Il contratto e la memoria

di antonio limonciello

 

 

Non mi dispiace riprendere alcune scelte degli anni 70 per confrontarle con quelle attuali.

Negli anni 70 mi sono battuto per l'abolizione delle note di qualifiche e del concorso per il merito distinto, nonché per l'eliminazione di tutte quelle voci stipendiali che dividevano gli insegnanti.

Negli anni 80 mi sono battuto, con qualche perplessità, per gli incentivi e per l'articolazione della funzione docente, compreso gli orari di lavoro differenziati.

Negli anni 90 mi sono convinto che andava introdotto il merito, anche se la sua introduzione mi fa nascere non poche preoccupazioni.

 So che il mio percorso può essere soggetto a giudizi del tipo "rivoluzionario da giovane, riformista nella maturità, reazionario da vecchio", ma non ho paura di tali semplificazioni e cerco di dire il perché.

 

anni '70

Le proposte degli anni 70 erano espressione di quella condizione storica, il movimento degli insegnanti, dopo quello degli studenti del '68 e degli operai del '69, era forte. L'egualitarismo di quegli anni, anche se veniva dall'egemonia della cultura espressa dalla classe operaia, (egemonia, quindi la visione più potente e suggestiva della società di quegli anni) trovava una sua originalità nel lavoro scolastico in quanto lavoro intellettuale. In più i movimenti pedagogici che partivano dai bisogni dei soggetti, quindi dalle soggettività profonde, che recuperavano il piacere nel lavoro dell'insegnamento come nell'apprendimento, che non dividevano i soggetti tra chi insegnava e chi apprendeva bensì mettevano in luce come i processi di insegnare e apprendere appartenessero a tutti i soggetti, che teorizzavano la ricerca come antipedagogia e il gioco come modalità dell'apprendere, ............ , tutte questi movimenti insomma davano forza all'idea di un'organizzazione del lavoro orizzontale.

Ho riportato alcuni temi di quegli anni per ricordare agli anziani e far sapere ai giovani che dietro al semplice slogan "eguale funzione eguale salario e eguali poteri" c'erano una ricerca e un'elaborazione culturale significativa e soprattutto armonica: si davano risposte coerenti sia per quanto riguarda la funzione della scuola, che per il ruolo dei soggetti principali "docenti e discenti". Questo quadro di elaborazione culturale produceva un progetto di politica scolastica e si trasformava in un volontariato diffuso e "autonomo dal sistema".

Io andavo a scuola al di là, e a prescindere, dei miei doveri per realizzare cose che a me piacevano. Ero convinto che così realizzavo me stesso e contemporaneamente cambiavo il mondo in cui vivevo. Operavo in un'istituzione ma ne cambiavo la natura. Non potevo accettare di "essere giudicato e valutato" da questa istituzione in quanto non ne riconoscevo l'autorità, ma soprattutto perché non era necessario che qualcuno al di fuori di me e del movimento mi riconoscesse un valore, il mio valore apparteneva (e appartiene ancora) solo e soltanto a me stesso. Il danaro, quindi il salario, come unità di misura del valore e del potere sociale non mi interessava, mi interessava solo in quanto strumento di soddisfazione dei bisogni primari. La mia funzione docente era un servizio alla società (il concetto di servizio scolastico nasceva in quegli anni) quindi non il preside e la gerarchia erano i miei riferimenti bensì gli studenti e i genitori.

 Questa concezione della scuola e della funzione docente non era maggioritaria, neanche negli anni 70, ma aveva la forza di essere egemone perché dall'altra parte c'era una maggioranza, anche allora silenziosa, incapace di dare risposte forti alla crisi scolastica di quegli anni (ebbene si, la scuola si è criticata sempre come inadeguata; ho ben presente la scuola che mi offrivano negli anni '60 ed era una vera schifezza, solo che la memoria spesso si perde, troppo spesso negli ultimi anni). Pensate, l'85 % del personale scolastico della scuola secondaria di primo e secondo grado non era di ruolo e non possedeva neanche un'abilitazione all'insegnamento. Non c'era uno stato giuridico del personale scolastico, e quando gli stessi insegnanti che volevano cambiare la scuola proposero soluzioni alle condizioni del lavoro di quegli anni, ecco che la maggioranza silenziosa, pur rimanendo conservatrice, si aggregò alla minoranza "rivoluzionaria" per risolvere il proprio problema personale.

 Il potere di allora poteva utilizzare la forza di questo volontariato per cambiare davvero la scuola, ma non lo fece, perché la scuola non era ancora concepita come un investimento economico, quindi una scuola che creasse uomini colti, capaci, critici e liberi, ma solo come investimento politico, ovvero la scuola doveva creare consenso al potere dominante, quindi ripercorrere le stesse gerarchie sociali di valori e di poteri. Una scuola diversa non serviva e non doveva realizzarsi. Quel movimento andava depotenziato, doveva essere scardinato l'asse di interessi che andava dai moderati fino ai rivoluzionari, doveva rinascere il corporativismo innocuo degli anni passati (fu creato lo SNALS). Per creare il consenso verso i poteri forti si sprecavano migliaia di miliardi, si, si sprecavano, infatti secondo la concezione di allora la scuola era una voce di investimento non produttiva del bilancio statale. Non erano importante la promozione reale del cittadini ma solo quella formale, non era importante fare una scuola adeguata bastava scriverla nelle leggi, tenere buona la sinistra da una parte e dall'altra prendere i voti degli insegnanti moderati garantendo il mantenimento reale dello status quo. Col passare degli anni la crisi del volontariato precipitò e la scuola rimase senza la forza che l'aveva sorretta negli anni '70 e senza la vecchia struttura giuridico-salariale che l'aveva caratterizzata fino agli anni '60. L'idea di essere protagonisti del rinnovamento, di svolgere un ruolo sociale forte, non resse allo sfiancamento istituzionale messo in atto dai vari governi. La scuola restò sola, con insegnanti demotivati, altri frustrati, altri ancora in attesa di vendetta su coloro che erano stati egemoni ma incapaci di produrre il rinnovamento.

Intanto una nuova soggettività cominciava a fare capolino: dal riflusso nel privato della seconda metà degli anni '70 nasceva l'individualismo edonistico che avrebbe dominato gli anni '80.

 

anni '80

Gli anni bui, secondo me, cominciarono alla fine dei '70 per continuare per tutti gli anni '80. Smantellato la struttura della carriera e del salario degli anni '60, venuta meno la spinta dei movimenti degli anni '70, la scuola rimase priva di punti di riferimento. Alla cultura del cambiare il lavoro per renderlo "felice" si sostituì la fuga dal lavoro: la felicità stava fuori, nel tempo libero, i quattrini stavano fuori, facendo il doppio lavoro. Come rendere conveniente rimanere a scuola? Come motivare l'insegnante? Come tener conto della femminilizzazione della funzione docente? Come rendere praticabile l'idea che il valore economico del lavoro dipende dal valore della qualità del prodotto che eroghi? (il mio salario, il mio prestigio sociale non può essere scisso dal valore che la società attribuisce alla scuola). E se questo è un dato incontrovertibile in un economia di mercato, come rendere coscienti gli insegnanti dei mutamenti di mentalità e di comportamenti sociali? I sindacati confederali, dopo una vacanza contrattuale di quasi 3 anni, firmarono un contratto nel 1997. Si disse che il contratto aveva il consenso della categoria, anche se per poco. Non era vero, la maggioranza era contraria, la categoria non era pronta, tutta la società italiana stentava a tenere il passo dei mutamenti profondi in atto, mutamenti che di lì a poco avrebbero fatto crollare tutti i paesi dell'Est Europa. E perché la categoria era contraria? Perché si introduceva il concetto che gli aumenti dovevano essere legati ai carichi di lavoro e alle responsabilità che si assumevano. Quindi non più aumenti solo legati all'anzianità, ma legati a meccanismi nuovi che si dovevano creare. In più, cosa non secondaria, la categoria riteneva gli aumenti uguali per tutti poco soddisfacenti. Si chiese allora la redistribuzione a tutti degli aumenti che dovevano essere differenziati. Si accusò i firmatari del contratto di voler dividere gli insegnanti in serie A e serie B (vi ricordate l'albo dei formatori? e i super insegnanti?). Allora non ci si oppose all'albo dei formatori, ma proprio al concetto di creare un'articolazione della funzione docente. Si diceva che gli insegnanti non dovevano essere differenziati ( la Gilda diceva una cosa diversa ma si accodò ben volentieri allo SNALS). Come possono, vecchi insegnanti dimenticare gli anni '80 e dire che solo oggi i sindacati si pongono il problema dell'articolazione della funzione docente? Come possono dimenticare di aver, per il 90%, fatto il blocco degli scrutini sulle piattaforme dello SNALS, COBAS e GILDA messi insieme? Insomma, in quegli anni, anche con l'incomprensione della categoria si cercò di praticare la strada degli incentivi. Nacque il fondo di incentivazione, Il fondo di incentivazione rimase anche nel contratto dell'88, l'articolazione della funzione docente scomparve in seguito al blocco degli scrutini dell'anno scolastico 1987/88. Rimasero le patetiche 4 Nuove Figure Professionali, introdotte sperimentalmente e tali rimaste fino ad oggi.

Il contratto dell'88 fu la vittoria dell'alleanza del corporativismo di destra e di sinistra e la sconfitta del riformismo di quegli anni. Un contratto che diede 460.000 lire di aumento medio per tutti (c'era l'inflazione a 2 cifre, non dimentichiamolo), aumento, disse allora il ministro Pomicino, giustificato dal fatto che gli insegnanti si impegnavano a migliorare la qualità del servizio scolastico. Ma tanto in quegli anni si viveva di indebitamento e inflazione, i governi facevano debiti e gli insegnanti non miglioravano la qualità della scuola, falsa moneta contro falsi impegni di qualità. Era questo il gioco delle parti. Il fondo di incentivazione rimase e fu subito un fallimento. I collegi, chiamati a varare i progetti ammessi al fondo, si preoccupavano di distribuire a pioggia i pochi denari che arrivano. Mi ricordo che facemmo, con la CGIL scuola, un'analisi dell'uso del fondo per i primi 2 anni, l'analisi dimostrò che i collegi tendevano quasi sempre a distribuire il fondo in modo da "non scontentare nessuno". I presidi ovviamente avallavano questa interpretazione perché era la più comoda da governare. Ricordo che si facevano corsi di recupero di 6 ore, 10 ore di latino come integrazione, e così via. Insomma, le ore dei corsi diminuivano a mano a mano che aumentavano i progetti presentati, cioè le finalità didattiche non esistevano affatto.

Conclusione: Preso atto dei cambiamenti sociali avvenuti, preso atto che "la felicità" passava attraverso il tramite del danaro, e che la stragrande maggioranza del mondo invece di eliminare lo schifo, si rassegnava alla sua monetizzazione, pensai che l'unico modo per far impegnare gli insegnanti era quello di incentivarli. Insomma alienati, che bruciavano la loro vita in attività non amate, ma con i quattrini in tasca per la sbronza consumistica (ma poi quanti quattrini si potranno mai dare a 1 milione di insegnanti? sempre pochi). Lo pensai come necessità, anche se avevo già letto della qualità globale giapponese che superava in tromba l'idea della estraneità dal lavoro e che richiedeva una partecipazione forte ai processi produttivi.

 

anni 90

Si è diffusa nella categoria la coscienza che il valore degli insegnanti dipende dal valore che la società attribuisce al servizio da loro erogato e/o dal valore che il mercato attribuisce a tale servizio? Si sono diffusi comportamenti ispirati all'aumento della qualità complessiva del servizio erogato in modo da poter rivendicare maggior valore per gli operatori del servizio? Si sono posti in essere progetti capaci di far divenire centrale il ruolo della formazione in quanto motore dello sviluppo e del progresso sociale? Ci sono movimenti politici, sindacali, professionali significativi che propongono progetti, prendono iniziative in tal senso? I singoli soggetti, che pure in questa lista affermano la propria soggettiva qualità professionale e rivendicano per se riconoscimenti, sono in grado di produrre organizzazione, movimento, in poche parole: sono portatori di progetti capaci di creare rapporti di forza favorevoli?

 Mi pare di no, quindi, nella sostanza, questa incapacità di essere "soggetti capaci di determinare" mi fa pensare che il rivendicazionismo spicciolo che traspare un po' dappertutto si stia preparando a chiedere, ancora una volta, uno scambio politico del tipo utilizzato nei primi 50 anni della repubblica: gli insegnanti votano per il governo e questo vede cosa può dar loro in cambio. Questo storicamente non è un comportamento di sinistra, storicamente è stato il comportamento del ventre molle dei collegi dei docenti. So bene che il trasformismo impera, ma qui c'è ancora una volta un errore di coscienza del momento storico: Non è più possibile lo scambio politico, l'entrata in Europa, e non la fede politica o il trasformismo, non lo permette più. So che non mancano le esperienze belle ne' gli insegnanti capaci di realizzare una scuola stupenda, quello che manca è il progetto politico e la capacità di fare movimento. Da questo punto di vista l'attivismo del MPI un merito ce l'ha ed è quello di aver assunto l'impellenza di un processo di riforma. Sbaglia a voler fare in 5 anni quello che si doveva fare in 30 anni?

In realtà il MPI sta buttando all'aria tutti gli stracci ( non può fare altro), vediamo sotto cosa si trova, può darsi che ci sia poca cosa, badate bene, questo significa che tutti noi siamo poca cosa, oppure che si innesca un vero processo di riqualificazione del sistema scolastico italiano. In questo caso, saremmo sempre noi a determinarlo. Il mio pessimismo nasce dal fatto che anche coloro che strillano contro, a meno che non siano i difensori degli interessi della scuola privata, non sono in grado di proposta alternativa, dove per proposta intendo sempre un progetto politico, quindi un proposta di riforma e un movimento di massa che la sostiene. Eppure di occasioni ce ne sono state: perché il documento dei saggi, nonostante lo sforzo di Maragliano di metterlo in rete, non ha prodotto un vasto dibattito nel paese? Era troppo aspettarsi questo? Ma come mai neanche nella scuola si è discusso? Perché la presentazione della ipotesi di riforma dei cicli scolastici ha fatto la stessa fine? E l'autonomia, nonostante la consultazione obbligatoria in tutte le scuole?

Va da se che non ritengo significativi movimenti come quelli che hanno finora manifestato pro e contro la parità, pro e contro l'autonomia. Chi ha impedito che questo dibattito si svolgesse? Ritengo che nel paese non ci sia la consapevolezza del valore di un'istruzione alta, diffusa e permanente, intendo dire che non c'è consapevolezza che lo sviluppo del singolo dipende dall'istruzione minima generale del sistema paese: quando più è alta questa istruzione minima più sono alte le possibilità di sviluppo del paese e del singolo. E per essere più chiaro: consapevolezza vuol dire disponibilità ad assegnare una parte più alta del PIL, quindi della propria ricchezza, al sistema formativo del paese. A chiacchiere tutti dicono che vorrebbero, è il portafogli che frega gli ipocriti.

 Gli anni '90 si aprirono con la legge sulla trasparenza, la legge sull'autoregolamentazione del diritto di sciopero (leggi il divieto del blocco degli scrutini), la privatizzazione del rapporto di lavoro. Nel '93, per la prima volta, si firmò un accordo sulla politica dei redditi, accordo che insieme alla "stabilità sociale" avvia il processo di eliminazione dell'inflazione. L'abolizione degli esami di settembre, il 900, la riforma degli esami di maturità, la presentazione della riforma dei cicli, l'autonomia, la parità scolastica, tutto questo è cronaca. Ma è davvero credibile un processo di riforma, un processo di riqualificazione della scuola, senza intaccare l'organizzazione del lavoro? Un vero processo di riforma può essere realizzato senza toccare interessi consolidati, insomma, senza fare vittime? Come dare potere ai fruitori del servizio scolastico? Ovvero è possibile incrementare i diritti di cittadinanza senza dare a questi cittadini la possibilità di conoscere il valore della scuola a cui stanno iscrivendo i figli? È mai possibile attribuire un valore a un sistema fatto di 1.000.000 di persone, decine di migliaia di unità produttive e in più con l'assenza di un'esperienza consolidata di valutazione della qualità? L'autonomia scolastica è una necessità per la qualità, per la democrazia, per l'economia, per potere essere noi singoli operatori soggetti determinanti, riconoscibili e riconosciuti dei risultati raggiunti da ogni singola unità scolastica. È possibile dare più diritti di cittadinanza senza dare gli strumenti alla singola scuola per rispondere alla domanda di coloro che la frequentano? Ed è possibile attribuire un valore di qualità a una scuola senza discriminare tra i soggetti che determinano questo valore? In assenza di movimento non è possibile. Se non c'è nella società un movimento riformatore le risorse per realizzare una più alta qualità del servizio devono essere trovate attraverso la discriminazione dei soggetti, dando più potere e più salario a chi da di più e meglio. È questo l'approdo dettato dalla necessità e dalla società che si presenta al 2000, le altre ipotesi sono fuori dai processi, sono destinate alla sconfitta, oppure se vincono lo fanno peggiorando lo stato della scuola.

Personalmente avrei preferito essere protagonista di un movimento di massa riformatore, perché in questo caso avremmo potuto determinare una riforma diversa e soprattutto un'organizzazione del lavoro orizzontale, che si sottopone si alla valutazione della qualità scolastica, ma che non ha bisogno di discriminare all'interno di se (vi ricordate le isole produttive della fine degli anni 70? lì il gruppo si misurava con la produttività in quanto gruppo e non come individui). Io ritengo giusto che si stabiliscano degli standard e che sulla base di questi una scuola venga valutata; gli studenti e i genitori devono sapere se la scuola a cui sono interessati è al di sopra o al di sotto degli standard nazionali (è ovvio che gli standard nazionali devono essere adattati alle condizioni socio ambientali dell'area dove la scuola si colloca). E gli operatori della scuola che raggiunge gli standard, o si colloca al di sopra, devono essere premiati in maniera crescente in rapporto ai risultati raggiunti. Con i valori dominanti attuali chi ha a cuore la qualità del servizio scolastico credo non abbia alternativa credibile e bene hanno fatto governo e sindacati a porre le basi in questo contratto. Diverso è il discorso sulle modalità e sui criteri valutativi, ancora di altra natura sono le preoccupazioni che mi assillano pensando al sistema Italia (raccomandazioni, sistemi di copertura tra i vari livelli di responsabilità, ecc..).