Latino sì latino no nella scuola media dell'obbligo

di Adriano Venditti

Il dibattito, spesso anche in tono polemico, sulla opportunità dell'insegnamento della lingua latina nella scuola media dell'obbligo, non si è mai spento e, a mio avviso, continuerà a sussistere per il semplice fatto che viva e vitale, quotidianamente praticata, nel linguaggio orale e scritto, è la medesima lingua.
Molti neppure se ne avvedono, altri ne subiscono un impatto occasionale e magari ostico, allorquando si vedono messe in discussione le capacità di intendere il messaggio, trovandosi di fronte a detti, motti, sentenze, locuzioni latine che ricorrono nei modi di esprimersi in campo politico, burocratico, giudiziario, a voler restringere intenzionalmente il campo.
Ma il problema non è solo questo: quanti hanno coscienza vera di parlare ancora oggi, sempre e comunque latino? E' latino il nostro modo di discorrere, nelle parole, ma anche nella formulazione del pensiero, latino del 2000, ma pur sempre latino.
Vi pare un'affermazione paradossale, provocatoria? Non lo è minimamente.
"Minima-mente" ho detto, con espressione latina classica: vale a dire (questo era ed è il significato) "con pochissimo senno", cioè "in trascurabile modo".
Si ha dunque l'impressione che del tutto ingiustificato sia l'ostracismo che a questa lingua si è voluto dare, almeno nella pratica quotidiana di insegnamento (perché ben diversa è la posizione del legislatore nel fissare i programmi della lingua italiana, ove uno spazio di rilievo è dedicato all'origine storica della lingua stessa e, a ben guardare, in qualche modo, allo studio del latino).
E' arbitraria interpretazione e vanificazione della norma rinunciarvi totalmente, come alcuni per anni hanno fatto ed altri continuano a fare, senza preoccuparsi dei danni che si procurano ai discenti, soprattutto a coloro che poi proseguiranno gli studi in una scuola superiore ove tale insegnamento vige in misura considerevole.
A voler essere obiettivi infatti, senza indulgere a puerili attenuanti, ci rendiamo tutti conto che quegli alunni, i quali hanno fruito di un insegnamento, magari molto parziale, ma impostato in maniera sistematica, scientifica, del latino nella scuola media, affrontano poi senza difficoltà, nelle superiori, lo studio di detta lingua e lo proseguono agevolmente, senza incorrere in defezioni, che sono ingiustificate dall'effettivo potenziale intellettivo dell'alunno, in ogni caso scoraggianti, avvilenti.
E la dispersione di questo potenziale (abbiamo l'onestà di ammetterlo) è anche un po' colpa nostra, di noi docenti di scuola dell'obbligo, che non riusciamo a dare all'alunno l'avvio giusto, calibrato, verso la lingua latina, in quanto non siamo capaci di destare in lui il gusto, l'interesse per qualcosa che è appartenuto ai suoi avi, che appartiene a lui, che è il legame insopprimibile (nessuna legge potrà mai estinguerlo, a meno che non si imponga di chiudere la bocca a chicchessia!) teso a coloro che lo seguiranno in questa esperienza di vita, per breve che essa sia.
"De brevitate vitae" ha scritto appunto Seneca.
Non è allora il caso anche di rivisitare il pensiero del grande filosofo per riflettere, insieme sull'importanza, sui fini di questa nostra esistenza che, comunque la si viva, è pur sempre breve, e quindi per cercare, sotto la sua guida, il modo migliore per spenderla? Ci accorgeremmo allora che egli è, come testimonio dell'angoscia umana, una voce di "sempre" che aiuta a superarla, se non altro perché sperimentata, sedimentata, consolidata attraverso l'arco dell'esistenza nell'animo di ognuno che si dica uomo.
E l'accesso ai testi latini nella lingua originale è possibile solo se siamo forniti dello strumento adeguato per la conoscenza del latino, che va stimolata, favorita con entusiasmo, prima di tutto, da parte del docente: entusiasmo che, per osmosi, si trasferisce inevitabilmente all'alunno, come del resto avviene per qualsiasi altra disciplina. Occorre però considerare che, proprio perché questo studio riguarda la lingua, anzi "la nostra lingua madre", saranno tutte le altre discipline a giovarsene, perché la comprensione del linguaggio sarà agevolata a "trecentosessanta gradi" e non sarà ristretta all'ambito solo letterario. Persino l'informatica se ne avvantaggerà : quanti usano il "mouse" e non si rendono conto che la parola è, mediato dall'inglese, il latino "mus" (topo)? Che "exit" (esce-uscita) è, sic et simpliciter, la terza persona singolare del presente indicativo del verbo "exeo"?
Progrediamo dunque! (dissennato sarebbe solo aver l'intenzione di regredire), ma rendiamoci conto che meglio si intende il presente se si conosce il passato e se il passato, nel nostro caso, si vuol intendere senza soggiacere a intermediari, che sempre sono soggettivi, è indispensabile, direi vitale, conoscere il latino. Si può discutere sui metodi, sui programmi, sugli strumenti, ma, a mio avviso, non si può mortificare, non si può soffocare lo spirito che, inossidabile, permea le cellule della nostra facoltà di conoscere, la nostra struttura genetica di popolo neolatino.
Tuttora nella nostra città di Frosinone, in versione dialettale, è d'uso "ito" per "andare" (lat.: itum) e in qualche comune limitrofo l'espressione "a-hiec" (qui), che ci riconduce al latino "ad-huc" inteso nel suo significato originario, in senso locale e non ancora temporale, di "fin qui".
Dunque anche di fronte alla noncuranza del dialetto e, attraverso esso, della sua radice latina, nonostante la sua vitalità, prendiamo per contro atto di una omologazione culturale , che ci è estranea (si vedano gli anglismi diffusi e, molte volte, ingiustificati), per contrastare la quale, bisogna ritrovare la nostra identità linguistica, attraverso cui passa il patrimonio ideale, emotivo, dell'individuo e del popolo, senza il quale vivrebbe orfano di tante sensazioni.
Soltanto una lingua finalizzata non esclusivamente alla comunicazione immediata, può restituirci valori in via di estinzione, una lingua legata all'"Essere", di cui, come dice Heidegger, registriamo sempre più l'oblio a mano a mano che l'uomo si immerge nella vita "inautentica" della attuale società dominata dal progresso tecnico-scientifico, dall' "automazione" più esasperata. Da essa condizionato, allora, l'uomo sembra precipitato in una situazione di offuscamento, di annihilimento, contro cui occorre sostenere una sfida profondamente sentita e vincerla per rivalutarlo nella sua dimensione più recondita, anche in quegli aspetti che sono scientificamente magari non sondabili: si può ottenere ciò solo attraverso il riscatto della cultura umanistica e dei suoi valori.
Per il conseguimento di tale obiettivo occorre dunque prendere in debita considerazione la necessità di iniziare alla base, nella scuola media dell'obbligo (perché, addirittura, non nella scuola elementare?) con i primi rudimenti della lingua latina, poiché non si concepisce una cultura umanistica senza il latino e, tramite esso, il greco.
Ma questo è poi un altro discorso!