Per qualche spicciolo in più

Ovvero le pecche del sistema di aggiornamento degli insegnanti

di Stefano Franzato

L'elemento che, forse, più d'ogni altro, caratterizza il contratto della Scuola - contratto, tra l'altro, prossimo alla scadenza - è l'obbligatorietà da parte degli insegnanti della frequenza delle ormai famose cento ore di aggiornamento in sei anni per passare al successivo "gradone" stipendiale.
A parte lo svuotamento se non di contenuto e valenza, almeno di stimolo culturale, che un siffatto provvedimento può aver e ha, sicuramente provocato nei corsi di aggiornamento (e ciò è già di per sé grave), vi sono altre questioni che dimostrano quanto esso sia superficiale, contraddittorio e, sotto l'aspetto economico, anche ricattatorio.
Cominciamo col superficiale. Si riallaccia a quanto accennato poc'anzi: quand'anche - fortunatamente o fortunosamente - il corso di aggiornamento sia didatticamente quanto culturalmente apprezzabile e valido, prevarrà sempre (o, se si vuol esser più buoni e meno drastici, tendenzialmente) la spinta, la motivazione, la convenienza amministrative: in parole povere, come insegnante il criterio con cui - ammesso che possa - sceglierò il corso d'aggiornamento a cui iscrivermi, sarà quello dell'accumulo delle ore; tutto il resto: argomento e validità del corso, preparazione di chi lo tiene e così via, lo considererò di secondaria importanza.
Contraddittorio. Si tenga presente, innanzi tutto, che l'aggiornamento è stato da sempre definito come un diritto-dovere; e probabilmente soltanto in Italia può esserci un accostamento di termini così contraddittorio, appunto, sotto il profilo semantico: quasi un ossimoro: o si ha un diritto di cui ci si avvale o si gode o si ha un dovere e lo si fa: come si possa far valere e godere dell'uno mentre si esercita l'altro, solo chi ha inventato quest'accoppiata di parole lo può (forse) sapere. Ma la contraddizione non si ferma qui. Sul piano pratico, nonostante venga sbandierato come diritto-dovere nonché, col contratto, anche obbligo, l'insegnante che intenda frequentare un corso - specialmente se questo ha luogo in orario scolastico o di riunioni - deve domandare il permesso al proprio Capo d'Istituto. Ora, come si può volere e obbligare i docenti a frequentare corsi di aggiornamento e poi mettere la conditio sine qua non del! la frequenza il chiedere e dare il permesso al Capo d'Istituto? Se si vuole e si obbligano i docenti a "fare aggiornamento", si dovrebbe avere almeno il minimo senso organizzativo di togliere loro qualsiasi ostacolo, di qualsiasi natura anziché porlo e crearlo. Anche qui, in parole povere, ci si potrebbe domandare: come? Da un lato mi si è sempre detto che è un mio diritto, dall'altro mi si obbliga se voglio prendere, fra qualche anno, qualche spicciolo in più 1 a frequentare dei corsi di aggiornamento e, per di più, per frequentarli, devo pure chiedere il permesso al mio Capo - permesso che mi può sempre negare. Teoricamente - ma neanche tanto - potremmo, cercare di fare anche un ragionamento giuridico. Se il mio Capo mi nega il permesso di frequentare corsi di aggiornamento (e non è certo colpa mia se chi li ha organizzati, li ha messi pr! oprio in un orario in cui io devo andare a scuola per lezioni o riuni oni o altro), 1) mi lede un diritto (che sia un "diritto" non l'ho affermato io ma la stessa Autorità politico-scolastica); 2) mi potrebbe arrecare un danno economico, ergo sia per l'uno che per l'altro io chiedo giustizia nonché i danni morali e materiali.
Ricattatorio. Benché, sotto il profilo strettamente giuridico sarebbe forse complicato individuare gli estremi per intentare un'azione legale per ricatto (ma chissà, qualche buon avvocato...), la chiara sensazione di esser vittima di qualcosa che gli assomiglia è, sovente, molto forte. Pochi anni fa, intanto, parlando coi colleghi, si viene a sapere che per l'aggiornamento non si viene pagati se non si fanno almeno 30 ore: guarda caso i pochi corsi finanziati e organizzati di solito durano sulle 15, 20 ore, raramente 30 (e, per di più, a posti limitati: al dover chiedere il permesso al nostro superiore per poterci avvalere di quello che la stessa Amministrazione scolastica ci ha presentato come un nostro "diritto", si aggiunge anche il "numero chiuso", altro ostacolo, non da poco, che essa dovrebbe rimuovere se pretende da noi, imponendocelo per contratto, un aggiornamento in numero prefissato d'anni per aumentarci lo stipendi! o). Più recentemente, sempre parlando coi colleghi, viene ulteriormente specificato che, nell'aggiornamento adesso non vengono pagate le 30 ore ma si vien pagati dalle 30 alle 40 e, di sicuro, dalla trentunesima in poi, il che significa che, se al momento dei pagamenti, ci si ritrova ad aver frequentato, poniamo 35 ore (naturalmente controllatissime, documentatissime), si verrà pagati per le sole ultime cinque mentre le 30 rimanenti sono forzosamente - non certo "spontaneamente" - "donate" all'Amministrazione. Tutto ben considerato, si perviene alla conclusione che, da un lato l'Amministrazione non mi paga tutte le ore del mio aggiornamento e, dall'altro, però, mi costringe a cercare e a frequentare non senza difficoltà corsi pena il non passaggio di "gradone": se questa non è una forma di ricatto, c'è da chiedersi cos'altro sia.
Un'altra cosa non prevista né dall'attuale sistema né dal contratto, è il riconoscimento - anche ai fini del "passaggio" - dell'aggiornamento personale nel quale, soprattutto in questi ultimi anni, molti colleghi sono stati e tuttora sono coinvolti e impegnati: basti pensare a tutti coloro che, per curiosità, interesse o passione, si son dati la briga d'interessarsi, fin dal suo primo apparire nei primi anni Ottanta, al computer, all'informatica per studiare le possibilità educativo-didattiche di questo mezzo e di questa disciplina. E lo stesso dicasi per la più recente tecnologia telematica: Internet compresa. Quante ore trascorse a studiare, provare, smanettare; e quanti soldi spesi in riviste, manuali (sempre piuttosto costosi): un patrimonio; per non parlare dell'hardware: non tutti hanno avuto la fortuna di avere i computer (e il relativo software) acquistato dalla scuola in cui insegna. Di tutto ci&ogra! ve;, cos'ha riconosciuto l'Amministrazione scolastica? Nulla. Eppure, non mi si dica che né quest'ultima né le OO.SS. sarebbero in grado di trovare forme e modi per un adeguato riconoscimento di quest'aggiornamento e di questa preparazione personali, tanto più che si sa benissimo che se la Scuola è andata avanti in questi anni, se, prima o poi, ha introdotto delle innovazioni, delle tecnologie, ciò non lo si deve certo agli inquilini ministeriali. Sicuro! Anch'essi hanno contribuito.
Dopo.

NOTE


1 Sempre utile, non ci offendiamo, anche se, con queste continue traversie finanziarie in cui si trova il Paese e chi lo governa, non ci sarebbe da meravigliarsi poi tanto se, alla fine, questi soldi, sporchi, maledetti e sudati, o non ci fossero o non venissero dati subito; si farebbe presto a farlo: i ritardi sul pagamento delle liquidazioni per chi va in pensione insegnano. (Ritorno)


Bibliografia

Stefano Franzato, "Internet per l'aggiornamento", in Spazio, Tempo, Informazione nella Scienza, Cultura, Economia, Atti del Simposio Europeo ECO-Crea 1996, Venezia 24-25 Maggio 1996, quaderno ECO - Crea Network - n° zero, pp.73-4.