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I limiti della comunicazione
di Marco Morosini
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Riassunto
La vivibilità dell’infosfera è un bene da preservare come la vivibilità della biosfera.
La cultura telematica interattiva povrebbe stimolare la riflessione sul diritto di non omunicazione, favorendo l’estensione del principio pull anzichè push al resto dell’infosfera. Il paesaggio tornerebbe così ad essere un luogo da godere e da vivere piuttosto che un luogo da dover sempre leggere.
Come accade per i flussi di energia generati dall'intervento umano, oltre una certa soglia anche i flussi d'informazione comportano effetti indesiderati. Occore quindi considerare le possibili conseguenze non solo delle energie e delle informazioni "sporche" ma anche di quelle cosiddette "pulite".
Con i mezzi tecnici e con le concentrazioni finanziarie attuali, il principio della libertà d’espressione, affermatosi due secoli fa, diventa impraticabile se non include il diritto di non ricevere. Parafrasando Voltaire: "Concordo con quello che dici, ma sono disposto a battermi per il diritto di ognuno a non essere obbligato ad ascoltarti".
Da qualche decennio la crescita dell'informazione prodotta e messa in circolazione dalla specie umana è esponenziale. Con le tecnologie telematiche l'accesso a un volume crescente e teoricamente alla maggior parte dell'informazione umana sta diventando praticabile, benchè, per ora, per meno del 2% della popolazione. Parallelamente a questa esplosione della facoltà di accesso a informazioni confinate nella memoria dei computer assistiamo però anche a un'altra esplosione: quella della comunicazione di informazioni non richieste. Cresce esponenzialmente la porzione degli spazi pubblici e privati occupati o ricoperti da messaggi non richiesti. Dalle campagne pubblicitarie miliardarie alla t-shirt autofabbricata grandi e piccoli emittenti di messsaggi competono sempre più aggressivamente per aggiudicarsi una tra le più limitate risorse dell'umanità: l'attenzione.
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BIT E WATT
"Quando le quantità di bit e di watt - cioè di informazione e di energia - incorporate nelle merci industriali prodotte in massa superano una certa soglia, inevitabilmente generano un'abbondanza che impoverisce. Quest'abbondanza è spesso troppo limitata per essere condivisa, oppure distrugge le libertà e i diritti dei più deboli."
Da quando Ivan Illich scrisse queste parole (Toward a history of needs, Heyday Books, Berkeley, CA, USA, 1977, 1978. Disoccupazione creativa, Red, Como, 1996) molta attenzione critica è stata dedicata alla crescita dell'energia consumata dall'umanità ma meno alla crescita dell'informazione e della sua comunicazione. La consapevolezza dei danni sociali e ambientali dovuti alla crescita eccessiva dei consumi di energia si sta lentamente diffondendo. Per l'informazione e la comunicazione sembra invece accadere il contrario. Il loro volume cresce ancora più rapidamente di quello dell'energia consumata, ma questo non sembra preoccuparci. Anzi, in genere consideriamo questa crescita benefica di per sè. Per l'informazione si sta probabilmente verificando un fenomeno analogo a quello che accompagnò lo sviluppo delle tecnologie energetiche moderne. Per più di un secolo le ciminiere e le locomotive fumanti furono il simbolo stesso del progresso. Anche oggi molti ritengono che non vi possa essere un alto livello di benessere senza un alto consumo di energia primaria e che siamo ancora lontani dalla soglia critica dove consumo energetico e benessere entrano in conflitto.
Eppure già nel 1896 il premio Nobel Svante Arrhenius aveva calcolato molto realisticamente le possibili conseguenze climatiche del rapido trasferimento nell'atmosfera delle nostre miniere di carbone sotto forma di CO2 (aumento dell'effetto serra naturale). Più tardi, ci siamo accorti che anche le tecniche energetiche nucleari e idroelettriche comportano notevoli, anche se diversi, costi umani e ambientali. Anche i parchi di generatori eolici che si diffondono nel Nordeuropa cominciano a incontrare la resistenza di alcuni cittadini e amministratori perché producono inconvenienti. Pannelli fotovoltaici e termosolari generano direttamente meno problemi, ma i loro costi economici ed ambientali di produzione e di smaltimento nonchè la superficie che richiedono, ne rendono impossibile un uso illimitato. Sta così emergendo un'attenzione critica non solo verso la qualità ma soprattutto verso la quantità assoluta dell'energia impiegata. Anche nella cultura tecnica e nelle sue implicazioni sociali emerge così un principio ben noto a chi studia i viventi e il loro habitat: "there is no free meal in nature" (in natura non esistono pasti gratuiti). Per quanto oggi indispensabile, diventa quindi insufficiente limitarsi a distinguere tra energie più sporche o più "pulite". Diffondere inoltre l'llusione che possano davvero esistere energie pulite sembra il modo migliore per eludere il vero problema. Si veda per esempio la intensa campagna pubblicitaria "Il metano è natura".
Per l'economista Jeremy Rifkin l'eventuale futura accessibilità di fonti energetiche pulite, sicure, a buon mercato o addirittura gratuite altererebbe in modo incalcolabile numerosi equilibri biogeofisici su cui si basa la vita sulla Terra, compresa la vita umana. Per il fisico tedesco Hans-Peter Dürr, occorre orientarsi presto verso una società da 1,5 kW , dove un ammodernamento delle strutture tecnologiche ma anche di quelle sociali consenta di creare benessere consumando meno di 1,5 kW di energia primaria pro capite al giorno. Si tratta di una quantità relativamente modesta se si considera che equivale al solo consumo elettrico attuale di un frigorifero oppure che un kW è l'energia necessaria per sollevare una persona di 75 kg dal livello del mare alla cima del Monte Bianco.
Mentre cominciamo a prendere le distanze dall'utopia delle energie pulite e inesauribili, possiamo però continuare a perseguire una crescita illimitata dell'informazione circolante? Come per l'energia, anche per l'informazione dobbiamo cominciare a considerare entrambi gli aspetti: la qualità e la quantità.
Qualità dell'informazione. Una facoltà antica di ogni collettività, quella di distinguere gerarchicamente tra disinformazione, informazione, sapere, cultura e saggezza, sembra oggi venirci meno. Sappiamo sempre di più, capiamo sempre di meno, ha osservato qualcuno. Eppure i sistemi industriali di comunicazione e la loro concentrazione stanno moltiplicando l'emissione indiscriminata di qualunque informazione, prescindendo da ogni gerarchia qualitativa o, più spesso, invertendo addirittura le priorità della sequenza gerarchica che abbiamo indicato. Spesso più un messaggio è inutile o dannoso e più viene diffuso. Si confronti per esempio la spesa mondiale per promuovere il tabagismo o l'automobilismo con la spesa per prevenirli.
Quantità dell'informazione. Occorre porsi domande cui non siamo ancora abituati: quanti libri, videocassette o CD posso verosimilmente non solo possedere ma anche leggere, vedere o ascoltare? Quanti giornali di carta o elettronici? Quanti messaggi pubblicitari obbligatori? Quanti canali radio o tv? La facoltà d'accesso ovviamente non è una necessità o un obbligo d'accesso. Oppure sì? Siamo sicuri della sostenibile leggerezza dei 500 canali tv? Non solo - ed è qui il punto - di 500 canali scadenti, che possiamo alla leggera ignorare; ma anche della eventuale inquietante disponibilità di 500 canali eccellenti? Vivere in una perpetua colonna sonora musicale ci fa davvero apprezzare di più la musica? Usare la radio (le radio) "come una tappezzeria sonora" (Glenn Gould) ci migliora davvero la vita?
Si affacciano così due necessità, forse due urgenze: quella di limitare drasticamente la quantità di comunicazione obbligatoria ma non richiesta; chiamiamola informazione sporca (es. pubblicità, propaganda, diffusione forzata di messaggi). E quella di autolimitare anche la quantità d'informazione che potremmo chiamare pulita; cioè quella a cui deliberatamente dedichiamo una porzione crescente delle nostre energie e della nostra vita; in piccola parte per fruirla, in parte sempre maggiore per crearla, trasmetterla, comprarla o vederla. Anche senza fruirla. Per esempio metà delle pubblicazioni scientifiche mondiali non verranno mai citate nelle nuove pubblicazioni. Quanta energia, quanta natura, quanta vita umana sono costate?
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VIVERE PER L'INFORMAZIONE
La produzione di informazione è una delle caratteristiche, forse la principale, che distinguono la materia vivente. Considerato termodinamicamente, ogni vivente è un sistema semichiuso che trasforma energia solare in informazione. Il bilancio termodinamico della nostra presenza sul pianeta è in buona parte costituito dall'informazione e dall'eventuale ordine che lasceremo: qualcosa di unico e nuovo che prima di noi non esisteva. E che esisterà solo grazie al modo in cui avremo utilizzato il flusso di energia solare - diretta o indiretta - di cui viviamo. Qualcuno l'ha chiamata neghentropia, cioè entropia negativa. Ordine e complessità che si crea. E nessuno sa se capisce perché ciò accada.
Una parte della nuova informazione che lasceremo sarà contenuta in pochi nanogrammi di DNA per i nostri figli. Un'altra parte resterà nei vettori semantici indiretti (oggetti) e in quelli diretti (suoni, parole, scritti, raffigurazioni a due o tre dimensioni) che abbiamo prodotto, oltre che nella memoria dei viventi cui avremo trasmesso qualcosa. Il costo energetico e ambientale per creare questo patrimonio di nuova informazione è oggi, per l'intera vita di un europeo, di circa 300-400 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio) e di circa 4-5000 tonnellate di natura trasformate in rifiuti. Così come fanno un virus, una palma o un'aquila, passiamo, trasformiamo il mondo grazie alla luce del sole, lasciamo informazione. Come sempre, i poeti lo dicono meglio:
"Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera".
Parole preziose, visto anche il loro costo in quantità di mondo trasformato. Ai tempi di Salvatore Quasimodo però un'europeo medio consumava probabilmente un decimo dell'energia e della natura che consuma oggi. Inoltre la cultura media prodotta allora valeva probabilmente di più di quella media prodotta ora. Anche oggi si producono porzioni di cultura altrettanto buona o anche migliore. Ma la cultura di massa (pubblicità, televisione, radio, stampa) in pochi decenni è molto cresciuta di volume e scaduta di qualità. La buona cultura contemporanea viene quindi diluita a tal punto da essere forse meno utile e fruibile di quanto lo fosse mezzo secolo fa.
Nei paesi ricchi questi due fenomeni paralleli - la crescita della quantità di energia e di natura consumata e la diminuzione della qualità media della cultura circolante - connotano l'ultimo mezzo secolo come un salto molto brusco nella storia umana. Secondo Jeremy Rifkin 250 milioni di statunitensi consumano una quantità di natura (energia e materiali) equivalente a quella consumata da 20 miliardi di persone che consumassero come la media mondiale senza gli Stati Uniti. Molti si rendono conto che il consumo medio statunitense non è già oggi sostenibile globalmente per 250 milioni di persone e che tanto meno lo sarebbe per 6-10 miliardi. Quasi nulla viene fatto per ridurre questo consumo nelle proporzioni veramente necessarie, cioè di almeno 10 volte entro mezzo secolo (Istituto di Wuppertal: Per una civiltà capace di futuro, EMI, Bologna, 1996, www.citinv.it/iniziative/futuro. Greening the North. A postindustrial blueprint for ecology and equity, ZED Books, Londra, novembre 1997. Trad. it.: Futuro sostenibile, EMI, Bologna, settembre 1997). Ma almeno si sta diffondendo, specialmente nei paesi del Sud, la consapevolezza dell'eccesso di consumi energetici e materiali dei paesi ricchi.
Lo stesso invece non accade per l'informazione. Radio, televisioni, reti telematiche, satelliti, telefoni cellulari, cartellonistica stradale, videoconferenze, viaggi di persone, pubblicazioni scientifiche, stampa ed editoria: tutto ciò si moltiplica. Questo fenomeno favorisce ovviamente anche la circolazione dell'informazione utile. La velocità con cui questa viene prodotta e diffusa è però inferiore alla velocità con cui viene prodotta e diffusa l'informazione inutile o dannosa. Stiamo quindi creando un crescente inquinamento da informazione e comunicazione analogo e forse ben presto peggiore a quello energetico e materiale.
Percepire i rischi di questa crescita richiede un difficile cambiamento di paradigma. Da secoli ci sembra che la moltiplicazione del sapere e della sua comunicazione sia stata e sempre sarà un fenomeno solo positivo. Ma nell'era della tecnica moderna non è più così. Energia nucleare, diffusione globale di inquinanti di sintesi, manipolazioni genetiche e liberazione di organismi manipolati, clonazione di piante, di animali e di umani, lettura del genoma umano: la praticabilità tecnica di queste azioni mette in luce la nuova ambivalenza del sapere e del saper fare (v. Hans Jonas, Principio responsabilità, Einaudi, Torino, 1990. Günter Anders, L'uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino, 1992).
Si pone così per la prima volta nella storia umana la necessità di limitare due tipi di sapere: il sapere che rende potenti, cioè quello tecnico-scientifico. E il sapere che rende impotenti, cioè la comunicazione di massa controllata da interessi particolari.
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IL TENENTE DROGO E L'AMEBA
La crescita dell'energia disponibile (fonti fossili e nucleari) e dei mezzi per creare il sapere (informazione) e per diffonderlo (comunicazione) hanno aumentato le opportunità di creare o scoprire cose utili. Basti pensare all'ipotesi di una disintegrazione con bombe nucleari di un grande meteorite diretto sulla Terra. Se ciò accadesse - non è impossibile - le attuali ragionevoli critiche al nucleare dovrebbero essere probabilmente viste in un'altra prospettiva.
Parallelamente alle opportunità di salvezza, un eccesso di energia e di informazione aumenta però anche le opportunità di autolesione. Confrontando l'adattabilità umana a quella delle amebe o degli insetti osserviamo che i nostri 2-4 milioni di anni sono brevi rispetto ai loro più di 100 milioni. L'economista Georgescu-Roegen osserva che dopo la nostra estinzione, probabilmente l'ameba sarà ancora lì. Come specie umana avremo forse bruciato il nostro destino in un modo intenso e rapido, mentre l'ameba sarà ancora lì a vegetare. A meno che.... A meno che non attendiamo il giorno del riscatto. Dopo aver disintegrato con i nostri missili il minaccioso meteorite, forse diremo all'ameba: "Hai visto? Se non fosse stato per Prometeo, Cartesio, Bacone, Hahn, Oppenheimer e von Braun ora saremmo persi tutti e due". Non si può escludere questa ipotesi. Ma nemmeno quella che il tenente Drogo si spenga prima dell'arrivo dei Taratari. Magari per essersi addormentato con una sigaretta accesa. Il mito di Prometeo, citato spesso nella filosofia critica della tecnica (v. Hans Jonas e Günter Anders) ci ricorda che il fuoco è stato a lungo fonte di civiltà: dai cavernicoli, alla poelle bavarese dove Cartesio scrisse il suo cogito, a James Watt e alla rivoluzione industriale. Ma il fuoco è anche un potente fattore entropico. Sarebbe curioso che mentre tutte le specie mutano creando ordine e complessità dal disordine, proprio la specie che si considera più evoluta resti vittima di un eccesso del fuoco che ha acceso.
Ma tutto ciò cosa c'entra con i limiti della comunicazione? In termodinamica c'è una funzione che potremmo estrapolare dal mondo fisico a quello della cultura umana, l'energia libera di Gibbs (G). Questa (G) è un potenziale: equivale alla somma dell'energia (E) e dell'entropia negativa (- S) di un sistema e indica il lavoro che esso può svolgere a temperatura costante (T):
G = E - TS
Intuitivamente si può paragonare la funzione G alla capacità complessiva di uno scalatore. In vetta può arrivare un alpinista molto muscoloso e resistente (E) ma dotato di una tecnica (- S) scarsa. Oppure un alpinista poco muscoloso ma dotato di grande tecnica. Del primo si dice che sale di forza, del secondo che sale di tecnica. Ai grandi pianisti occorrono in genere molte ore di esercizio fisico ogni giorno. A Glenn Gould bastava mezzora al giorno. Gli bastava poi, come lubrificante, la poca energia dell'acqua tiepida in cui immergeva le mani prima del concerto. Alcuni concerti li provava solo suonandoli nel pensiero. "Si suona con la testa, non con le dita" diceva. Davide e Golia, Ulisse e Polifemo sono altri esempi di come la facoltà di vivere e di agire con successo possa essere composta di proporzioni differenti di energia e di informazione utile. Se la parte inutile o dannosa dell'informazione circolante cresce incontrollatamente fino a compromettere la parte utile, il rischio è una perdita complessiva di libertà. In Italia, per esempio, il messaggio pubblicitario "Il metano è natura" raggiunge la popolazione con un'efficacia suggestiva e una frequenza miliardi di volte superiore al messaggio "Il metano (combusto e incombusto) aumenta l'effetto serra".
Vogliamo sottolineare la complementarietà del fattore energia e del fattore informazione. Se si riesce a coglierla si può affrontare con meno sospetto l'ipotesi che un ulteriore progresso umano richiederà non solo l'autolimitazione dell'energia consumata ma anche qualche forma di autolimitazione del volume di informazione indiscriminata circolante.
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DALL'ATOMO AL BIT: ECOTOSSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
La vivibilità della infosfera è un bene da preservare come la vivibilità della biosfera. Per certi versi la crescita esponenziale dell'emissione di messaggi nell'ambiente culturale è analoga alla crescita esponenziale dell'emissione di sostanze create dall'uomo nell'ambiente materiale. Non andrebbero però ripetuti gli stessi errori commessi con l'uso indiscriminato della chimica di massa nella prima società industriale.
"Chemie erobert die Welt" (La chimica conquista il mondo) fu il titolo di un popolare libro tedesco degli anni trenta. L'ottimismo di quel testo ricorda a volte alcuni testi attuali sulla società dell'informazione. In meno di un secolo la chimica industriale di massa conquistò effettivamente il mondo portando grandi benefici ma generando anche danni e minacce per la vivibilità della biosfera. E' per questo motivo che al principio della libera e illimitata produzione ed emissione di qualunque sostanza nella biosfera, si sta lentamente sostituendo un principio di controllo e di limitazione. Lo stesso dovrebbe avvenire nella infosfera, applicando anche in senso ecotossicologico la formula di Negroponte "dall'atomo al bit". Secondo Jeremy Rifkin nei prossimi anni la varietà e la quantità dell'inquinamento da informazione potrà portare inconvenienti comparabili con quelli dell'inquinamento materiale.
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MENO CARICHI AMBIENTALI CON I COMPUTER?
Probabilmente non accadrà che l'inquinamento immateriale (bit) sostituisca quello materiale (atomi e radiazioni). Il rischio è che i due fattori si moltiplichino. "Accesso invece di mobilità" (Armory Lovins), oppure: "computer invece di automobili", si dice. Un ecobilancio del 1997 dell'Ökoinstitut di Darmstadt è tuttavia abbastanza negativo verso certo telelavoro, dove le strutture di fatto si raddoppiano e l'intensità d'uso di ogni struttura si riduce. Inoltre lo zaino ambientale (peso dei rifiuti / peso del prodotto) di una tonnellata di automobile (con obsolescenza tecnica di 1-2 anni e commerciale di 7-9 anni) è di circa 25 t di rifiuti; lo zaino ambientale di 15 kg di computer (desk-top, con un'obsolescenza tecnica di 6 mesi e commerciale di 2-3 anni) è di 15 t di rifiuti. Il suo zaino ambientale specifico ([peso dei rifiuti / peso del prodotto] / durata del prodotto) è cioè circa mille volte superiore a quello di un'attuale automobile. Sarà bene pensarci ogni volta che ci rechiamo in auto ad acquistare un nuovo computer, oppure quando scarichiamo dal sito internet di un costruttore di automobili il promotional interattivo di una vettura da 1400 kg che consuma 15 litri/100 km. Inoltre va considerato che la moltiplicazione per 100 o per 1000 dei contatti con partner lontani ha due effetti: da una parte risparmia alcuni spostamenti ma dall’altra genera - forse più rapidamente - il desiderio o l’esigenza di nuovi e più lontani spostamenti di persone e di materiali.
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CENSURA O LIBERTA'?
Controllo e limitazione dell'emissione di messaggi evocano giustamente preoccupazioni antiautoritarie. Diventa, quindi, indispensabile sottolineare l'antitesi tra rivendicazioni libertarie e rivendicazioni liberiste, due termini che oggi alcuni confondono. E' ad un principio antiautoritario e libertario che si appellano, per esempio, i tre o quattro oligopoli globali alimentari-tabacchieri quando per continuare a propagandare i loro prodotti ai bambini e agli adolescenti fanno appello alla libertà d'espressione. Per uscire da questo equivoco sulla libertà d'espressone occorre distinguere tra la messa-a-disposizione del messaggio e la sua ricezione obbligatoria. Oggi qualunque chimico ha libertà di sintesi e può creare qualunque nuova sostanza in laboratorio. Se però volesse diffonderne nella biosfera migliaia o milioni di tonnellate, deve cominciare a rendere conto dei loro effetti.
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LA SCALA INDUSTRIALE NELLA COMUNICAZIONE
L'enorme salto di scala avvenuto nel passaggio dall'alchimia alla chimica moderna (1800) e poi a quella industriale di massa (dal 1950) ha messo in evidenza - a posteriori - la necessità del controllo sociale sulle emissioni materiali nella biosfera. Anche nell'infosfera occorre un analogo controllo. Ovviamente non si tratta di limitare la libertà di produrre messaggi e di metterli a disposizione. Occorre invece un controllo sociale sulla loro diffusione in proporzioni industriali e con modalità di ricezione obbligatorie e sperequate (comunicazione di interesse). Come ha osservato Ivan Illich, fino a pochi decenni fa la maggioranza dei messaggi ricevuti da una persona erano emessi da un'altra persona e indirizzati singolarmente. Oggi invece la maggior parte dei messaggi che riceviamo sono emessi da poche persone, diffusi in scala industriale e indirizzati anonimamente a milioni o miliardi di persone (I. Illich, Disoccupazione creativa, Red, Como, 1996). Per far fronte alla concorrenza tra queste crescenti emissioni, gli emittenti continuano a moltiplicarne la frequenza, la potenza e la portata. Per esempio in molti paesi l'industria pubblicitaria ha un tasso di crescita molto superiore a quello del PIL (In Italia: + 10% nel 1996, + 8% nel 1997). E' ovvio che come esistono limiti materiali alla crescita materiale, ne esistono anche alla crescita delle emissioni di informazione. Anzi, non è ovvio. E questo è il problema.
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COMUNICAZIONE PULITA: UN PATTO A DUE, NON A TRE
La credibilità dovrebbe tornare a essere il capitale degli emittenti di messaggi. Il capitale non dovrebbe invece essere fonte di credibilità. Occorre cioè una rivoluzione copernicana nelle strutture di comunicazione oggi prevalenti.
Il presupposto per una sintonizzazione libera e utile è il credito che si dà a un emittente. Spesso questa è l'unica, fondamentale, forma di interattività. Quella cioè che ci consente di servirci di messaggi monodirezionali (es. previsioni del tempo, segnaletica stradale, giornale, telegiornale, libro). Questi messaggi sono basati su un patto di fiducia tra soli due partner: emittente e ricevente. L'irrompere di un terzo partner estraneo (il finanziatore/co-emittente) può corrompe il patto di fiducia, perchè genera messaggi terzi, non richiesti e non necessariamente credibili o benéfici. Oggi i messagi terzi (propaganda commerciale a pagamento) hanno in genere abbandonato la funzione di stampella dei media che avevano all'inizio (es. Carosello in tv) per diventare motore e volante di macchine disinformative sempre più potenti e incontrollabili. Per il direttore del quotidiano Le Monde, Colombani, la comunicazione sta soffocando l'informazione. Per comunicazione si intende qui la diffusione di massa e obbligatoria di informazioni pagate dall'emittente invece che dal ricevente, cioè la comunicazione d'interesse.
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IL LAVORO DI PERCEZIONE O DI RIFIUTO DELLA COMUNICAZIONE
Un crescente e pesante lavoro forzato di percezione, selezione o rifiuto della comunicazione viene svolto da masse crescenti di persone, che per svolgere questo lavoro pagano invece di essere pagate.
Lo stesso accade per il lavoro forzato di selezione e di rifiuto delle comunicazioni non richieste: posta pubblicitaria da vagliare o cestinare, telemarketing via fax e telefono da vagliare o respingere, pagine pubblicitarie da voltare, inserti e gadget da smaltire, volantini da togliere dal paraprezza, frequente uso del telecomando televisivo.
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DAI DANNATI DELLA TERRA AI DANNATI DELLA TELEVISIONE
Secondo alcuni studiosi, con la crescente automazione l'attività della popolazione consisterà sempre più nel consumare e sempre meno nel produrre. Secondo Lester Turow ("il turbo-capitalismo") la tendenza globale è verso il tittytainment, un termine che evoca un misto di allattamento compulsivo e di intrattenimento. L'occupazione crescente sarà cioè quella di farsi nutrire e intrattenere. Produrre sarà un'occupazione per pochi o per poco tempo, che delineerà non già la paventata società dei due terzi bensì la società 20:80 (H. Martin - H. Schumann, Die 20:80-Gesellschaft - La società 20:80, pp. 9-23, in: Die Globalisierungsfalle - La trappola della globalizzazione - Rowohlt, Amburgo 1996).
In questa prospettiva, il lavoro forzato di percezione di messaggi non richiesti sta diventando una porzione crescente del lavoro da cui emanciparsi. In milioni di abitazioni delle favelas brasiliane, manca il lavoro ma non la televisione, spesso accesa quasi ininterrottamente sull'emittente politico-commerciale Rede Globo. In questo caso il passaggio dal lavoro forzato alla comunicazione forzata sembra già molto avanzato. Come dimostrano i casi del Brasile e di altri paesi dell'ex terzo mondo, la comunicazione forzata non è una prerogativa postindustriale dei paesi più ricchi. Anzi in molti di questi, per esempio nel Nord Europa, le ore quotidiane di ascolto televisivo sono ben inferiori a quelle dei paesi del Sud a disordinata crescita economica. Sono quindi i dannati della terra (Franz Fanon) coloro che rischiano più di altri di diventare i dannati della televisione. In Brasile per esempio, i dannati del Globo. Forse non è un caso che proprio nel paese di Fanon la risposta a questa minaccia susciti forme estreme di reazione che si mescolano con il fondamentalismo religioso. In diversi paesi islamici, per esempio, le antenne televisive satellitari vengono da alcuni definite "antenne paradiaboliche" e in certi casi punite o vietate.
Il lavoro forzato dei bersagli umani della comunicazione può sembrare ben poco gravoso se comparato alle servitù schiavistiche, feudali e industriali dei secoli scorsi o a quelle attuali di più di un miliardo di persone. La gravità dell'estendersi di questo lavoro forzato non risiede però solo nel suo peso su chi lo esegue, cioè sul pianeta interno delle persone. Un altro suo peso insostenibile è quello sul pianeta esterno: i comportamenti di alcuni miliardi di consumatori forzati e disinformati stanno infatti influenzando le condizioni materiali per la vita della nostra e di altre specie con conseguenze dannose o mortali difficilmente calcolabili.
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LA MERCE-ATTENZIONE: L'ORO IMMATERIALE DEL 2000
Nello scenario del crescente lavoro forzato di ricezione di messaggi seriali non richiesti, la merce più contesa sta diventando l'attenzione dei candidati a consumare. Pochi si rendono conto che sono gli stessi forzati di questo lavoro a pagarne la tariffa attraverso i sovracosti pubblicitari contenuti nei prezzi delle merci. Per esempio, sul prezzo di 100.000 lire di certe scarpe sportive, 4.000 vanno in pubblicità e marketing, 2.000 in manodopera. Un caso evidente di servitù comunicazionale già doppia rispetto alla servitù lavorativa.
Nonostante la merce-attenzione sia una risorsa finita e non rinnovabile, essa viene allocata in modi che solo a volte prevedono un pagamento riconoscibile. Per esempio la copia del Times regalata a tutti i lettori da Bill Gates per lanciare Windows '95. Oppure i programmi radio-tv e i giornali che apparentemente paghiamo a metà prezzo o punto, in cambio della nostra attenzione alla propaganda commerciale che contengono. Oppure: gli allacciamenti internet o telefonici gratis, a patto di smaltire frequenti comunicati commerciali.
Una buona porzione della merce-attenzione la allochiamo inoltre senza contropartita diretta ad emittenti compulsivi, per es. ai cartelloni, alle scritte e ai marchi che invadono gli spazi visuali pubblici e privati oppure alla propaganda sonora compulsiva nei supermercati e altrove.
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L'INTERATTIVITA' COME MODELLO: PULL ANZICHE' PUSH
Le tecniche potenzialmente interattive (es. internet), possono promuovere alcuni princípi da estendere al resto dell'infosfera. Se per esempio l'informazione sulle merci fosse di tipo pull anzichè push, la quantità di risorse consumate dall'industria pubblicitaria (materiali, energia, ore di lavoro degli emittenti, ore di attenzione dei riceventi) potrebbe essere enormemente ridotta, tornando a un livello fisiologico e restituendo al paesaggio il suo ruolo di luogo più da vivere che da leggere.
A questa riduzione dello spreco si accompagnerebbe un aumento di qualità dell'informazione commerciale. Per conquistare la credibilità e quindi la preferenza dei riceventi, gli emittenti dovrebbero infatti migliorare la qualità totale dei loro messaggi. Può sembrare un'impresa difficile. Ma in fondo si tratterebbe semplicemente di introdurre il libero mercato anche nell'informazione sulle merci. Considerando però che il vero utente dell'informazione non è colui che la emette (es. UPA, Utenti Pubblicità Associati), bensì colui che la riceve. Del resto, in un libero mercato gli utenti dei veicoli sono coloro che li guidano, non le aziende che li producono.
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ON/OFF E TUNING COME DIRITTI CIVILI
Queste due funzioni di ogni apparecchio radio sono i due primi presupposti di interattività e dovrebbero diventare prevalenti nell'infosfera. Questa esigenza viene troppo spesso dimenticata o addirittura non percepita. Una proporzione crescente ed esagerata dei messaggi che riceviamo non consentono infatti nè accensione/spegnimento nè sintonizzazione.
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PIU’ SPEREQUAZIONE CON INTERNET?
La telematica interattiva può aiutare a perequare l’informazione tra i suoi fruitori ma aumenta il divario sociale tra chi ha e chi non ha accesso telematico. L’informazione, la sua ricerca e il suo scambio stanno diventando sempre più la vera fonte della ricchezza delle nazioni (v. Orio Giarini, Walter Staehl, I limiti della certezza, Etas-Kompass,1993).
Si è scritto: "La cultura della interattività permetterà una più elevata capacità di collaborazione e dialogo fra la gente" (Convegno EGO-Crea/LRE, Firenze, 15-17 maggio 1997). Quale gente? Quali genti? Metà della popolazione mondiale non ha mai usato un telefono. Occorre inoltre non restare abbagliati dallo schermo del nostro computer e ricordare che l’infosfera è fatta prevalentemente di veicoli tradizionali (advertising, radio, tv, stampa). Anche per questo è utile democratizzare l'accesso agli strumenti interattivi (es. politiche popolar-telematiche di Bill Clinton e Tony Blair), consapevoli del rischio che la sperequazione tra chi ha o non ha accesso telematico è molto maggiore di quello tra alfabetizzati e analfabeti. Come reagite emotivamente quando alla richiesta "Hai un indirizzo elettronico?" qualcuno vi sorprende con un "No" ? Non vi pare di veder sbiadire la sua sagoma come fuori dal finestrino del vostro treno in corsa?
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L'INTERATTIVITA' PROPRIETARIA
La principale forma di interattività è la proprietà o il controllo degli emittenti da parte dei riceventi. Forme di interattività proprietaria tra emittenti e riceventi (es. Le Monde, Le Monde Diplomatique, alcuni altri periodici, alcune radio) dovrebbero estendersi alla maggioranza dell'infosfera. In Italia, per esempio, il principio del giornalismo come patto a due (emittente/ricevente) fu sintetizzato nel 1994 dallo slogan di Indro Montanelli per diffondere l'interattività proprietaria del suo quotidiano La Voce: "Un solo padrone, il lettore". Il naufragio de La Voce conferma la difficoltà di praticare l'interattività proprietaria in un regime di comunicazione dove per "utenti dei media" si definiscono in primo luogo i loro proprietari e inserzionisti.
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LIBERTA' E NON-COMUNICAZIONE
Nell'era della comunicazione di massa, il principio della libertà d'espressione (1700-1800) dovrebbe includere il principio della libertà di non comunicazione (2000). Questa non è un'opzione facoltativa ma una condizione indispensabile alla libertà d'espressione nell'era della comunicazione di massa. In uno spazio limitato dove un numero crescente di emittenti diffondono con crescente energia un numero crescente di messaggi, oltre una certa soglia è proprio la libertà d'espressione a essere compromessa. Specialmente quella degli emittenti più deboli.
Storicamente, il principio della libertà d'espressione si è affermato quando i mezzi tecnici per una comunicazione sperequata erano scarsi. Oggi, ove qualunque singolo dotato di sufficiente capitale monetario, può tecnicamente comunicare a milioni o miliardi di persone quasi qualunque messaggio un numero illimitato di volte, il diritto alla non-ricezione deve acquisire tra i diritti individuali un rango analogo a quello del diritto d'espressione. Parafrasando Voltaire: "Concordo con quello che dici, ma sono disposto a battermi per il diritto di ognuno a non essere obbligato ad ascoltarti".
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