Eugenio Bennato - Sponda Sud: recenzione
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di Giorgio Maimone


   Grandi storie dai confini a sud del mondo


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E’ un disco che si porta dentro il sole. Dalla prima traccia fino all'ultima. Un disco che dà un'impressione di serenità e di dolcezza che pervade le dieci tracce. Ricco di voci e di impressioni provenienti dal sud del mondo, da molto più a sud di Napoli, la sponda ancora più lontana, dall'altra parte del Mediterraneo. Ma più che l'Africa, in questo disco gentile, dominano i bambini, i colori tenui, mischiati con dei rossi intensi e improvvisi. Come sei dai cieli di Van Gogh si passasse all'istante alle case dell'Alfama di Lisbona. Acquerelli e olii intensi. Colori a mano e inattesi guazzi. Eugenio Bennato domina con estrema calma questo magma musicale brulicante.

Non è mai stato un cantante in senso stretto Eugenio. Nei Musicanova cantava Teresa De Sio, successivamente a lungo la sua voce è stata sua moglie Pietra Montecorvino. In questo caso invece la voce trainante è la sua. Calma, sicura, delicata: soprattutto solare. Ed è bello seguirlo, ascoltarlo e pensare che siamo di fronte a una persona che ha ancora tante storie da cantare e da contare. Ed ha pure le parole e le musiche per farlo. Dopo 16 album e oltre 30anni di attività (che diventano esattamente 40 se includiamo gli anni della Nuova Compagnia di Canto Popolare) Eugenio Bennato sembra nato a una nuova freschezza interpretativa. Forse anche aiutato dal tema, molto sentito, forse dalla pausa di quattro anni che si è preso dal precedente "Che il mediterraneo sia", disco peraltro sullo stesso solco dell'attuale.

Ma i tempi
sono cambiati e si sente in giro un'aria migliore. Soprattutto tra i giovani, che sono i naturali destinatari di questo album. “Posso dire che questo lavoro ha sicuramente a che vedere con i miei viaggi, con le continue tournée nel mondo, con il continuo confronto fra le mie radici e le etnie di altri popoli lontani. Questo nuovo lavoro é un prosieguo del percorso precedente, è un allargamento dell’orizzonte mediterraneo a più lontane latitudini,e in particolare alla intensa e misteriosa Africa, dove colloco una mitica sponda che custodisce la fonte di tutte le leggende, e il segreto di un suono battente primitivo che attraverso deserti e mari viaggia e si diffonde e arriva fino a noi, fino alle nostre sponde, che risuonano così di antiche tammorre e chitarre, nelle campagne ricche di arte e di cultura. Da Napoli al Gargano alla Calabria quelle voci quelle melodie e quei balli mi portano ad Algeri, a Orano a Casablanca, e poi più in là al Cairo, in Etiopia, in Mozambico. Ogni tappa è una scoperta e un riconoscimento, lungo il filo di un’emozione e di un’idea , in un percorso alternativo rispetto alla devastante logica del business e dell’appiattimento globalizzante, contro la quale silenziosamente combattono i tamburi di ogni villaggio”. Così Eugenio sul sito racconta "Verso sud".

Ma, attenzione, non aspettatevi un album di musica etnica. Non ci sono darbouke o oud: solo un paio di chitarre battenti e delle percussioni, che in un paio di occasioni si allargano negli interventi dell'Orchestra del Cairo. E voci, molte moltissime voci. Registrate un po' ovunque: in Africa, come nelle campagne del napoletano, tra gli immigrati di ultima generazione come tra i bambini di una scuola elementare etiopica. Una polifonia vocale che rende ricca di colori la trama mentre i ritmi mediterranei danno calore alle sonorità dei musicisti.

Musica popolare? Sì, ma anche musica d'autore e, sotto certi aspetti, quasi musicoterapia. Ossia la ricerca di una cultura magica che si disvela sotto il manto della nostra civiltà. Sono buone vibrazioni che, a volte si esplicitano nella circolarità della danza e che molto spesso trovano nelle intersezioni delle voci la ragione intima del proprio esistere. Non dà mai l'impressione di un disco scarno, perché è denso di sensibilità popolare sia nei brani vivaci come "Ritmo di contrabbando" o "Alla festa della taranta", sia nei lenti riflessivo come "Angeli del sud" o "Canzone per Beirut".

Ogni canzone ha una sua storia e ogni canzone si riferisce a un differente Sud del mondo: "Luna napolitana" parte dal Golfo, utilizzando il napoletano come calata, ma gradatamente si trasferisce dall'altra parte del mondo, aprendosi a un'escursione nella musica (e nel canto) brasiliano. "Sponda sud" è stata registrata praticamente in diretta, il giorno stesso in cui è stata scritta, col il coro dei bambini etiopi. "Canzone per Beirut" ugualmente costruita quasi in diretta in Libano, partendo da una scritta in inglese vista sul muro "Can't stop stars from shining or Beirut from raising" che inizia a martellare in testa ad Eugenio finché diventa canzone, delicata, triste e assolutamente presente. Quasi giornalismo canoro.

"Lucia e la luna" è invece un canto popolare tradizionale, una sorta di conta della zona del Gargano, che Bennato rivitalizza trasformandola in un inno alla persistenza del dialetto, della ricchezza delle lingue e delle tradizioni popolari. "Ogni uno" mantiene ugualmente un andamento da filastrocca, mentre "Italia minore" indaga sull'infinito sud che ci portiamo dentro anche noi e "Angeli del sud" chiude in dolcezza un album tutto vissuto come nella trama di una fiaba.

Ecco, tutto il disco è parlato con parole molto semplici, con frasi adatte a farsi capire da chiunque, senza sovrastrutture complicate o fughe nella poesia: è un linguaggio quotidiano, con la luna, i cattivi, i buoni, i nomi e i cognomi delle persone considerate (da Matteo Salvatore a Manu Chao). Tutto molto semplice e lineare, tutto come si dovrebbe raccontare una storia a un bambino per farsi ascoltare. E noi, bambini per sempre, ascoltiamo con passione il cantastorie Eugenio che ci parla del mondo. Più a sud del nostro sud del mondo.

http://www.bielle.org/2007/Recensioni/rece_BennatoSpondaSud.htm



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