania), CONFINDUSTRIA (Italia), VNO-NCW (Paesi Bassi), CBI (Regno Unito) - Per una scuola di qualità - Documenti Confindustria, 2000.





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 Gioconda    - 28-01-2005
A me sembra che le cose dette da De Mauro seguano temporalmente quelle scritte da Renzetti, e poiché De Mauro è un importantissimo esponente del CIDI
la cui rivista è 'Insegnare', alcuni concetti identici a quelli di Renzetti espressi da De Mauro nella parte conclusiva del suo libro, lasciano sorpresi per l'apparente identità.
Se si aggiunge poi che quei concetti, mentre in Renzetti sono conseguenziali, in De Mauro sembrano in contraddizione con tutto il resto del libro, nel quale si riconosce come ottimo l'operato di Berlinguer, la sorpresa aumenta.

 Cocco    - 30-01-2005
L’articolo di Renzetti è, a mio avviso, qualcosa di veramente nuovo e interessante.
Si scrivono tante cose sulla situazione in cui versa la scuola ma ogni situazione descritta spesso appare come contingente o al massimo legata a fenomeni recenti apparentemente indipendenti da un progetto economico vecchio, nel senso di datato.
Quanto alle osservazioni di Gioconda, che mi sorprendono piacevolmente, avevo letto "Le mani sulla scuola" nella versione cartacea della rivista "Insegnare". I contenuti lì trattati mi avevano particolarmente interessata per cui mi erano rimasti ben impressi nella mente.
In dicembre scorso mi è capitato di leggere un intervento che conteneva un estratto dal libro “La cultura degli Italiani”.
Più andavo avanti con la lettura, più mi dicevo: ”Ma io questi insoliti argomenti li conosco!” .
Mi sembrava di leggere qualcosa per la seconda volta!
Il libro di De Mauro però non lo avevo letto!
Finchè mi sono ricordata di Insegnare e, riprendendo in mano la rivista …..ecco! Erano nell’articolo “Le mani sulla scuola” di Roberto Renzetti!!!!!
Ho pensato e penso tuttora che sia importante che determinate ricerche giungano ai lettori anche attraverso la divulgazione di un libro…… però è effettivamente un po’ strano che due persone diverse abbiano seguito il medesimo percorso d’ indagine ed abbiano fatto quasi identiche osservazioni.
Per chi volesse rendersi conto direttamente dell’analogia cui mi riferisco:

http://www.retescuole.net/contenuto?id=20041218041400

Cocco