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Comprensione, intelligenza e scuola
Sintesi di alcuni punti dell'intervento di Howard Gardner
Convegno "L'Educazione oggi: i fili e i nodi. Sulle tracce di Freinet"
di Gianni Salza
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La comprensione
La comprensione viene normalmente intesa come un evento che parte dall’orecchio e arriva al cervello. Invece la comprensione è una performance pubblica, è qualcosa che noi facciamo con la conoscenza, con i fatti, con le nostre capacità quando applichiamo tutto questo ad una situazione nuova, ad un qualcosa che non abbiamo mai visto od incontrato prima. E' l’uso appropriato, in una situazione nuova, di qualcosa che si è appreso; quando le circostanze mutano bisogna mobilitare la conoscenza che si ha: è a questo punto che si ‘capisce’.
La comprensione si rivela essere molto difficile da raggiungere. Una scoperta nuova della scuola cognitiva è quella che anche i migliori studenti delle nostre scuole migliori non ‘comprendono’ molto. Magari danno la risposta giusta ad un test perché hanno memorizzato la risposta. Però se gli si propone una situazione nuova, in cui devono applicare le conoscenze, normalmente falliscono. Anche i nostri migliori studenti, gli studenti che hanno voti molto elevati in fisica, ad esempio, all’Università, quando devono spiegare qualcosa di semplice come le forze che agiscono quando si fa saltare una monetina, o una certa traiettoria di un oggetto all’interno di un tubo, ebbene, non soltanto non riescono a dare la risposta giusta, ma la risposta è quella che darebbero i bambini. In altre parole, tutta questa istruzione non gli è servita a molto, non li aiuta molto, e questo direi che è uno stato di cose piuttosto preoccupante. Ma allora, come mai?
C'è un libro molto famoso negli Stati Uniti. Il sottotitolo è: "I cinquemila fatti essenziali che tutti dovrebbero conoscere". Non è un brutto libro. Ma l’idea essenziale va contro la comprensione. Questo libro sostiene, e molti studenti, genitori e insegnanti sono d’accordo, che l’obiettivo della scuola è quello di fornire la maggior quantità possibile di fatti.
Presto, nella vita, i bambini sviluppano una serie di idee. Idee che sono giuste o sbagliate. Poi vanno a scuola e a scuola i fatti si accumulano nella loro mente, diventano pilastri sempre più alti e, si dice, i bambini imparano molto, ma il problema però è che la comprensione non è stata toccata in nessun modo, non è stata influenzata. Quando lasciano la scuola si chiude la porta e iniziano a scomparire questi fatti dalla mente, ma la comprensione, si può dire, non è stata influenzata per niente.In tutti noi rimane il bambino che aveva 5 anni, il bambino che non è mai andato a scuola e che continua a lottare per uscire.
Fate saltare una monetina per aria, poi chiedete quali sono le forze che operano su questa monetina. La risposta corretta secondo la fisica è ‘la gravità’. Se fate la stessa domanda ad uno studente di fisica al di fuori dell’aula vi da la stessa spiegazione di un bambino di 5 anni, vi dice: "C’è una certa quantità di forza nel dito e quando fate saltare la monetina la forza accompagna la moneta; poi la forza lentamente scompare e quando non c’è più forza basta, la monetina cade sul pavimento.
Quando i bambini sono in tenera età, senza aiuto da parte degli adulti sviluppano teorie intuitive, teorie basate sul buon senso. La teoria della materia: gli oggetti più pesanti cadono più rapidamente degli oggetti più leggeri. Una teoria della vita: se si muove è vivo, se non si muove è morto, se è uno schermo di computer" boh, non lo so. Una teoria della mente: tutti abbiamo la mente, se tu sei come me anche la tua mente è come la mia, quindi vai bene. Ma se sei diverso, e la tua mente quindi è diversa, tu sei cattivo, non vai bene.
Queste sono teorie che gli individui sviluppano presto, nella vita. Sono molto potenti, sono ben radicate nel cervello e nella mente. Sarebbe bellissimo se fossero vere, ma non lo sono. L’educazione le dovrebbe cambiare perché diventino più precise ma, come ho già detto, riempiamo i bambini di fatti, creiamo questi mucchi di fatti, e quando lascia la scuola l’adulto continua a pensare come faceva quand’era bambino. In un libro che si intitola "The unschooled mind" che è stato tradotto in Italiano col titolo "Educare a comprendere" ho analizzato tutti i differenti settori: le scienze, la matematica, la storia, le arti, la letteratura e, ho notato, queste aree educative presentano, appunto, la mentalità del bambino di 5 anni. Invece di proporre una comprensione sofisticata gli adulti, quindi, continuano a pensare proprio come quando erano bambini.
Utilizziamo l’esempio della teoria dell’evoluzione. La teoria dell’evoluzione afferma che gli animali (compresi gli umani) e le piante cambiano, variano a causa delle mutazioni, e quelli che riescono a sopravvivere in una nicchia si riprodurranno. Persone che hanno studiato, ad esempio, l’evoluzione per 2 anni pensano ancora all’evoluzione come ad un processo di ‘perfezione’ guidato da una mano invisibile, e il massimo della perfezione sono gli esseri umani: noi ci troviamo al massimo, in termini di evoluzione. Ma i biologi vi possono dire che i parassiti possono sopravvivere più a lungo degli umani, che i virus sopravvivono molto più a lungo di noi. Però il nostro pensiero intuitivo è che noi siamo i migliori e che le scimmie stanno semplicemente dietro a noi.
Per quanto riguarda il settore della matematica, dei numeri, il problema è memorizzare le formule. Gli studenti imparano a memoria le formule e, quando sanno come usarle, possono mettere i numeri giusti, per esempio in un problema di algebra. Ma quando utilizzare le formule? Quando lo dimenticano, ad esempio, e devono ‘riformularle’, non capiscono più, perché non le avevano capite sin dall’inizio.
Nell’area, invece, della storia, degli studi sociali, i problemi sono gli stereotipi e, per me, le storie che la gente usa in modo inappropriato per spiegare fenomeni complicati. In America abbiamo, ad esempio, un copione, quello di Star War, che dice: "Il mondo è formato dai buoni e dai cattivi. Noi buoni siamo tutti uguali, i cattivi sono tutti diversi. E noi che siamo i buoni vinceremo.". Potete chiedere ad uno studente di una buona scuola di spiegarvi l’inizio della prima guerra mondiale e lo studente magari vi da una risposta piuttosto sofisticata. Allora voi chiedete cosa è successo nel Medio Oriente e lo studente può dirvi: "Mah, c’è un cattivo, Saddam Hussein, se lo combattessimo e lo uccidessimo andrebbe tutto bene". Questo è il modo infantile di parlare della storia.
Quindi è importante la comprensione, e se chiedete alle persone semplicemente di ripetere dei fatti non saprete veramente se li hanno capiti oppure no. Ma se li mettete di fronte ad una situazione nuova (parlare del Medio Oriente, del movimento della monetina) e cercate di capire quello che hanno veramente imparato, la prestazione sarà quella che ho descritto.
Tra gli ostacoli che si oppongono alla comprensione uno insidioso è quello che in inglese chiamiamo 'coverage pressure'. E’ la necessità di andare avanti, di 'coprire'il programma: avete un libro di 4 capitoli e voi ritenete di fare tutti e 4 i capitoli in un anno, qualunque cosa accada. Quindi, studiate storia, dovete andare da Platone alla Nato, oppure da Cleopatra a Clinton in 40 settimane. I fatti si accumulano, questo si, poi quello che in effetti lo studente riesca a capire questa è un’altra questione.
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L'intelligenza
A causa delle idee che stanno alla base della società in cui viviamo, vi è un certo modo di considerare l’intelligenza, e mi riferisco a quello che noi in America chiamiamo la curva di Bell: ognuno ha una certa quantità, un certo tipo di intelligenza, con cui nasce e che non può cambiare, è fissa. Gli psicologi possono dirci quanto siamo in gamba, quanto siamo bravi, e questo è il cosiddetto Q.I. L’idea è che nella nostra testa ci sia una certa quantità di intelligenza e che non possa essere fatto nulla per modificare questa intelligenza. E’ interessante notare che in effetti questa è un’idea che non esiste in altre società, è un’idea tipicamente occidentale.
Il mio approccio all’intelligenza è completamente diverso, si basa su uno studio del cervello e del sistema nervoso, quindi dell’evoluzione del cervello attraverso molte migliaia di anni, e di quale sia la struttura cerebrale di oggi, di quali fossero i valori nel passato e di quali saranno nel futuro, in altre culture, culture che magari prenderanno piede nel futuro. Ritengo che l’intelligenza possa essere capita molto meglio se noi consideriamo appunto la struttura del cervello e seguiamo un approccio più globale, dimenticando però per un momento i test.
L'intelligenza è la capacità di risolvere un problema, o la capacità di fare delle cose, che sia importante almeno in una certa cultura. Tutti gli psicologi ritengono che la risoluzione di un problema sia una capacità importante, ma io ritengo sia molto importante in generale la capacità di fare qualcosa: scrivere, comporre un brano musicale, un'opera d'arte, per esempio trasformare una fabbrica come questa in un Centro Congressi, insegnare, portare avanti un'impresa, essere a capo di una ditta. Tutto questo non rientra nelle capacità a livello di quoziente intellettivo. Io non ritengo che l'intelligenza sia semplicemente qualcosa all'interno del cervello. Ritengo che l'intelligenza sia un'interazione tra i potenziali presenti nella mente.
Le persone hanno tutta una serie di intelligenze diverse (cfr. H.Gardner Formae Mentis, Feltrinelli).
Il primo tipo di intelligenza la chiamo intelligenza linguistica. I poeti, per esempio, hanno una quantità molto particolare di intelligenza linguistica.
Il secondo tipo di intelligenza la chiamo logico-matematica. I matematici, i logici, gli scienziati hanno un'altissima intelligenza di questo genere. Piaget pensava di studiare tutti i tipi di intelligenza, ma io in realtà penso che studiasse l'intelligenza logico-matematica in particolare. L'intelligenza linguistica e quella logico-matematica sono molto importanti nella nostra società e sono ancora più importanti a scuola e sono importantissime quando si fanno i test. Per esempio, se avete una combinazione di intelligenza linguistica e logico-matematica sarete bravissimi a scuola e fintantoché rimanete a scuola sarete bravissimi e continuerete a pensare di essere molto intelligenti, ma la vita non è solo scuola.
La terza e' l'intelligenza musicale. C'è chi pensa in termini musicali. Qualcuno ritiene che la musica sia un talento, non un'intelligenza. D'accordo, ma perché non chiamare le persone che sono brave nel settore linguistico persone con un grande talento per le lingue, o persone con un grande talento per la matematica, nell'altro caso? Il fatto è che non c'è nessun motivo intrinseco per considerare un'intelligenza più importante di un'altra.
La quarta intelligenza la chiamo intelligenza di tipo spaziale. E' la capacità di rappresentare mentalmente ampi spazi, per esempio. Spazi ampi come deve fare un pilota d'aereo, oppure spazi ridotti come chi deve giocare a scacchi, ad esempio, oppure un geometra, un architetto. Questa è l'intelligenza di tipo spaziale.
Poi c'è un quinto tipo di intelligenza, che è un'intelligenza che ha a che fare con la cinetica; per esempio i ballerini, la danza, gli attori, un chirurgo, un artigiano, sono tutte persone che manifestano questo tipo di intelligenza, intelligenza manuale, di movimento.
Ci sono due intelligenze di tipo personale.
Una è la capacità di capire le altre persone: come lavorano, come lavorare con loro.. Politici, esponenti del mondo religioso, insegnanti, venditori...Sono tutte persone che hanno questo tipo di intelligenza, cosiddetta interpersonale.
Poi c'è un'intelligenza di tipo intrapersonale: riuscire a capire quali sono le proprie capacità e come poter usare queste informazioni in modo produttivo. Qualcuno di voi sicuramente conoscerà il libro americano intitolato "Emotional Intelligence", tradotto recentemente col titolo "Intelligenza emozionale". Questo libro parla proprio delle intelligenze personali.
Un ottavo tipo di intelligenza lo chiamo intelligenza naturalista, e mi rifaccio a Charles Darwin, il padre della teoria dell'evoluzione. Implica la capacità di saper discriminare oggetti nel mondo degli oggetti viventi. Noi tutti abbiamo questa capacità, ma ci sono delle persone che sono particolarmente dotate nel settore naturalistico.
Forse potrebbe esserci una nona intelligenza, che è un'intelligenza esistenziale, la capacità che le persone hanno di riflettere, di pensare su chi siamo, da dove proveniamo, perché moriremo, cosa è l'amore. Tutti ci siamo posti queste domande. Tutti i bambini di 5 anni si fanno queste domande. Magari non le fanno esplicitamente, a parole, e negli anni la religione, le arti, le scienze cercano di darci delle risposte a queste domande esistenziali. Penso sia chiaro allora il riferimento alla grande intelligenza esistenziale di Federico Fellini, quando parlo di 8 intelligenze e mezza.
Noi in quanto specie ci siamo tutti evoluti sino ad avere 8 - 8 e mezza intelligenze. Ma invece di definire gli esseri umani come animali razionali li potremmo definire come gli animali che hanno queste 8 intelligenze e mezza. Quindi, da questo punto di vista, l'intelligenza è una caratteristica della specie. Però le intelligenze portano anche a delle differenze individuali, perché tutti noi abbiamo queste 8 intelligenze e mezza, però non tutti hanno le intelligenze allo stesso livello o nella stessa combinazione. E difatti siamo tutti diversi. Abbiamo diverse personalità, diversi caratteri. Abbiamo tutti una mente diversa gli uni dagli altri.
Se pensiamo alla mente e la consideriamo come un computer, come una serie di computer che si è evoluta negli anni, nelle migliaia di anni per capire tutte le informazioni del mondo (il mondo naturale, il mondo delle lingue, il mondo della musica, il mondo dello spazio, il mondo degli altri) allora arriviamo ad un punto di vista molto diverso sull'intelligenza: ci sono molte intelligenze, sono 8, sono 9, sono 150, chi lo sa, che si sviluppano a loro modo. Noi siamo esseri umani proprio grazie a queste intelligenze. Noi variamo e cambiamo, come dice la teoria dell'evoluzione, abbiamo la nostra impronta genetica, abbiamo la nostra esperienza culturale, e nessuno di noi ha lo stesso tipo di intelligenza o di intelligenze. Cosa possiamo fare quindi a partire da questi fatti, che siamo tutti diversi dal punto di vista mentale e che la comprensione è molto difficile da ottenere?
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La scuola
Ed ecco il punto in cui passiamo dalla scienza all'educazione. Molti, tra cui io, hanno cominciato a riflettere sull'implicazione del fatto che ognuno ha una mente diversa da quella degli altri. Se pensiamo all'educazione da un punto si vista storico, vediamo che storicamente l'educazione si è basata sulla scuola 'uniforme' in cui tutti parlano delle stesse cose, allo stesso modo, queste cose vengono valutate allo stesso modo, e questo si ritiene sia una sorta di comportamento giusto. Ma questo sarebbe giusto se tutti avessero la stessa mente.
Se vogliamo che le persone non studino semplicemente le cose ma che le comprendano, che riescano poi a mettere in atto questa comprensione, una cosa dobbiamo fare, ed è molto difficile da accettare, perché significa che si deve cambiare veramente il modo in cui si gestiscono le scuole, dobbiamo abbandonare l'obiettivo di coprire tutto, di andare avanti. Se vogliamo toccare tutti gli argomenti, imparare ogni tipo di regola geometrica, studiare tutte le teorie scientifiche, cercare di diventare dei grandi artisti, rivedere qualunque evento storico, imparare tutto di tutte le nozioni, sicuramente, lo sappiamo, gli individui non capiranno tutto. Magari possono vincere un quiz alla TV ma la comprensione non sarà molto diversa da quella di un bambino di 5 anni.
Quando si parla di evoluzione, ebbene c'è gente che continua a pensare che è guidata da chissà chi e che l'uomo è il massimo dell'evoluzione e che noi non saremo mai scacciati dalla nostra posizione. Quando noi parliamo di olocausto c'è gente che pensa che non è successo affatto oppure che soltanto in Germania poteva succedere una cosa del genere. Oppure che non succederà più. Oppure che noi non saremmo mai stati coinvolti nell'Olocausto. Mi dispiace, ma tutte queste cose non sono vere.
Tutto questo mi porta a dire che se vogliamo che le persone capiscano veramente dobbiamo voler spenderci, passare del tempo con loro.(...) Se vogliamo spendere del tempo ed avvicinarsi ad argomenti come l'Olocausto o Mozart o l'evoluzione possiamo entrare in argomento con modalità diverse, punti di ingresso li chiamiamo noi (entry points), finestre che danno sulla stessa stanza, possiamo creare delle analogie tra le nostre intelligenze diverse. Se vivete a Milano, ad esempio, ed insegnate l'evoluzione, magari potete insegnare l'evoluzione dello stile, della moda. Qualunque analogia è potente, qualunque analogia però può essere fuorviante: mettere in relazione l'evoluzione biologica con l'evoluzione del gusto e dello stile è comunque molto istruttivo.
Qualunque argomento a cui dedichiamo del tempo potrebbe essere avvicinato in modi molto diversi. Un punto d'ingresso è quello narrativo. Se volete insegnare l'evoluzione potete raccontare la storia di Darwin, oppure il suo viaggio, la sua analisi dello scarafaggio. Oppure la storia di Hitler per l'Olocausto, oppure la storia delle vittime, oppure la storia del fascismo.
Alcuni imparano più facilmente con dati quantitativi. Potreste parlare dell'evoluzione guardando ad esempio il numero di specie di animali sulle isole Galapagos, e questo può dare un contenuto maggiore alla teoria di Darwin che osservava il suo scarafaggio. Oppure potreste guardare l'incidenza...cosa fanno certi individui che vivono in paesi prima degli anni '30, prima delle leggi razziali. Potreste vedere che cosa succedeva prima e dopo il terzo Reich.
Potreste cercare di rispondere a domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo, perché facciamo certe cose, che cosa fanno di bello gli uomini, che cosa fanno di terribile gli uomini? Questi sono punti d'entrata di tipo esistenziale, basilari.
Potreste utilizzare i capolavori, potreste anche studiare i fenomeni in modo estetico. L'evoluzione è un fenomeno bellissimo, i cambiamenti morfologici sono belli di per sé. Potreste studiare con le mani sopra, ovvero proprio in pratica, ad esempio la storia cercando di analizzare la vita delle zanzare, la vita degli insetti perché comunque cambiano. Ad Auschwitz, o come ho visto in alcuni musei per i bambini, quando i più giovani, gli adolescenti vengono al museo, gli danno la foto di un bambino e poi quando lasciano il museo scoprono cosa è successo a questo bambino, una forma potente di identificazione.
Sesto punto d'entrata, interpersonale cooperativo, Alcuni individui imparano molto meglio in gruppo, quando partecipano a dei progetti in cui possono interagire con gli altri, in cui tutti possono dare il loro contributo personale, in cui i punti di forza sono complementari o reciproci.
Il punto non è che tutto può essere insegnato in sei modi diversi, il punto è piuttosto che tutto può essere insegnato in più di un modo. Se passiamo del tempo su questi argomenti, se noi "scopriamo" invece di "coprire", (uncover / cover) succedono due cose stupende. Primo: raggiungiamo un più numeroso gruppo di bambini, perché un bambino imparerà meglio con la storia, un altro con le opere d'arte, un altro con i numeri e poi , seconda cosa altrettanto importante, diamo a tutti i bambini un senso di significato, il significato di essere un esperto, gli diamo la sensazione di capire, di mettere in atto la sua comprensione, perché se siamo esperti possiamo pensare alle cose in modi molto diversi. In qualunque cosa siate esperti in famiglia, sul lavoro, potete pensarci in modi diversi. Tutti noi sappiamo come insegnanti che cosa vuol dire il momento imbarazzato in cui il bambino alza la mano e dice: "Maestra, non ho capito. Me lo puoi spiegare in un altro modo?" oppure "Mi può far vedere senza parlare?". E se scopriamo di non riuscire a farlo impariamo che la nostra comprensione è limitata. E poi non c'è una via regia alla comprensione, è difficile, ma se cerchiamo di coprire tutti gli argomenti sicuramente falliremo. Se scegliamo quello che è veramente importante e ci passiamo del tempo avremo la possibilità di utilizzare le intelligenze multiple e c'è la probabilità che tutti capiranno qualche cosa e capiranno tra l'altro molto bene.
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Tre domande per la scuola di domani
Premessa
In questo numero della rivista vi è una sintesi dell'intervento di Gardner con cui si è aperto il recente convegno nazionale dell'MCE a Torino. (Una versione quasi completa dell'intervento è disponibile su . Mi riferirò più volte a questa sintesi ma vi sono alcuni elementi fondamentali del discorso di Gardner che vale comunque la pena di richiamare brevemente anche qui.
- La comprensione va definita come la capacità di trasportare le conoscenze acquisite in una situazione nuova, inedita. In generale i metodi didattici non puntano ad evidenziare la comprensione.
- La scuola non riesce a produrre cambiamenti nella mente degli studenti. Il bambino molto precocemente sviluppa sue teorie per spiegare il mondo. La scuola non riesce a modificarle, si limita ad accumulare temporaneamente fatti nella mente del bambino. Di conseguenza l'adulto, nell'affrontare situazioni nuove, usa ancora le teorie del bambino.
- L'intelligenza non è una sorta di fluido di cui si possiede una certa quantità. Vi sono svariate intelligenze, Gardner ne ha studiate 9 ma potrebbero essere molte di più: linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, cinetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, esistenziale. Ognuno di noi possiede, in modo differente, tutte queste intelligenze. A scuola servono quasi soltanto le prime due.
- La scuola potrebbe utilizzare la pluralità di intelligenze per moltiplicare i 'punti di ingresso' alle discipline.
Partendo da queste tesi è possibile riflettere sulla realtà della scuola e sulle sue prospettive, in tempi di riforma? Vorrei arrivare a focalizzare alcune domande cui è cruciale rispondere, ricordando che quello dell'educazione è un problema complesso e che ogni problema complesso ha almeno una soluzione semplice, lineare, comprensibile, facile da applicare è sbagliata.
Prima domanda: chi cambia cosa?
La scuola produce cambiamenti? Se li produce lo fa intenzionalmete? E' in grado di misurarli? Siamo in grado di stabilire se uno studente ha realmente 'compreso' un qualcosa, ad esempio la teoria dell'evoluzione o la prima guerra mondiale? Gardner afferma che non c'e' questa comprensione se poi lo studente interpreta i fatti nuovi che gli vengono presentati senza usare quelle conoscenze. Sarebbe interessante chiedere agli insegnanti "Sulla scala dell'evoluzione l'uomo si trova più in alto o più in basso della scimmia?" oppure "Saddam Hussein è buono o cattivo?" per vedere quanti rispondano utilizzando schemi mentali…prescolastici. Detto in altri termini, gli insegnanti hanno compreso? In questo caso il gatto non può proprio fare nient'altro che mangiarsi la coda Al contrario delle apparenze non sto cercando di dividere gli insegnanti in competenti ed incompetenti. Il problema riguarda ognuno, poichè la comprensione non è una qualità, che si acquisisce una volta per tutte. E' ovvio che un'impostazione di questo genere esclude la possibilità di continuare a pensare la scuola in termini di trasmissione di sapere, poichè la comprensione è sempre necessariamente limitata, copre solo alcune aree. Gli insegnanti non sono super-eroi cognitivi. E' possibile cambiare qualcosa nelle menti degli allievi senza che cambi qualcosa in quelle degli insegnanti?
Seconda domanda: chi diventa come?
Un aspetto fondamentale del discorso di Gardner è quello sulla diversità. Il nostro cervello è… un sistema di molti computer (le intelligenze) evolutesi insieme ma anche indipendentemente. Ognuno di noi è diverso in quanto le connessioni, le relazioni tra questi sistemi sono diverse. Non esistono due persone che comprendano lo stesso concetto esattamente nello stesso modo. E quindi non esistono due allievi a cui si possa insegnare la stessa cosa allo stesso modo. Esiste un modo ottimale per ogni allievo? E la scuola dovrebbe e potrebbe mettersi in grado di insegnare ad ognuno nel modo migliore? Difficile da fare, anche solo da pensare. Ma, dice Gardner, offrite ad ognuno più possibilità, date ad ognuno la possibilità di arrivarci con le emozioni, con la musica, col movimento, attraverso il racconto, attraverso i dati, con la logica. Competenza significa non già il saper parlare di un argomento, ma il saperne parlare in molti modi. Certo questo può accadere in una scuola molto diversa da quella di oggi. Come immaginiamo la scuola del futuro? Come immaginiamo i suoi insegnanti? Come i suoi allievi? Sembrano domande vuote, ma quale trasformazione è possibile se noi non immaginiamo il domani?
Terza domanda: la scuola necessita di una svolta tecnologica?
Gardner dice che di non essere entusiasta delle tecnologie, che tuttavia pensa possano essere utili. Il riferimento alla multimedialità è esplicito ed è una conseguenza inevitabile del suo discorso. Ma la tecnologia di per se' cambia qualcosa? Cambia se si aggiunge al curricolo, espandendolo, arricchendolo, integrandolo? Oppure se arriva come un'onda impazzita che devasta, stravolge orari e confini tra le discipline, scombina e mette in pericolo l'organizzazione scolastica? Rispondete a questa domanda ed avrete risposto anche a tutte le precedenti.
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