Kalòs ìrtate stin ''Grecìa Salentina''!
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Elisa Faiulo

Kalòs ìrtate stin "Grecìa Salentina"!






Lungo la strada che da Lecce porta a Otranto, giù per la Serra di Calimera si legge su un cartello giallo e nero in grande "Kalòs ìrtate" e poi in basso "Calimera". Il paesaggio è mediterraneo, candidi muretti a secco cingono le campagne, case a corte di pietra imbiancate di calce, stradine e viottoli serpeggiano le sterminate distese di ulivi grigio verdi, mare blu cobalto. Ma come è possibile? Tutto sa di greco, sì la Grecia è a due passi, ma qui siamo in Italia! In effetti non siamo in Grecia, ma nella Grecìa.
Grecìa, chi è costei? Come per il Carneade de I Promessi Sposi si poteva ripetere l'esclamazione manzoniana fino a qualche anno fa. Tranne gli "addetti ai lavori", filologi e linguisti, pochi sono a conoscenza dell'esistenza di un'isola linguistica ellenofona nel cuore del Salento, a metà strada tra Otranto e Lecce, ora ridotta solo a nove comuni, ma che fino a qualche secolo fa occupava quasi tutto il Salento, in particolare la fascia che si estende ad arco tra Ionio e Adriatico e che congiunge Gallipoli a Otranto. La Grecìa Salentina odierna, invece, comprende i comuni di Calimera, Sternatìa, Zollino, Martano, Martignano, Castrignano dei Greci, Corigliano d'Otranto, Melpignano, Carpignano.
Gli abitanti stessi dell'area, i griki, quasi si vergognavano di questa loro origine, tendevano a nasconderla, come un'imperfezione della propria personalità, un difetto da correggere, parlavano una lingua bastarda da dimenticare, perché considerata un ostacolo all'apprendimento dell'italiano. Spesso, chi parlava una lingua diversa suscitava diffidenza, sdegno, sarcasmo, disprezzo... forse un po' l'invidia degli abitanti dei paesi vicini. Per questo era stato coniato per i "greci" un motto sprezzante e lapidario: "Gente con due lingue, gente con due facce". Bastava che i salentini uscissero dalla loro Grecìa per sentirsi guardati con ilarità e ostilità, come dimostra un altro motto popolare che risale al periodo dell'Unità d'Italia: "Se ti trovi in un vicolo cieco, salva il lupo e uccidi il greco".
La diversità impediva la comunicazione e quindi la diffusione della conoscenza reciproca. Dunque, non rimaneva molta scelta per un greco-salentino: abbandonare la propria lingua e adeguarsi alla maggioranza oppure lottare con tutte le proprie forze per cadere nel destino di confinati nel più totale isolamento. Così, gli antenati hanno espresso nel canto, nei cosiddetti Traùdia, il travaglio, la miseria e la fatica di gente "esule" - come i neri d'America nelle immense Piantagioni - non schiava fisicamente, ma schiava di un destino assurdo, forse mai completamente italianizzata e integrata, portatrice di civiltà, come tutte le minoranze etnico-linguistiche, ma anche aggressiva, e perciò mal tollerata dalle genti circostanti.
La mancanza di relazioni ha contribuito, purtroppo, in maniera determinante a mettere in crisi l'esistenza della Grecìa, riducendola a un gruppo sempre più stretto di parlanti, come afferma un giornalista greco, Demetrio Lambikis: "La lingua dei poeti greco-salentini è una lingua povera, nel contenuto. È fatta, per lo più, di piccole frasi: è come un quadro sbiadito in più punti e pieno di vuoti... Quelli che la parlano, il popolo, non la scrivono; quelli che la scrivono, i letterati, non la parlano". Ma, è vero anche, che la solitudine di tanti secoli ha fatto sì che si sviluppasse nel Salento un'area di cultura fra le più originali esistenti in Europa. Si scopre, così, l'importanza e la dignità di una cultura e di una lingua, tramandata oralmente, che avevano superato quasi indenni tanti secoli, favorite da una società chiusa che le aveva conservate inconsciamente come in uno scrigno.
Tutto questo non va inteso come evasione o come nostalgica rievocazione di un passato mitico e felice, ma come riscoperta, appunto, di una cultura, sepolta nell'oblio degli abissi dei secoli e riportata alla luce dagli scavi dell'archeologia della memoria, che fa riaffiorare il passato come "quei terribili polsi dei morti / che ogni volta rispuntano dalle zolle / e stancano le pale eternamente implacati". Cultura fatta di inenarrabili sofferenze, di aneliti alla libertà, di conquiste ottenute a prezzo di sacrifici altissimi.
La propaggine della Grecìa Salentina, è considerata di tipo culturale, nessuno pensa di avanzare pretese o rivendicazioni di tipo diverso: non appartengono, infatti, a quest'area desideri di autonomia. Anche volendo, d'altra parte, sarebbe difficile identificare la Grecìa Salentina con la Grecia, sebbene la matrice greca sia quella meglio impressa nella lingua, nei costumi, nelle tradizioni. Possiamo essere messapi e greci, goti e longobardi, normanni e svevi, francesi e poi spagnoli e forse anche un po' arabi e turchi. È il destino dei crocevia, delle zone di frontiera e il Salento, punta sporgente dell'Europa del Mediterraneo, ha assorbito qualcosa da tutte le culture che, attraverso il Mediterraneo, qui si sono affacciate, come il mare che dopo la tempesta restituisce gli oggetti smarriti.
Le due anime del Salento, le due Terre-Madri, la greca e la romanza non hanno mai vissuto separatamente, anche se i contrasti non sono mancati dovuti soprattutto agli eventi storici, ma si sono amalgamate, influenzandosi e fondendosi, proprio come un processo osmotico irriversibile, in un'unica soluzione. La cultura greca convive in simbiosi con quella romanza e viceversa, scambiandosi continuamente, ne sono testimoni le due lingue. La greca, assimila sempre di più vocaboli romanzi, apportando solo modifiche nella flessione; la romanza, comunque grecizzante, presenta vocalismo, sintassi e vasto vocabolario greco, anche se con flessione romanza, dando origine a particolari fenomeni linguistici e culturali del tutto autonomi. Il greco si sovrappone al romanzo e viceversa in più strati, come la farcitura di una torta: i confini sono indecifrabili, è quasi impossibile porre limiti, come all'orizzonte la foschia confonde i colori, sfumandoli e a volte rendendoli impercettibili, ma pur sempre presenti. Sono metonimicamente parti della stessa cosa, parti dell'identità greco-salentina.
È l'identità-sandwich, di cui parla Salman Rushdie in Patrie Immaginarie, non più unica, ma frammentata e che emerge a piccoli bocconi. La filastrocca a pagina 11 simbolizza perfettamente questo tipo d'identità: O, my shoes are Japanese / These trousers English, if you please / On my head, red Russian hat -- / My heart's Indian for all that. L'identità dell'autore come quella degli altri scrittori migranti è plurale e parziale nello stesso tempo; scrivono e osservano il mondo, oggi, da una doppia prospettiva, perché capaci di stare contemporaneamente dentro e fuori la società.

L'origine della Grecìa non è scaturita da un atto di conquista da parte dei Greci, ma è stata il risultato dell'ospitalità offerta dagli autoctoni a chi era costretto a fuggire dalla propria patria. Secondo Erodoto, Teseo dopo aver ucciso il Minotauro, insieme a Jàpix figlio di Dedalo e agli ateniesi liberati, che erano stati mandati come tributo a Minosse, fuggirono da Creta, ma sorpresi da una tempesta naufragarono e approdarono sulle coste del Salento. E poi ancora, l'immigrazione greca continuò nel periodo Bizantino e si intensificò a causa delle persecuzioni turche con l'avanzata dell'Impero Ottomano. Tutta la sua storia, dunque, fatta di fierezza e di tolleranza, di lavoro, di simbiosi tra genti diverse, ha costruito un ponte verso altri popoli, che gli ultimi griki di oggi vogliono testardamente attraversare.
Forse è da questo che deriva l'uso di vedere "l'altro" come "forestiero" e non come "straniero", cioè come colui che viene da fuori: lo dice la parola stessa, forestiero < lat. foris "fuori" e dal provenzale forestier, persona che non è nativa del luogo in cui si trova, né ha in esso stabile residenza, ma è venuta da altra città o da altra nazione per trattenervisi per un tempo più o meno breve, o come turista. "Straniero", invece, < lat. extraneus "estraneo" diverso dal solito o dal comune, dal normale, molto singolare, si riferisce a persona, che ha un carattere, un modo di pensare e di sentire e in genere un comportamento diverso da quello della maggior parte degli uomini, mette in evidenza una valenza psicologica e una connotazione ostile e di avversità che suggerisce un senso di esclusione dell'altro.
Forse non a caso sulla stele del IV secolo a. C. donata da Atene a Calimera nel 1960 si legge: tzeni su en ise ettù sti Kalimera che vuol dire "straniera tu non sei qui a Calimera". Questa frase potrebbe riferirsi a chiunque e esprime quel senso di familiarità e ospitalità per chi viene da "fuori".
Oggi tutti i mezzi di comunicazione e di trasmissione del pensiero consentono di considerare il Salento non più un'isola remota di ellenismo, ma un ponte, un varco, che permette di uscire dall'isolamento di zona confinata, un tramite efficace di scambi con il vicino Oriente, che potrebbe arrecare vantaggi reciproci enormi, non solo alla cultura, ma anche all'economia, al commercio, al turismo, agli scambi di ogni genere. Ponte spesso interrotto da vicende storiche. Il nuovo Stato Italiano, sorto nel 1861, con la rigida burocrazia sabauda, si è poco curato di allacciare serie e costruttive relazioni diplomatiche col vicino Stato Greco, sorto sulle ceneri dell'Impero Ottomano. Gli orrori della Prima Guerra Mondiale si sono rivissuti nella Seconda e per di più, con l'aggressione alla Grecia, l'Italia ha tentato di impadronirsi di qualche briciola del disgregato Impero dei Sultani, come Rodi e il Dodecanneso, spettante di diritto alla Grecia, avvelenando, così, i rapporti tra le due nazioni.
La diversità non è considerata una contrapposizione, ma è un fattore di ricchezza e sviluppo per tutto il territorio e dal punto di vista umano, di conoscenza dell'altro anche per conoscere meglio se stessi. Per questo, oggi, resta la volontà e l'impegno di salvaguardare un patrimonio linguistico e culturale di cui i soli valenti e gelosi custodi sembrano rimanere gli anziani ancora fieri di dire "ìmesta griki" siamo greci. Nella speranza che il tentativo non sia inutile, in un periodo in cui è impellente l'esigenza di definire qualche tratto preciso di identità collettiva, espressione della tradizione europea contro la più totale massificazione e omologazione.
La Grecìa punta a un nuovo tipo di conquista che cambia, come cambia la prospettiva: conquistare "decolonizzando", non con i ferri, ma con le armi dell'arte, della scrittura, della letteratura, della cultura, della lingua, della solidarietà. Non c'è niente da perdere, ma tutto da guadagnare. Proprio come al tempo dei Romani quando vennero a contatto con i Greci; in questa occasione Appio Claudio scrisse: "Graecia capta, ferum victores artes intulit in medio Latio". Secondo lui, se i Romani erano riusciti a conquistare la Grecia con le armi, quest'ultima li conquistò con le arti. È la storia che si ripete e continua, ma questa volta in modo diverso.



La nostra lingua

Cos'è la nostra lingua? Ragazzo mio!
Non sono parole d'un vecchio manoscritto,
che a fatica impari a decifrare;
né parole scolpite
sopra un'antica lastra di pietra,
su di un muro, in una grotta.
La nostra lingua è voce,
voce soltanto.
Tu mi chiedi qual è il suo inizio, come è giunta fino a noi
chi l'ha portata da queste parti, chi l'ha appresa per primo.
Chi lo sa, ragazzo mio!
Non ti importa saperlo.
È la voce che abbiamo succhiato
dal seno di nostra madre: come il suo latte
dolce,
come il sorriso delle sue labbra;
voce che ci vestiva, trastullava, accompagnava a letto;
voce che ci insegnava le canzoni, le preghiere, l'amore,
e il mondo;
voce dell'ulivo, del fico,
voce del focolare (...)

Come il fuoco è la nostra lingua:
ci ha riscaldato la vita.
Nessuno ha messo più ramoscelli,
nessuno ci ha soffiato sopra
perché la fiamma s'alzasse un po';
e adesso si spegne,
con noi.

Che ti rimane? Un po' di cenere, un mucchietto bianco:
se tu vai a toccarlo, con una paletta nera,
se provi a rivoltarlo, ecco, vien fuori una scintilla,
una timida fiammella,
e si spegne poi,
con te.

Glòssama

Ti ene glòssama? Pedàimmu!
'En i' lloja tze chartì,
ka 'su pianni ce mattenni meletonta;
c' en i' lloja ka vrìkane grammena
's kané mmea paleon lisari,
's ena tticho kau stin grutta.
E glòssama e' ffonì,
fonì manechò.
Me rotà pos entzìgnase, pos èttase 's emà,
is tin èfer' etturtea, is tin èmase pronò.
Is to tzeri, pedàimmu!
'E ssu ndiàzzete n'o tzeri.
'E ffonì pu vizzàsamo atti mmana: kundu o gàlati
glicèa,
kundu o jejo atto llemò;
fonì pu mas èndinne, mas èpezze, mas èperne sto gratti;
fonì pu mas èmase a traùdia, ce a pràmata teù, ce in agapi,
ce o kkosmo;
fonì tze poràddia, tze sucèa,
fonì tze kantuna (...)

Sa llumera e' ppuru e glòssama,
ka mas tèrmane i zzoì.
Tispon èvale pleo tzila,
tispo fìsise 'cipanu n'^ai na jìri lion e vampa;
ce arte sbìnnete,
ma ma.

Ti su meni? Lillì statti, enan aspro kulumài:
an esù pai n'on enghisi, ma mia mmavri paletteddha,
a pa' n'on escalisi, na! su kanni kammia spitta,
sozzi doi mian addhi vvampa;
depoi sbìnnete,
ma sena.


Testimonianze di Italiani emigrati all'estero. Queste poesie sono tratte dalla raccolta inedita Addio Terra che non sei mia di Donato Orlando, salentino emigrato in Svizzera.


Fanno crepar la gente
1951
Tutti dicono che in Svizzera non si
fa niente, al contrario, vi dico
che fan crepar la gente.

La mattina eccola già
Ti vesti in fretta e il letame vai
a cacciar.
Dopo il letame a munger le vacche,
poi allor si prende il caffè e latte.

In Italia quando piove tutti andiamo
a ripararsi.
In Svizzera, al contrario,
nella pioggia siamo sparsi.

I padroni abituati nella pioggia
e nella neve, non si curano
di noi, anche se la vita è breve...

Solo ti dicono, "Prendi il palettò
Che vien la plui" e tu devi andare
A costo di morì.

Che li venisse un colpo! Vedono
Che l'acqua è lesta.
"Su prendi il paniere che si va
in foresta..."
lì a segare, lì a spaccare.
"Su facciamo presto, ché a cinquore
dobbiamo andare".

Arrivati a casa stanchi come un cane
di nuovo si prende a cacciar il letame.
Fatto questo in svelta, "su prendi i secchi
a munger di saetta".

Padrone di munger ho finito, adesso
cosa si fa? "Prepara il carretto
e l'erba per domani".
Lui con la macchina e tu col falcione
vai a falciar quell'erba dentro quel burrone.



Devo farle un espresso
1951
A mia moglie l'avevo promesso
se parto in Svizzera più in Italia
non vado, ma forse son costretto
di farle un espresso che la raggiungo
in aeroplano.

Se resto qui, addio bellì, invece
d'andare a trovare Mariù, vado in cielo
a trovare Gesù.

La mattina buia ti senti già chiamare
"Su alzati italiano e subito a lavorare"

Fino alla sera tardi lavori ne fai cento,
nemmeno un momento ti fanno riposar.

Ti fanno gran sgobbare per sole cinque lire
Haimè ti fan morire, povera gioventù...



All'alba se ne parte l'emigrante
1951
All'alba se ne parte l'emigrante
per mai più ritornare in queste terre.
Ma appena s'allontana da Coffrane
sente le nostalgie italiane.
Il Padrone:
"Italian torna qui, voglio farti
una buona volta morì"
L'emigrante:
"In stazione rosso è già il segnale
tra pochi istanti il treno deve passare
ed io che con ansia qui lo aspetto
di corsa monterò su quel diretto."
In Italia lui andrà, la mia bella
io vado a trovà
E te oh ingiusto ti lascio
a munger le vacche e le stalle a pulir.



Dice che non ritorna ma poi si pente
1952
L'italiano si sente contento,
che dell'estraneo ne ha preso l'ambiente.
Egli scrive al suo amore lontano,
le dice non sono più italiano.

Sì resto qui, se vuoi venir,
preparati un lasciapassare, prendi il treno
e mi vieni a trovare.

Così gli scrive Ginetta, gli dice: "Bugiardo
e di cuore trastullo, mi giurasti stringendomi
al seno che certo ritorni, non sei un fanciullo

No! Non verrò, ma fede avrò che certo
verrà un bel dì, tu ritorni al mio seno abbracciar".

Ed ora mia cara Ginetta, visto e costretto
l'amor tuo sincero, io lascio il falso
pensare, ti giuro di cuore ritorno a Natale.

Sì, sì verrò, t'abbraccerò pregando
il Buon Dio di unita,
farci felici per tutta la vita.



Notte triste
1952
Notte che triste sei, ma nessun ti vede.
Solo io che soffro ti posso credere.

Un letto ancor disfatto da stamattina
tace solitario ma nessuno mi sgrida.

Nessuno mi dice vieni a dormir che è l'ora.
Mi guardo solo intorno e bevo un caffè ancora.

Oh notte come sei lunga!
L'alba non spunta mai; soffriamo solo
noi due e nessuno lo saprà mai.

Rivolgo solo le onde a chi nel pensiero
è a me vicino, ma troppa è la distanza
non so se ci arrivo.

Notte che triste sei! Ma nessun ti vede.
Solo io che soffro ti posso credere.

Tanti come me sperano alla realtà.
S'augurano come me che un'alba spunterà.



Addio terra che non sei mia
1975
Addio o terra che non sei mia,
ma che per anni mi facesti da culla.
Addio o gente ambiziosa e fasulla
Io spero mai più ritornar.

Ricordo sempre quel dì che varcai
il confine, un libro mi fu dato sul treno.
Diceva: "Attenzione! straniero,
ché un ambiente diverso sarà.

Se tutto ciò a voi non conviene,
si consiglia indietro tornare.
Le consuetudini voi non potete cambiare,
e ognuno sopportar dovrà".

Mi convinsi e sopportai.
Per venticinque anni non ti lasciai,
ma sempre avevo in sogno
in Italia far ritorno.

In Italia e a casa mia,
Addio o terra che non sei mia.



Casetta mia
1975
Quanti anni son passati, da quando
ti lasciai, ora tutto è finito ormai
e a te ritornerò

L'attesa e la costanza, per me immensa
fu, ma ora ritorno a te per non
lasciarti più.

Per te versai sudore, sapendo che
sei mia, così ritorno a te cara casetta mia.

Saremo sempre insieme quel tempo
che mi resta.
Si scorda il passato e sarà
una gran festa.



Addio Svizzera addio
1975
L'emigrante se ne va;
ma se lo vorrà quel Dio,
mai più ritornerà.

Si porta via con sé un qualche
ricordo caro, un qualche franco svizzero
con tanto sangue amaro.

Ricorda spesse volte le vostre cortesie.
Ma scordar pur non può
le vostre tirannie.



Il pimo articolo è tratto da: Tommasi, S., Katalisti o Kosmo, Tra passato e Presente, Lingua, tradizione e folklore nella Grecìa Salentina, Circolo Cult. Ghetonìa, Calimera, 1996.


Note

(1) Bodini, V., "Foglie di Tabacco", da La Luna dei Borboni e altre poesie, www.club.it/autori/grandi/vittorio.bodini/poesie.html


Bibliografia

Aprile, R., Buratti, G., Rohlfs, G., Colella, L., Grecìa Salentina, Problemi e Documenti, Cavallino di Lecce, ed. Capone, 1978.
Aprile, R., Grecìa Salentina, Origini e Storia, Calimera, ed. Ghetonìa, 1994.
Bodini, V., "Foglie di Tabacco", da La Luna dei Borboni e altre poesie, www.club.it/autori/grandi/vittorio.bodini/poesie.html
Orlando, D., Addio Terra che non sei mia, inedito.


kuma n.9-10/2005


http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/SEZIONI/critica/critica-faiulo-9-10.htm



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