Naufragio ad Otranto: i due comandanti riconosciuti colpevoli
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Il venerdì Santo del 1997 ci fu una collisione tra una nave militare italiana e una motovedetta albanese. Morirono 84 persone: i due comandanti riconosciuti colpevoli



BRINDISI - Sono occorsi otto anni per la prima sentenza del naufragio che il 28 marzo del 1997, giorno del Venerdì Santo per i cattolici, insanguinò le acque del basso Adriatico. Per naufragio e omicidio colposo plurimo il tribunale di Brindisi ha condannato oggi a tre anni di reclusione l’ufficiale della marina militare italiana Fabrizio Laudadio: quella sera era al comando di nave «Sibilla» che si scontrò con una ’carretta del marè, la motonave albanese «Kater I Rades». Su questa imbarcazione c’erano almeno 120 albanesi, che fuggivano - come migliaia di loro connazionali in quel periodo - dal loro Paese: molte erano le donne e molti i bambini. Molti furono quelli che morirono - 84 le vittime accertate, ma si è sempre detto che forse erano di più - nella pancia di quella carretta finita presto, dopo la collisione, a 790 metri di profondità.
A quattro anni di reclusione è stato condannato il presunto comandante della ’Kater’, Namik Xhaferi, che non ha mai ammesso di essere stato alla guida della motovedetta albanese. Laudadio, da solo e in solido col ministro della Difesa italiano, è stato anche condannato al risarcimento dei danni alle parti civili, compreso lo Stato albanese (da liquidarsi in separata sede), al pagamento delle spese processuali e al pagamento di provvisionali (per 41.000 euro col ministero e 93.000 da solo).
Xhaferi dovrà invece risarcire i danni al Ministero della difesa italiano (in separata sede) e dovrà pagarne le spese di costituzione parte civile (6.000 euro).

Quello in cui avvenne la collisione era il periodo della piena emergenza albanesi: a centinaia, su imbarcazioni di fortuna, fuggivano dal loro Paese. La collisione in Canale d’Otranto provocò numerose polemiche, soprattutto perchè fossero chiarite le direttive che il governo allora presieduto da Romano Prodi aveva impartito alla Marina militare italiana per il contrasto alle carrette del mare che solcavano l’Adriatico. Polemiche che giunsero fino alla forte presa di distanze di Nanni Moretti, nel film «Aprile» (1998). Sulla spiaggia brindisina di «Aprile» il protagonista si lascia andare contro i dirigenti della sinistra, al governo con Prodi, che disertano il luogo della tragedia della Kater I Rades: «Non gliene frega niente, io me li ricordo alla Fgci, vedevano Happy Days, questa è la loro formazione».

Il 28 marzo ’97 a bordo della ’Kater’ c’erano 120 persone: i numerosi corpi che finirono a 790 metri di profondità furono recuperati nell’ottobre successivo grazie all’intervento della nave oceanografica «Performer» chiesto dal pubblico ministero inquirente, Leonardo Leone de Castris.
Dal processo, durante questi anni, sono uscite molte parti civili: sono alcuni dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime con i quali sono stati concordati risarcimenti che si aggirano attorno ai 20.000 euro per ogni vittima, a seconda del grado di parentela, e 13.000 euro per i sopravvissuti al naufragio. In pochi non hanno accettato i risarcimenti del ministero della Difesa italiana restando in attesa della conclusione del processo a Brindisi.

La Kaiter I Raides aveva lasciato il porto di Valona attorno alle 16 del 28 marzo 1997. La tragedia avvenne due ore dopo. Il natante, non appena al largo dell’isola di Saseno, venne avvicinato dalla nave «Zeffiro» della Marina Militare Italiana che poi lasciò a Laudadio e alla «Sibilla» il compito di convincere il comandante del natante albanese a tornare indietro. La nave albanese era di fabbricazione russa ed era lunga 21 metri e larga tre e mezzo: era stata rubata dai gruppi criminali che gestivano il traffico di clandestini nel porto meridionale di Saranda. Il suo comandante, dopo aver ignorato per oltre due ore le intimazioni della fregata italiana «Zeffiro», fu avvicinata dalla corvetta «Sibilla» a 35 miglia al largo di Brindisi.
Secondo il pm, per un concorso di colpa del comandante della «Sibilla», che voleva fermare la rotta della ’Kater’, e di quello della motovedetta albanese, che non ascoltava le intimazioni, ci fu la collisione ed avvenne la tragedia. La motovedetta si ribaltò su un fianco e affondò: 34 furono i sopravvissuti, due i feriti e quattro i cadaveri subito recuperati.

«Sono soddisfatto per la sentenza - ha commentato il pm Leone de Castris - perchè il Tribunale ha creduto nell’impianto accusatorio. Mi auguro soltanto che non ci siano speculazioni, magari collegate al dramma dell’immigrazione clandestina. Noi abbiamo voluto soltanto ricostruire in maniera tecnica ciò che è avvenuto quel giorno e chiarire i livelli di responsabilità».

19/3/2005



 


http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_PROV_01.asp?IDNotizia=133620&IDCategoria=295



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