Internet, le mani sulla Rete. Verso il forum di Tunisi
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Internet, le mani sulla Rete. Verso il forum di Tunisi
di Toni De Marchi

Tra meno di due mesi il ciberspazio sarà “abitato” da un nuovo suffisso, o, per parlare tecnico, da un nuovo top-level domain, cioé quel suffisso che definisce l'appartenenza di un indirizzo Internet. Si tratta del dominio “eu” che finalmente definirà uno spazio virtuale europeo nel grande mondo del World Wide Web.


Una buona notizia, in qualche modo. Tanto più che al dominio “europeo” ci si è arrivati dopo una lunga e talvolta defatigante procedura dove l’ultima parola è toccata al governo degli Stati Uniti. O meglio ad un ufficio del Department of Commerce americano che sovrintende all’operatività dell’Icann, una sigla sconosciuta ai più il cui compito è regolare l’esistenza della “rete delle reti” così come la conosciamo oggi e nel prevedibile futuro.


Dall’Icann e dalle sue articolazioni dipende la vita, e la morte se del caso, di un dominio. Ossia la possibilità di avere una vita ed una visibilità propria, per quanto effimera e virtuale, nello spazio del Web. Anche la nascita del dominio “eu”, e non ha importanza se il titolare sia un gigante come l’Europa o un nano come le isole Tuvalu (uno staterello della Micronesia a cui è intestato il dominio “tv”, usato dalle televisioni di mezzo mondo per pubblicare i propri siti), è dovuto pssare attraverso questa procedura.


Negli anni, ruolo e collocazione dell’Icann sono stati più volte al centro di confronti e discussioni. Dibattiti molto esclusivi, apparentemente riservati a pochi addetti ai lavori, ma in realtà decisivi per l’esistenza stessa e lo sviluppo di Internet. Un dibattito che col tempo è diventato sempre più apertamente politico e politicizzato, venendo via via a riflettere quelle che sono le grandi divisioni del mondo relativamente alle grandi questioni dello sviluppo. E molte delle divisioni che abbiamo visto alle riunioni del Wto di Porto Alegre le potremo ritrovare, mutatis mutandis, la prossima settima a Tunisi dove si dovrebbe concludere il lungo cammino del World Summit on the Information Society.


Partito da Ginevra due anni fa, il Summit organizzato nell’ambito delle attività dell’International Telecommunication Union, un’agenzia dell’Onu, ha obiettivi importanti e grandiosi: importanti perché vorrebbe porre le basi per un mondo digitale meno segregato e diseguale di quanto non sia il mondo materiale, grandiosi perché si prefigge di elaborare una dottrina del governo di Internet che assomiglia tanto all’utopia di un governo mondiale che anche i più forsennati sostenitori delle Nazioni Unite hanno da tempo abbandonato.


A dire il vero, nessuno parla di “governo”, ci si accontentata di un più sfumato governance, un concetto che si riferisce allo stesso tempo a qualcosa di vagamente destrutturato ma anche di più complesso e pervasivo. Ma la governance di Internet passa prima di tutto per un accordo tra tutti gli attori della rete. Che non sono solo i governi, ma anche le industrie, i centri di ricerca, la società civile nelle sue articolazioni più diverse.


Per questo a Tunisi il Summit si svolgerà su più piani, teoricamente comunicanti tra di loro. Teoricamente, perché il rischio di una grande, babelica, incommunicatio è quanto mai incombente. A parole, sulla questione del superamento del digital divide, il fossato digitale che separa poveri e ricchi del mondo in maniera altrettanto radicale di quello materiale, l’accordo c’è. I Paesi ricchi si sono dichiarati disposti a mettere a disposizione risorse e strutture per aiutare quelli più poveri a guadagnare visibilità e opportunità.


Ma sulla governance l’accordo non c’è neppure a parole, anche a voler usare tutte le furbizie delle diplomazie con cui di solito si concludono questi summit delle Nazioni Unite. The United Nations will not be in charge of the Internet. Period (le Nazioni Unite non avranno il controllo di Internet. Punto) ha scandito senza possibilità di equivoci l’ambasciatore Usa al Summit, David Gross riferendosi all’obiettivo di molti di togliere agli americani il potere pressoché assoluto che hanno sulla Rete.


L’ipotesi di un “corpo” delle Nazioni Unite che gestisca e vigili la Rete piace invece ad un gruppo variegato di Paesi, dove coesistono con accenti diversi il Brasile e la Cina, il Venezuela e l’Arabia Saudita, la Francia e l’India, la Spagna e l’Iran. L’Unione Europea, dopo una deriva filoamericana, si è spostata su una posizione mediana che immagina una rete gestita da organismi tecnici dotati di autonomia e, accanto, un forum regolatorio di cui fanno parte i governi e le altre istanze, civili e industriali, che sulla rete hanno qualcosa da dire. All’altro estremo, i pasdaran americani con alcuni fedeli alleati decisi a non cedere il controllo di Internet a nessuno, e tantomeno all’Onu.


L’argomentare degli Usa è politico, o vorrebbe esserlo, e insiste sui tasti consueti della demonizzazione di qualsiasi oppositore o anche soltanto obiettore. Washington dice di temere che, se fosse l’Onu a farsi carico della governance, Paesi illiberali come la Cina o l’Iran possano condizionare la Rete in termini di restrizione delle libertà. Naturalmente dietro c’è l’intenzione di non cedere a nessun costo il controllo, perché, in quanto a illiberalità, è proprio il modello attuale che si presta ad abusi e condizionamenti. Si pensi al recente caso Yahoo-Cina, dove il gigante americano dei motori di ricerca è stato strumentale nell’arresto e nella repressione di alcuni dissidenti cinesi di cui Yahoo stesso aveva fornito alle autorità di Pechino gli elementi per identificarli e incastrarli.


Difficile dunque dire quale Internet uscirà dal Summit tunisino. Di certo l’obiettivo di un riequilibrio del peso degli attori nella definizione della policy della Rete è un’esigenza economica e strategica prima ancora che politica tout-court. Nei prossimi dieci anni una fetta consistente (c’è chi azzarda percentuali oscillanti tra il 15 e il 20) del prodotto interno lordo mondiale dipenderà direttamente dalla Rete. Un dato di cui molti cominciano ad avere consapevolezza anche in quest’Europa dove esattamente quindici anni l’inglese Tim Berners-Lee inventò nei laboratori del Cern di Ginevra una cosa che chiamò il World Wide Web e cambiò la storia del mondo.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=45692



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