Giulia Gamba - 03-02-2006
«Agli studenti che anche in questi giorni hanno mostrato serietà, impegno e senso del dovere, manifesto la mia stima; sono orgoglioso del fatto che siano moltissimi, sicuramente la grande maggioranza» (circolare n.244 del 12-3-05). Al «Gambara» il preside Graziano Melzani incarna la figura di un Cesare in versione scolastica che ambisce a controllare tutto e tutti, a reprimere sul nascere qualsiasi forma di socialità. E quando qualcuno lo contraddice, reagisce come un padre deluso e ferito nel suo narcisismo.
«La réforme oui, la chienlit non». Così de Gaulle espone lapidariamente, al ritorno da un viaggio diplomatico in Romania, la linea da adottare contro le rivolte studentesche del maggio del 1968. Viaggi e pugno di ferro. Potere lontano ma mano pesante a sottolineare come la situazione non fosse vista tanto come una questione politica, ma piuttosto come un'onda di delinquenza, di teppismo, come una chienlit, appunto, una spiacevole baraonda messa in atto da un branco di indisciplinati, che poteva essere risolta dalla sola autorità di polizia.
E così il potere attende, a braccia conserte, sicuro di sé, fino a quando si tratta solo di studenti, meno solido si sentirà quando il movimento si sarà allargato a conflitto di classe e la crisi politica imperverserà.
Ma di fronte ad un movimento che afferma la necessità di una resistenza contro «l'autoritarismo, la burocratizzazione e l'evidente e onnipervadente ottusità pomposa della società politica»*[1] il potere sceglie la via della repressione, della difesa dell'ordine, sicuro di vincere perché gioca in casa, senza considerare che ciò che è stabilito non è per ciò immutabile, soprattutto per chi grida «L'immaginazione al potere».
«Bêtise pompeuse» è il termine che designa questo atteggiamento autoritario del culto dello stato di cose esistente, del rigido e paranoico arroccamento su una concezione forte dello stato e del suo monopolio della violenza.
E con le braccia conserte sta molto spesso la scuola "forte" (quella del preside, degli insegnanti, qualche volta dei genitori); come si fa un braccio di ferro con chi con le braccia si cinge il busto?
«La réforme oui, la chienlit non». Così de Gaulle espone lapidariamente, al ritorno da un viaggio diplomatico in Romania, la linea da adottare contro le rivolte studentesche del maggio del 1968. Viaggi e pugno di ferro. Potere lontano ma mano pesante a sottolineare come la situazione non fosse vista tanto come una questione politica, ma piuttosto come un'onda di delinquenza, di teppismo, come una chienlit, appunto, una spiacevole baraonda messa in atto da un branco di indisciplinati, che poteva essere risolta dalla sola autorità di polizia.
E così il potere attende, a braccia conserte, sicuro di sé, fino a quando si tratta solo di studenti, meno solido si sentirà quando il movimento si sarà allargato a conflitto di classe e la crisi politica imperverserà.
Ma di fronte ad un movimento che afferma la necessità di una resistenza contro «l'autoritarismo, la burocratizzazione e l'evidente e onnipervadente ottusità pomposa della società politica»*[1] il potere sceglie la via della repressione, della difesa dell'ordine, sicuro di vincere perché gioca in casa, senza considerare che ciò che è stabilito non è per ciò immutabile, soprattutto per chi grida «L'immaginazione al potere».
«Bêtise pompeuse» è il termine che designa questo atteggiamento autoritario del culto dello stato di cose esistente, del rigido e paranoico arroccamento su una concezione forte dello stato e del suo monopolio della violenza.
E con le braccia conserte sta molto spesso la scuola "forte" (quella del preside, degli insegnanti, qualche volta dei genitori); come si fa un braccio di ferro con chi con le braccia si cinge il busto?
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