L'autonomia scolastica

di Anna Balducci

La recente "legge sull'autonomia scolastica" (L. n. 59/1997), in attesa dei decreti e/o regolamenti applicativi, sembra proporci una nozione di autonomia del tutto diversa da quella che buona parte del mondo della scuola si attendeva: ancora una volta si privilegia il decentramento amministrativo senza significative innovazioni su compiti e funzioni degli organismi centrali (Ministero in particolare).
  • Già nei Decreti Delegati del 1974 (frutto di un forte impegno non solo del mondo della scuola, ma anche del mondo del lavoro in generale) si era affermato che la scuola non è un'attività amministrativa che può essere gestita dal Ministero attraverso i suoi uffici periferici, ma una istituzione che, a tutti i livelli, deve rapportarsi alla società e che nello stesso tempo deve essere espressione del pluralismo culturale che la società esprime; in definitiva la scuola pubblica non può essere espressione della maggioranza di governo. A tal fine si inaugurò un sistema di governo democratico non solo delle singole scuole, ma della scuola nel suo complesso, a tutti i livelli.
  • Questo nuovo sistema avrebbe dovuto garantire che l'istruzione pubblica, in quanto compito della Repubblica, corrispondesse non solo alle "esigenze dell'utenza", ma soprattutto all'interesse della collettività nel suo complesso. La Scuola avrebbe dovuto assumere il ruolo di "funzione dello Stato".
  • Tutti sappiamo che questo sistema di governo democratico non ha funzionato perché impedito e privato di ogni effettivo potere dagli apparati burocratici, cioè dal sistema gerarchizzato e verticistico con cui la scuola è stata gestita dopo i Decreti Delegati.
  • Tanto che attualmente la scuola italiana non amministra se stessa in base all'autonomia e alle libertà che la Costituzione le assegna, ma è completamente gestita da un apparato burocratico formalmente e sostanzialmente estraneo al sistema istruzione.
  • Se non vi sarà il coraggio politico di energiche "potature", questo stato di cose porrà serie ipoteche sullo stesso decentramento e sulla nozione di autonomia. Esiste infatti un duplice rischio:
    1. di veder riprodotti - a livello locale - uffici fotocopia di quelli centrali con proliferazioni burocratiche tali da soffocare ogni germe di autonomia;
    2. l'accettazione di un appiattimento del sistema formativo su modelli e valori di tipo economico (la scuola-azienda al servizio del consumatore).
    • Onde evitare ciò:
    1. da un lato l'istituzione scolastica deve mantenere un confronto-distacco rispetto alla società, perché le finalità della Scuola debbono essere decise in modo razionale e democratico: esse attengono alla formazione dell'individuo e del cittadino e tendono sia a diminuire le disuguaglianze di partenza che a rendere ciascuno consapevole della propria tradizione;
    2. dall'altro una riforma gestionale della scuola non può limitarsi ad accrescere e puntualizzare gli spazi delle singole istituzioni scolastiche (come se l'autonomia si realizzasse attraverso una sommatoria di particolari), ma deve intervenire sulle forme di governo complessivamente intese, al fine di garantire un effettivo pluralismo culturale del sistema formativo.
    • Sotto questo profilo la legge Bassanini è assolutamente insoddisfacente: manca la certezza di una ridefinizione del ruolo del Ministro P.I. in rapporto all'autonomia scolastica.
    • Il Ministero P.I., come tutti gli altri Dicasteri, avrà certo minori competenze gestionali, ma sembra restare immutata la valenza dei compiti di indirizzo, programmazione e controllo su tutta l'attività concernente la scuola e quindi senza distinzione tra attività amministrativa ed attività più specificatamente didattiche.
    Il Ministero continuerà a "dirigere" le scuole e la stessa loro autonomia
    sarà ancora un'autonomia dimezzata in una scuola ancora ministeriale.
    • Questo senza considerare che il quadro complessivo entro cui collocare l'autonomia scolastica deve essere ancora pensato e definito, benché il Ministro abbia elaborato progetti e proposte - in corso di discussione - tali da ridisegnare un nuovo modello di scuola.

    II

    • Ma cosa si aspetta il mondo della scuola, il comune cittadino, da una scuola autonoma?
    • Anzitutto l'autonomia è un "modo" di svolgere determinate attività. L'autonomia scolastica è quindi una forma di governo della scuola, ma non realizza di per sé un rinnovamento dei contenuti culturali e del ruolo della scuola. L'autonomia non può sostituire un progetto culturale che ogni sistema scolastico nazionale deve avere ed aggiornare rispetto alle esigenze concrete della società. In conclusione non esiste un progetto di "autonomia scolastica", ma possono esisterne tanti.
    • Si tratta quindi di chiarire quale autonomia scolastica si vuole, per quale scuola e soprattutto per quale società.
    • Se l'autonomia scolastica è una forma di organizzazione del sistema scolastico, è quindi un "mezzo" per perseguire un "fine". L'autonomia può essere prevista per realizzare un "decentramento territoriale" e quindi una maggiore adattabilità di una determinata attività alle diverse esigenze; può essere intesa invece come garanzia per impedire possibili interferenze di parte di altri soggetti; può essere anche l'uno e l'altro.
    • Quale è il fine dell'autonomia scolastica?
    • Nell'ordinamento statale, tra tutte le attività riconducibili allo Stato, il principio dell'autonomia si afferma con riferimento all'istruzione (per l'istruzione universitaria l'autonomia è un principio costituzionale). Tanto che la legge, per i primi 20 articoli, disciplina il decentramento delle funzioni amministrative in generale di tutti i settori dell'Amministrazione statale, mentre introduce una forma di autonomia soltanto per le istituzioni scolastiche.
    • L'attività formativa pubblica, pur essendo riconducibile allo Stato, non può essere omologata all'attività burocratica-amministrativa della Pubblica Amministrazione. L'attività formativa, in uno Stato democratico, deve essere gestita in modo che sia garantita la sua essenziale natura di libera attività. Essendo l'attività scolastica fondamentalmente di natura culturale, devono essere garantiti i principi di libertà di pensiero e di insegnamento che prima ancora di essere sanciti costituzionalmente, sono le precondizioni della democrazia.
    • Quindi la natura e la finalità dell'attività formativa postulano l'autonomia della gestione di tale attività. Ed in ciò sta la ragione per cui, mentre per tutti gli altri settori della P.A. si pone essenzialmente un problema di decentramento e quindi di maggiore efficienza e corrispondenza ai bisogni della collettività, per l'istruzione pubblica, oltre a tale esigenza (anch'essa fondamentale), si pone l'ulteriore e peculiare esigenza dell'autonomia, intesa soprattutto come garanzia che nella scuola non può esserci un'egemonia culturale, ma devono essere garantiti il pluralismo culturale e la libertà di insegnamento (effettiva libertà e non discrezionalità soggettiva).
    • Libertà di insegnamento significa che, nell'ambito dei princìpi di democrazia e di libertà sanciti nella Costituzione (che è il patto sociale su cui si regge il nostro ordinamento), l'indirizzo culturale dell'insegnamento non può essere "imposto" dallo Stato-apparato, ma deve essere definito, a tutti i livelli (nazionale e locale), da organismi democratici e rappresentativi e primo fra tutti dal Parlamento, nel rispetto del pluralismo culturale del nostro Paese.
    • Nel nostro sistema scolastico invece, per motivi vari, a parte sporadici interventi del Parlamento, l'indirizzo culturale dell'insegnamento pubblico è sempre stato deciso ed imposto dal Ministero e molto spesso dall'apparato ministeriale, al punto tale che oggi è difficilmente immaginabile una scuola "autonoma" dalle direttive e circolari ministeriali. Mentre la libertà d'insegnamento s'è andata trasformando in "discrezionalità individuale".
    • E il ruolo del Ministero P.I., per quanto attiene la definizione degli indirizzi culturali rispetto alla scuola, è rimasto nella sostanza (a parte ovviamente i contenuti) quello stesso del Ministero della cultura popolare. È però evidente che un indirizzo culturale ministeriale, tipico dei regimi , è incompatibile con il principio della libertà di insegnamento che postula invece un sistema scolastico aperto all'apporto delle diverse realtà culturali e professionali esistenti nel paese.
    La scuola pubblica si deve distinguere dalla scuola di "tendenza" per il pluralismo culturale che la deve caratterizzare e per essere scuola di tutti e per tutti.

    III

    • L'autonomia deve realizzare senza dubbio un ampio decentramento del governo della scuola, e deve arricchire le competenze gestionali e didattiche delle singole scuole, ma soprattutto deve essere una garanzia di indipendenza dagli indirizzi culturali del governo o dell'apparato ministeriale.
    • Una tale esigenza, che è già presente nel principio costituzionale della libertà di insegnamento, si colloca oggi nell'ambito del sistema di garanzie che la nuova legge elettorale in senso maggioritario e le proposte di rafforzamento dell'esecutivo rendono necessarie. Libertà di insegnamento e conseguente autonomia scolastica sono non solo garanzia del pluralismo culturale nella scuola, ma soprattutto garanzia dell'assetto democratico e pluralistico del nostro Stato.
    • L'autonomia -della Scuola e delle scuole - non va perciò confusa con il problema della forma delle autonomie locali: il semplice trasferimento alle Regioni di funzioni oggi svolte dall'Amministrazione Centrale inciderebbe solo sulla forma dello Stato, mentre le scuole continuerebbero ad essere gerarchicamente al servizio di un'Amministrazione estranea.
    • Un'organizzazione autonoma delle singole scuole richiede non solo un'indipendenza del sistema formativo dal potere esecutivo, ma anche un'organizzazione democratica orizzontale: si deve cioè prevedere una partecipazione paritaria di tutti i soggetti che operano nella scuola alle decisioni della vita scolastica. In quest'ottica libertà di insegnamento significa partecipazione al confronto delle diverse esigenze e delle diverse opzioni culturali.
    • Autonomia e libertà di insegnamento presuppongono una consapevole partecipazione collegiale: il docente in quanto vincolato da un contratto è un dipendente con precisi obblighi (orario, svolgimento attività ecc.), ma la prestazione di lavoro va al di là del quantificabile (è forse quantificabile la riflessione, l'analisi, l'esperienza e la cultura individuale?) e necessita del libero confronto per garantire un effettivo pluralismo.
    • In definitiva si richiede una seria responsabilizzazione del docente nella progettazione e valutazione del processo formativo
    • Ora, poiché la "qualità" di un sistema è data, prima che dalla bontà formale dell'architettura, dalla sapiente valorizzazione di chi opera in esso, non avremo significativi cambiamenti al sistema scolastico italiano qualora i docenti siano relegati a un ruolo subalterno (che non compete loro).
    • Occorre definire con cura lo standard dell'insegnante determinando i requisiti (il saper fare e il saper essere) ma nel contempo occorre definire il valore sociale (e non solo) che siamo disposti ad attribuirgli.

    IV

    • Ciò che si chiede è un'autonomia capace di realizzare le finalità "formative" della scuola. Questo presuppone:
    • un'organizzazione generale in cui Regioni o enti intermedi esercitino le funzioni e i poteri organizzatori e tecnico-gestionali attualmente controllati dal Ministero o dai relativi uffici periferici;
    • uno Stato che determini i "core curriculum", gli standard e il sistema di valutazione;
    • un'amministrazione dei singoli istituti fondata sulla differenziazione e integrazione dei ruoli:
    1. da un lato le responsabilità gestionali, amministrative e didattiche che prevedono funzioni professionali e organi propri fondati sulla collegialità e l'interazione nella logica della rete (e che quindi eliminano qualsiasi verticismo);
    2. dall'altro l'ambito della partecipazione di genitori e studenti che si esplica sia attraverso autonomi organismi (comitati e assemblee), sia attraverso l'utilizzo degli strumenti amministrativi innovativi (L. 142/90 e L. 241/90) che vanno dall'istituzione del "difensore civico", quale garante dell'istruzione (nominato da genitori e studenti), all'accesso ai documenti e alla trasparenza degli atti;
    • la centralità della responsabilità e dell'autonomia professionale dei docenti, e il conseguente ruolo essenziale del Collegio in merito alla programmazione educativa e alle scelte didattiche da attuare nelle singole realtà;
    • una riforma culturale della scuola che preveda curricoli flessibili oltre al già previsto superamento della struttura a classi. Il tutto in favore di una struttura a corsi indipendenti dall'età e tali da costruire percorsi differenziati. Questo per evitare che difficoltà in alcune discipline provochino ripetenze o peggio l'occultamento delle lacune mediante "fittizie sufficienze";
    • un'autonoma possibilità di portare avanti "ricerca didattica" e aggiornamento secondo criteri funzionali alle singole realtà e agli effettivi bisogni della società (in collegamento con le Università e il mondo del lavoro);
    • la definizione di un sistema di rapporti a livello orizzontale in cui collocare l'autonomia delle singole scuole (come per esempio la creazione di reti di scuole, di dipartimenti disciplinari, la generalizzazione di osservatori ecc);
    • la ridefinizione della composizione e delle funzioni di quegli organi di democrazia scolastica veramente utili e compatibili con un efficace sistema decentrato;
    • l'individuazione di organismi indipendenti e garanti del pluralismo culturale con responsabilità sia di supporto tecnico professionale che di controllo, valutazione e garanzia dei diritti di tutte le componenti (tra questi organismi potremmo prevedere funzioni specifiche per l'Ordine Professionale dei Docenti).
    • Ovviamente autonomia non può significare autoreferenzialità né, tanto meno, autogoverno del mondo della scuola chiuso in se stesso. La scuola pubblica, in quanto corrispondente alle esigenze della collettività deve essere anzitutto "governata" dalle istituzioni rappresentative dell'intera collettività e quindi in primo luogo dal Parlamento per le scelte di carattere generale.
    • Nell'ambito di tali scelte tutta l'attività volta a definire gli indirizzi culturali, le innovazioni, ecc., (che finora è stata gestita dal Ministero P.I. senza alcun dibattito culturale trasparente e pubblico), per garantire l'apporto di tutti gli orientamenti culturali, deve avere una sua sede visibile, trasparente e rappresentativa del pluralismo culturale del nostro paese, in modo da garantire l'apporto di tutti gli orientamenti culturali.

    V

    • Tutto questo non trova riscontro nella legge che entro la fine di quest'anno dovrà essere applicata, ma ci sono margini entro cui i regolamenti in corso di emanazione possono colmare le lacune.
    • Tre i punti salienti:
    1. la ridefinizione delle competenze del Ministero (di cui si è già detto) e la conseguente riforma degli Uffici periferici (comma 18) nel senso di uno snellimento burocratico severo: non pare logico infatti mantenere la situazione attuale che vede coesistere (con competenze diverse ma sovrapposte) nel medesimo capoluogo di provincia, l'assessore comunale della P.I., l'assessore provinciale della P.I., il Provveditore agli studi e in più, nei capoluoghi regionali, l'assessore regionale alla P.I. e il Sovrintendente. Contemporaneamente si deve prevedere la soppressione di enti o organismi non più compatibili con un sistema di autonomie basato sul principio della responsabilità: in particolare si dovranno eliminare gli IRRSAE, il CNPI, i Consigli Distrettuali e Provinciali;
    2. la previsione di adeguate forme di finanziamento: l'autonomia non può essere realizzata a costo zero. L'attribuzione di nuove o diverse competenze non accompagnate da adeguate risorse finanziare vanifica le competenze e determina situazioni di frustrazione tali da inibire e mortificare ogni tipo di rinnovamento;
    3. la completa definizione in senso lato del comma 17: "Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree" - al fine di dare piena attuazione alle anticipazioni verbali del Ministro che più volte si è detto consapevole dell'atipicità della funzione docente .
    • Autonomia, riforma, riassetto dell'intero pianeta scuola gravitano totalmente intorno alla funzione docente. Resteranno semplici esercitazioni verbali e riforme di facciata se non vi sarà un serio e generoso intervento capace di rimotivare sul piano professionale ed economico l'intera classe docente. E il primo passo sarà quello di chiarire l'ambiguità del comma 17, nel senso di definire per i docenti un'autonoma area contrattuale collegata al riconoscimento di livelli di eccellenza nell'esercizio della funzione e di spazi per l'articolazione di carriera secondo un modello di organizzazione professionale e di selezione che tuttavia non allontani il docente dall'insegnamento.

    balducci.anna@iol.it

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