Sapere e Piacere
Modelli di apprendimento nei software didattici interattivi: una proposta di metodo

di Vindice Deplano

Agli altri possiamo dire che Muad’Dib imparò; rapidamente perché il suo primo addestramento consisteva appunto nel saper imparare. La prima lezione era la certezza di poter imparare. E’ sconvolgente scoprire quanti non credono di poter imparare e quanti, ancora, credono che imparare sia difficile.
(Frank Herbert, Dune)



Che siano Cd-rom multimediali, sistemi di formazione a distanza o di apprendimento cooperativo, le nuove tecnologie della formazione almeno un risultato, ma di importanza straordinaria, lo hanno portato: non possono impedire l’emergere dei problemi di metodo.
Progettazione carente, metodi inadeguati, contenuti didattici insufficienti possono essere messi in secondo piano da un docente brillante, intuitivo, comunicativo, autorevole (o solo autoritario) in grado di portare comunque qualche risultato. Con le macchine, prive come sono del più elementare buon senso, un errore metodologico si trasforma immediatamente in qualità e livello di apprendimento insoddisfacenti, interazione sgradevole e noiosa, sconcerto degli utilizzatori.
In questo contributo viene presentato un sistema autodidattico multimediale di nuova concezione, partendo non dalla tecnologia ma dal metodo, vale a dire dalle teorie dell’apprendimento sulle quali si basa la sua progettazione.


Piacere, dispiacere e apprendimento

Mentre i nostri maestri di scuola ci avvertivano continuamente che "lo studio è sacrificio", come seguaci delle moderne impostazioni di Piaget, Knowels, Papert e altri teorici della formazione, siamo portati a pensare l’apprendimento come un fenomeno autonomo, spontaneo e in sintonia con i processi mentali. E, di conseguenza, tendiamo a considerare la "resistenza al cambiamento" di individui e organizzazioni (in cui incappiamo invariabilmente quando facciamo il nostro mestiere di formatori) come un fastidioso accidente, da attribuire di volta in volta a circostanze avverse, ma sempre contingenti: influsso nefasto della scuola, esperienze negative precedenti, deperimento organico e così via.
Ma la resistenza al cambiamento nasconde un problema di fondo: se l’apprendimento è un bisogno primario, "naturale", o una difesa contro qualcosa d’altro. In altri termini se, oltre a "sapere è potere" (cosa nota fin dai tempi della Scuola Radio Elettra), possiamo spingerci a dichiarare che "sapere è piacere".


Bisogno di controllo

Sono convinto che per affrontare questo problema dobbiamo cercare contributi non solo dalla psicologia cognitiva, ma anche da quella "del profondo", anche se formatori e teorici dell’apprendimento ignorano quasi del tutto i gli psicoanalisti (aiutati da questi ultimi, che solo con difficoltà prescindono dal tradizionale rapporto analitico a due).
C’è uno splendido scritto minore, "Teorie sessuali nei bambini" (1908), in cui Freud indaga sull’origine della curiosità circa la differenza dei sessi e la nascita dei bambini. Un brano, in particolare, merita di essere citato per intero: Dal momento che conoscono il padre e la madre fin da quando ricordano qualcosa della loro vita, [i bambini] ne accettano l’esistenza come una realtà che non richiede ulteriori indagini... La sete di sapere dei bambini non si desta a questo riguardo spontaneamente, quasi per un bisogno innato di causalità, ma solo sotto il pungolo di pulsioni egoistiche che li dominano, allorquando – forse dopo il compimento del secondo anno di vita - si trovano messi di fronte all’arrivo di un nuovo venuto... Sotto la spinta di questi sentimenti [di preoccupazione e ostilità] il bambino giunge a occuparsi del primo grandioso problema della vita e si pone la domanda da dove vengano i bambini, la quale senza dubbio in principio era piuttosto "da dove venisse quel particolare bambino che lo disturba"... Come ogni ricerca, questo problema è un prodotto dell’urgenza vitale, quasi che al pensiero fosse affidato il compito di prevenire il ripetersi di eventi a tal punto temuti. (Freud 1908: 453-4)
Nelle stesse pagine, Freud ci regala splendide immagini di scienziati di due o tre anni che corrono a osservare lo stagno, dove le cicogne avrebbero dovuto tirare fuori i bambini dall’acqua, osservano i comportamenti sessuali degli animali e, di fronte al silenzio e all’imbarazzo degli adulti, producono straordinari costrutti teorici per spiegarsi il preoccupante fenomeno della nascita e del sesso.
Prescindendo dallo specifico carattere sessuale delle esplorazioni infantili, Freud propone di cercare l’elemento di spinta per l’apprendimento nel bisogno di controllo del mondo esterno. Apprendimento che non ci appare più come un fatto puramente cognitivo, ma come frutto di potenti energie pulsionali: a partire dalle prime fasi dello sviluppo psichico, quando il principio del piacere cede il posto al principio di realtà, la comprensione della realtà stessa diventa per l’Io letteralmente una questione di vita o di morte. E della loro base pulsionale, in certe condizioni, i processi di apprendimento conservano la potenza e il carattere di urgenza, di bisogno primordiale. Capire meglio quali siano queste "certe condizioni" è la chiave per attivare quella motivazione all’apprendimento di cui sistematicamente lamentiamo la mancanza. Realizzare, cioè, il sogno di ogni formatore.


Eros e schemi mentali

Per spiegare i conflitti psichici, Freud ha sempre considerato le pulsioni a coppie: prima pulsioni sessuali/pulsioni di autoconservazione, poi Eros/pulsione di morte . Per noi questo secondo modello è particolarmente interessante per la caratteristica finalità delle pulsioni erotiche: unire la materia vivente, spingere verso la complessità. Ecco una buona base per comprendere una delle (poche) cose in cui tutti i teorici dell’apprendimento sembrano d’accordo : l’apparato psichico non elabora i singoli elementi da soli, ma tende a collegarli formando costrutti coerenti (modelli, strutture, schemi, a seconda degli autori ). E’ una tendenza che si manifesta in tutti i fenomeni cognitivi, dal pensiero alla percezione del mondo esterno, come ha abbondantemente dimostrato fin dagli anni ’20 la psicologia della Gestalt .
Lo stato tendenziale degli schemi mentali è uno stato stabile che potremmo definire come chiusura o saturazione: tutti gli elementi si collegano completandosi a vicenda in una struttura che non presenta senza spazi vuoti e non fornisce agganci per l’inserimento di nuove informazioni suscettibili di modificarla. In altre parole: è difficilissimo convivere col dubbio. Siamo di fronte all’aspetto strutturale della resistenza al cambiamento.
Inoltre la produzione e il mantenimento di schemi mentali sembrano seguire un principio economico che li rende il più possibile semplici e ampi (nel senso di integrare il maggior numero possibile di elementi) a partire dalle informazioni disponibili. E’ il principio che in campo epistemologico è noto come "rasoio di Occam" (che invita a evitare costrutti teorici inutili) e nella percezione produce le distorsioni dovute a fenomeni di pregnanza .


Assimilazione/accomodamento

L’apprendimento non si può; comprendere se non considerandolo come un processo dinamico di integrazione tra nuove informazioni e schemi mentali preesistenti. Per usare il modello proposto da Jean Piaget, si tratta di un equilibrio tra assimilazione e accomodamento:

  • l’assimilazione è l’incorporazione di un nuovo stimolo all’interno di schemi mentali senza una loro modifica, come quando un oggetto viene riconosciuto come appartenente a una categoria nota;
  • l’accomodamento è l’adeguamento degli schemi mentali per tener conto di stimoli non facilmente assimilabili.

Si tratta di processi complementari che normalmente si equilibrano: se l’assimilazione è l’indispensabile elemento di continuità a cui dobbiamo la nostra visione unitaria del mondo, l’accomodamento è un agente di sviluppo che facilita la migliore comprensione del mondo e quindi le successive assimilazioni. Un eccesso di assimilazione è tipico del pensiero primitivo, rigido e schematico, un eccesso di accomodamento (molto meno probabile) porterebbe a situazioni ben descritte da Woody Allen nel suo Zelig.
E’ evidente che non c’è un analogo equilibrio nel nostro interesse per i due fenomeni: se chiunque sembra del tutto in grado di provvedere all’assimilazione senza alcun aiuto, l’accomodamento è il processo complesso e faticoso di produzione di nuove idee che siamo chiamati a stimolare nel nostro lavoro quotidiano di formatori. La sua natura merita qualche approfondimento


Accomodamento e crisi

Possiamo delineare un andamento nel tempo del processo di apprendimento:

  1. percezione di una nuova informazione (comunicazione esterna, pensiero, ecc.);
  2. tentativo di assimilazione;
  3. verifica del risultato (esame di realtà);
  4. percezione dell’inadeguatezza degli schemi mentali;
  5. "apertura" degli schemi mentali;
  6. accomodamento (o altri esiti).

Ogni accomodamento è preceduto da uno stato che potremmo definire di "crisi cognitiva" (fasi 4 e 5) con forti correlati emotivi. Se la forza degli schemi mentali viene dal bisogno primitivo di tenere il mondo sotto controllo, la loro inadeguatezza porta al pericolo di essere travolti dagli aspetti incontrollati dell’ambiente. La percezione di elementi non assimilabili (dissonanza cognitiva) genera una quantità di emozioni spiacevoli proporzionale al tempo e all’ampiezza della "crisi cognitiva", dalla leggera tensione (quasi piacevole) legata alla curiosità, alla sensazione di essere sul punto di impazzire. In ogni caso, sono sensazioni che hanno una funzione decisiva nell’economia del processo di apprendimento.
Ritengo che il meccanismo sia una versione cognitiva dell’angoscia segnale ipotizzata da Freud (1925): una sorta di campanello di allarme psichico, "un segnale intenzionale dell’Io per influenzare l’istanza piacere/dispiacere" (vale a dire il principale "motore" dell’apparato psichico), che a sua volta fornisce all’Io lo stimolo ad attivare tutti i possibili modi di eliminare il problema .
Una crisi cognitiva, in cui gli schemi mentali insaturi, aperti o destrutturati non riescono a rappresentare una versione coerente del mondo, viene per quanto possibile evitata e in ogni caso non può; essere tollerata a lungo. E’ noto che ogni informazione subisce un processo di interpretazione ancora prima di giungere alla coscienza, un "filtro di ingresso" che elimina o distorce sistematicamente tutti i dati per evitare ogni possibile rischio. Per questo possiamo ascoltare per ore un conferenziere senza capire che sta dicendo l’esatto contrario di quello che pensiamo e siamo in grado di non vedere gli errori di battitura in un testo. Non sono conseguenze di una generica "distrazione": siamo davanti, piuttosto, all’aspetto dinamico della resistenza al cambiamento.


Esiti della crisi cognitiva

Se la crisi cognitiva è uno stato transitorio tra una situazione di equilibrio e l’altra, ciò; non significa che il risultato sia un accomodamento, un apprendimento di qualità. A seconda della capacità dell’Io di tollerare l’angoscia, dell’intensità degli stimoli e della disponibilità di informazioni adatte gli esiti possono essere diversi:

  • accomodamento (gli schemi mentali vengono articolati, affinati e differenziati per adeguarli alla nuova situazione);
  • assimilazione dovuta a una nuova osservazione (lo stimolo sembrava incomprensibile, ma osservandolo meglio è riconducibile al già noto);
  • assimilazione dovuta a distorsione dell’elemento esterno (gli aspetti dissonanti vengono ignorati o negati, fino ad arrivare a forme di delirio o allucinazione);
  • falso accomodamento (che "aggiusta" gli schemi mentali a solo scopo difensivo, producendo aberrazioni come la teoria per cui "l’eccezione conferma la regola").

In ogni caso, la soluzione della crisi cognitiva si accompagna a un senso di piacere, tanto più intenso quanto più era alta la tensione. Molta narrativa di successo è costruita su questo modello, si pensi ai romanzi del mistero di Poe e Conan Doyle e a quasi tutta la fantascienza. Con la differenza che nei primi il calo di tensione viene dal ricondurre l’enigma al già noto, nella fantascienza dall’ampliamento del campo del possibile fino a comprendere nuovi mondi, universi paralleli, viaggi nel tempo e straordinari destini del genere umano.
Le nostre attività formative sono strutturalmente assimilabili a un (buon) romanzo di fantascienza.


Tre fattori dell’accomodamento

La persona che apprende, in questa prospettiva, non ci sembra più una spugna che assorbe la conoscenza fornita da qualcuno che insegna. La vediamo piuttosto come un costruttore che, spinto dal bisogno di controllare il mondo, percepisce, seleziona e utilizza attivamente i materiali informativi presenti nell’ambiente, li inserisce nel suo sistema di schemi cognitivi e, quando non può; farne a meno, modifica tali schemi . E il ruolo dei formatori (genitori, insegnanti o progettisti di sistemi multimediali) diventa quello di creare un ambiente favorevole. Per le considerazioni esposte in precedenza, ritengo che questo "ambiente favorevole" comprenda tre fattori principali:

  1. contenuti;
  2. dissonanza cognitiva;
  3. spinta.

A partire da questi fattori è possibile costruire una griglia di criteri di progettazione e valutazione dei sistemi di formazione, in aula o in autoapprendimento, con o senza tecnologie multimediali.


Fattore A: i contenuti
Il primo fattore comprende nozioni, concetti, abilità e comportamenti organizzativi che vorremmo vedere inseriti negli schemi mentali di chi apprende.
Tra gli aspetti importanti di questo fattore ci sono la qualità, la comprensibilità e la distribuzione del controllo:

  • qualità è il livello di approfondimento e di aggiornamento delle informazioni; è forse l’aspetto più curato dai progettisti didattici;
  • comprensibilità è il modo con cui le informazioni sono organizzate per facilitarne l’assimilazione e la sua transizione verso l’accomodamento; in questo rientrano aspetti come la chiarezza del linguaggio, la sequenza degli argomenti, la presenza di supporti multimediali ecc.;
  • la distribuzione del controllo definisce chi tra docente (o progettista, nel caso di sistemi autodidattici) e discente può; decidere quali informazioni presentare e il loro ritmo. E’ una scala che vede da una parte le tradizionali lezioni universitarie e, dall’altra, gli ipertesti.

Fattore B: dissonanza cognitiva
Il secondo fattore necessario per innescare il processo di apprendimento è la percezione della non integrabilità di un elemento esterno con gli schemi mentali preesistenti. Si tratta, in altri termini, di stimolare sistematicamente le crisi cognitive (e di fornire i supporti per una loro soluzione in un vero accomodamento): prima di dare risposte è necessario che sia chiara la domanda a cui si fa riferimento. Nella mia esperienza è incredibile quanto l’attenzione di un’aula di formazione si possa risvegliare semplicemente attivando gli aspetti insaturi degli schemi mentali (partendo per esempio dalle domande dei partecipanti) o ponendo un problema non risolvibile con le conoscenze del momento.
Nella formazione tradizionale (e nella scuola), la risoluzione dei problemi è un rafforzamento dell’apprendimento raggiunto durante una precedente lezione o un elemento di valutazione ("compito in classe"). E il più delle volte assistiamo a lunghe lezioni in cui vengono sciorinate nozioni su nozioni, intervallate da domande retoriche, mentre i partecipanti cercano affannosamente di rispondere alle loro domande chiave: "cosa c’è di importante da capire?", "che ci faccio io qui?".

Fattore C: la spinta
Se l’apprendimento è un lavoro mentale, ci deve essere una qualche mobilitazione dell’energia in grado di supportarlo. Questa energia deriva da un insieme di fonti:

  • il bisogno primario di controllo dell’ambiente;
  • un interesse verso per la fonte delle conoscenze (il docente, la tecnologia, ecc.);
  • un interesse verso aspetti secondari dell’ambiente di apprendimento (la località, la situazione gruppale, un altro partecipante);
  • un vantaggio secondario ottenibile con l’apprendimento (posizione lavorativa, controllo dell’organizzazione, denaro, approvazione sociale).

L’investimento energetico è comunque insufficiente se non è attivato il bisogno di controllo.


Must: una proposta di metodo
In questi mesi è in corso di realizzazione da parte della Mafrau S.r.l. di Roma un sistema di multimediale di autoapprendimento, "Impresa e mercato: prevedere, interpretare e decidere", destinato a dirigenti e quadri delle Telecom. Si tratta del primo autodidattico progettato tenendo esplicitamente conto di tutte le considerazioni teoriche e di metodo esposte in precedenza. Una metodologia che abbiamo chiamato Must (Modelli di Universi Simulati e Tutoriali).

Struttura del sistema
Sul piano strutturale, il sistema comprende, oltre a un certo numero di funzioni di servizio, un universo di simulazione e un sottosistema tutoriale.
All’utilizzatore si richiede di portare a termine una o più missioni, che in questa versione consistono nella compilazione di un documento ("documento obiettivo"), muovendosi all’interno dei diversi ambienti in cui è suddiviso l’universo di simulazione. Questi ambienti sono rappresentati come uffici di un’azienda che contengono ogni genere di documento (dall’organigramma ai bilanci, da studi di marketing ai dati sulla produzione).
In qualunque momento è possibile accedere al sottosistema tutoriale, costituito da ipertesti relativamente semplici: strutture ad albero (non reticolari) a un massimo di tre livelli composte da testi, elementi grafici, interviste filmate, spezzoni di film ecc. Opportuni pulsanti di collegamento (link) sono inseriti sia negli ambienti sia nei documenti che compongono l’universo virtuale. Ogni collegamento tra ambiente (o documento) e sistema tutoriale varia dinamicamente in funzione della particolare missione prescelta.
L’utilizzatore può; navigare nei due sottosistemi (di simulazione e tutoriale) senza alcuna limitazione, così come non è previsto alcun vincolo di tempo: quando ritiene che la missione sia stata portata a termine in maniera soddisfacente, può; sottoporla a valutazione e, a seconda dell’esito, proseguire nel suo lavoro o chiedere un’altra missione (o uscire, ovviamente).

Ipotesi e scelte progettuali

Trascurando quelle più ovvie (come la corrispondenza tra apprendimento e qualità e comprensibilità delle informazioni), il metodo Must parte da una serie di ipotesi di lavoro secondo le quali la qualità dell’apprendimento è favorita quando:

  1. il controllo del ritmo di apprendimento viene lasciato al discente senza alcuna limitazione;
  2. il controllo della sequenza dei contenuti viene lasciato al discente, ma solo all’interno di confini predisposti dal progettista, per evitare l’effetto di dispersione;
  3. il bisogno primario di controllo dell’ambiente è la fonte principale della motivazione all’apprendimento;
  4. la dissonanza cognitiva viene attivata sistematicamente proponendo problemi che non possono essere portati a termine senza un nuovo apprendimento;
  5. la situazione di apertura degli schemi mentali, con la relativa sensazione di tensione, viene mantenuta per un tempo limitato, rendendo immediatamente disponibili informazioni tali da favorire una nuova integrazione.

Le scelte progettuali di un sistema costruito con la metodologia Must puntano a verificare queste ipotesi:
  • la struttura del sistema permette all’utilizzatore il massimo controllo dei ritmi e degli stili di apprendimento (potrebbe anche limitarsi a "giocare" nell’universo simulato o "studiare" i contributi teorici del tutoriale), ma pone limiti alla facilità con cui passare da argomenti pertinenti a quelli meno immediati;
  • le missioni, complicate al punto da non poter essere in alcun modo portate a termine con le conoscenze preesistenti, stimolano continue crisi cognitive;
  • gli stimoli all’investimento energetico (grafica, filmati) sono secondari rispetto alla dissonanza cognitiva;
  • i link dell’universo virtuale con il sottosistema tutoriale forniscono, momento per momento, le nuove informazioni necessarie per favorire nuovi accomodamenti.
Nei successivi sviluppi è ipotizzabile il mantenimento del medesimo modello di fondo, utilizzando sistemi tecnologicamente più complessi per la parte di simulazione. Ma questo dopo una seria verifica sul campo dei risultati in termini di qualità ed efficienza dell’apprendimento. E senza dimenticare il piacere.


Bibliografia

Deplano Vindice
1996
"Sistemi multimediali", Atti del 7° Convegno nazionale Bus Italia"Pianeta comunicazione"

Freud, Sigmund
1908
"Über infantilen Sexualteorien", Sexual-Probleme vol. 4.Trad. it. di Emilio A. Panaitescu "Teorie sessuali nei bambini" in Opere vol. 5, Boringhieri, 1972
1920
Jenseits des Lustprinzip, Internationaler Psychoanalytischer Verlag.Trad. it. di Anna Maria Marietti e Renata Colorni "Al di là del principio del piacere" in Opere vol. 9, Boringhieri, 1977
1925
Hemmung, Symptom und Angst, Internationaler Psychoanalytischer Verlag.Trad. it. di Mario Rossi "Inibizione, sintomo e angoscia" in Opere vol. 10, Boringhieri, 1978

Katz, David
1948
Gestaltpsychologie, Schwartz.Trad. it. di Renzo Arlan La psicologia della forma, Boringhieri, 1979.

Knowles, Malcom
1973
The adult learner, Gulf Publishing Company.Trad. it. di Laura Colombo Quando l’adulto impara, Franco Angeli, 1996.

Papert, Seymour
1980
Mindstorms, Basic Books.Trad. it. di Anita Vegni Fagnoli Mindstorms, Emme Edizioni, 1984
1993
The children’s machine, Basic Books.Trad. it. di Antonio Bellomi I bambini e il computer, Rizzoli, 1994.

Petter, Guido
1961
Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget, Giunti.

Schank, Roger
1994
"Why Hitchhikers on the Information Highway Are Going to Have to Wait a Long Time for a Ride", The Aspen institute quarterly vol. 6.