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quali possibilità?
di Maria Raffaella Benvenuto | |||
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E' innegabile che parlare della diffusione della nostra lingua all'estero
presenti numerosi problemi, soprattutto in questo momento storico che vede
il prevalere dell'inglese (varietà americana) come lingua di
comunicazione internazionale. Questo fenomeno ormai generalizzato sembra
ricacciare tutte le altre lingue, anche quelle più diffuse a livello
mondiale, in un ruolo subalterno che per molti è causa di allarme. Si
grida all'imperialismo linguistico, e c'è addirittura chi paventa la
scomparsa di un buon numero di lingue "minori" sotto la pressione
inarrestabile dell'inglese. Ci si chiede quindi che senso possa avere per uno straniero (da qualunque parte del mondo egli provenga) imparare l'italiano, che dal punto di vista pratico non ha certo la forza di penetrazione dell'inglese o anche di altre lingue come il tedesco o lo spagnolo. Eppure, al mondo ci sono centinaia di migliaia di persone che ogni anno si accostano alla nostra lingua. Quali possono essere le motivazioni che spingono una persona a scegliere l'italiano? Quale attrazione esso esercita nei confronti di tanti stranieri provenienti dai luoghi più disparati? Prima di proseguire, vorrei chiarire brevemente il mio punto di vista, che è quello di una persona che, dopo aver dedicato buona parte della sua vita allo studio approfondito e poi all'insegnamento dell'inglese, si trova da un anno e mezzo ad insegnare italiano in un paese come la Finlandia, che nell'ambito europeo presenta una situazione linguistica molto particolare. Nella mia attuale situazione ho potuto formare una serie di convinzioni sulle possibilità di espansione della nostra lingua e sui fattori che ritardano o addirittura impediscono tale espansione. Gli esperti di glottodidattica distinguono generalmente fra due tipi di motivazione: quella strumentale e quella integrativa. Al momento attuale, la maggior parte delle persone che intraprendono lo studio dell'inglese (almeno a livello di adulti) lo fa perchè questa lingua è ormai divenuta indispensabile nel mondo del lavoro o della ricerca scientifica. Lo stesso fenomeno si sta verificando per il tedesco, almeno in ambito europeo. Chiaramente, però, questo non coincide sempre con un reale interesse nei confronti della lingua e della cultura ad essa strettamente collegata. L'italiano in questo caso particolare ha invece una posizione vantaggiosa, poichè le persone che scelgono di studiarlo sono molto spesso spinta dall'attrazione verso la cultura del nostro Paese - e per cultura non intendo solo il Rinascimento o l'opera lirica, ma anche altri aspetti considerati frequentemente marginali. Qualche mese fa sul maggiore quotidiano finlandese, Helsingin Sanomat, è comparso un articolo dove l'italiano e lo spagnolo erano definite "lingue turistiche": ovviamente, c'è stato chi ha gridato allo scandalo, non ricordando l'importanza del turismo (anche a livello economico) in questo momento storico. In numerose occasioni un viaggio in un Paese straniero è il primo passo per accostarsi alla sua lingua (o anche per perdere interesse ad essa!). Perciò, nulla di male se l'italiano viene considerato "turistico", anzi: questo significa che suscita interesse non solo come mero strumento di comunicazione, ma per qualcosa di più. In fin dei conti, un viaggio è quasi sempre un momento piacevole nella vita di ognuno. E' importante precisare che nella maggior parte dei casi l'italiano non viene studiato come L2, ma come L3, L4 e così via. Questo vuol dire che buona parte degli studenti di italiano ha già avuto esperienza di apprendimento di almeno un'altra lingua straniera. Qui in Finlandia l'italiano viene studiato da persone che hanno già appreso per lo meno lo svedese (o il finnico, a seconda della provenienza) e l'inglese. Questo può facilitare le cose o renderle più complicate, causando interessanti fenomeni di interferenza; ma è sicuramente un fattore da tenere presente. Allo studio dell'italiano si arriva spesso da adulti, quindi per libera scelta. Molte persone si accostano all'italiano per la sua musicalità. e infatti la nostra lingua viene insegnata regolarmente nei conservatori. Altri sono incuriositi dalla terminologia culinaria; poi ci sono gli appassionati di cinema, di musica "leggera", ovviamente quelli di arte. Anche la moda e lo sport (specialmente il calcio) fungono da poli di attrazione verso l'italiano. C'è poi chi è attratto dalla supposta natura aperta e amichevole degli italiani (in particolare le popolazioni nordiche), e chi addirittura dalla natura complessa e spesso incomprensibile del nostro apparato politico e sociale. Come si vede, quindi, le motivazioni sono molteplici. Attualmente, la diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero è delegata principalmente agli istituti di cultura, 90 sedi distribuite in 57 paesi (dati della Direzione Generale delle Relazioni Culturali, Ministero degli Affari Esteri, fine 1996). I posti di lettore presso università straniere sono invece 175, distribuiti in 63 paesi (per buona parte europei). Esistono poi scuole italiane all'estero (pubbliche e private), sezioni italiane presso le Scuole europee e corsi di italiano per figli di emigranti. Come si può vedere, esiste quindi una fitta rete organizzativa per la diffusione della nostra lingua; quello che manca è però una strategia organica ed efficace. Molto è lasciato all'iniziativa dei singoli, e purtroppo bisogna notare che in numerose occasioni i ben noti vizi nazionali vengono fuori. I contrasti personali (spesso immotivati) hanno il sopravvento, così può succedere che persone che dovrebbero lavorare con un obiettivo comune siano invece in aperta lotta. Le testimonianze di molti lettori del MAE sui contrasti con i direttori degli Istituti di cultura sono episodi poco edificanti; ma può accadere anche di essere totalmente ignorati da queste strutture, con cui sarebbe invece necessario collaborare attivamente e in armonia. Da un punto di vista puramente pratico, bisogna ricordare che l'italiano è la quinta lingua europea e la quattordicesima nel mondo per diffusione e numero di parlanti, calcolati in circa 60 milioni di persone (Crystal, 1990). Un gran numero di Paesi ha contatti commerciali con l'Italia, e vi sono luoghi in cui la richiesta di persone in grado di usare la nostra lingua è in notevole aumento, soprattutto in Estremo Oriente e nei Paesi dell'ex blocco sovietico. Vi sono poi Paesi in cui una lunga tradizione di rapporti con l'Italia garantisce un livello costente di interesse per l'italiano: si pensi all'Albania e all'Etiopia, unico paese al mondo in cui è stata individuata una forma di pidgin a base italiana (Berruto, 1987); nonchè al Brasile e soprattutto all'argentina, dove sono presenti forti comunità di origine italiana. Succede spesso che figli e nipoti di emigranti decidano di apprendere la lingua delle loro origini, che in famiglia quasi nessuno parla più. Dato che viviamo in una società dominata dalla legge della domanda e dell'offerta, il fatto che il business dell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera sia in forte espansione, soprattutto per quanto riguarda le scuole di lingua operanti in Italia, dovrebbe dimostrare che le lamentele sulla presunta mancanza di importanza della nostra lingua sono del tutto infondate. Anche la pubblicazione di materiale didattico è in aumento: quello su cui si dovrebbe discutere è però la qualità di molto di questo materiale. Molto spesso queste pubblicazioni presentano un tipo di lingua che nessuno usa, un registro standard astratto o, peggio ancora, un modello eccessivamente formale. L'aspetto visuale (fondamentale nei materiali prodotti per l'insegnamento dell'inglese) è frequentemente trascurato, e c'è ancora troppa enfasi sulla correttezza grammaticale a scapito della comunicazione. Anche l'argomento dizionari lascia a desiderare: non esiste un dizionario monolingue italiano ad uso degli studenti stranieri, e molti dei dizionari bilingui esistenti sono estremamente carenti. Ancora più grave è l'assenza di un programma di formazione per insegnanti di italiano come lingua straniera: le certificazioni esistenti sono rivolte a persone non di madrelingua italiana, oppure hanno un riconoscimento molto limitato. Insomma, non esiste niente di paragonabile al certificato RSA o agli altri titoli di livello ancora più avanzato (Master e Ph.D.) che sono disponibili per gli insegnanti di inglese. I lettori del MAE vengono inviati all'estero dopo aver seguito un corso di cinque giorni dal contenuto spesso discutibile e ripetitivo. Ma, come è ben noto, parlare dalla nascita una lingua non significa automaticamente saperla insegnare. Per concludere, vorrei ancora una volta affermare che l'insegnamento dell'italiano agli stranieri è un settore in piena espansione che offre moltissime possibilità, ma che non viene affatto sfruttato a pieno. Basterebbe prendere esempio da quello che è stato fatto per altre lingue per dare un'altra struttura alla campagna di diffusione della nostra lingua, in modo da valorizzare e non disperdere il ricco patrimonio esistente. Bibliografia Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale delle Relazioni Culturali: La promozione della cultura italiana all'estero - Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1996. Crystal, David: The Cambridge Encyclopedia of Language - CUP, Cambridge, 1990. Berruto, gaetano: Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo - La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1987. |