"I contenuti essenziali per la formazione di base"

e l'insegnamento della filosofia

di

ALBERTO GIOVANNI BIUSO

biusoal@mclink.it

 

Nella scuola proposta dai "saggi" di Berlinguer l'insegnamento della filosofia viene decisamente e profondamente ripensato. Verso quali esiti? A un primo approccio non sembra facile dirlo poiché i documenti dei "quarantaquattro" e la finale proposta della "commissione dei sei" necessitano di una lettura lenta, tenace, ripetuta per mostrare fino in fondo tutta la loro portata.

L'indicazione iniziale è comunque sufficientemente chiara e riguarda tutte e ciascuna delle discipline: "E' necessario operare un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari". Una affermazione come questa può significare cose molto diverse. Se si intende sfrondare la disciplina filosofica di alcuni contenuti inessenziali per i non specialisti, se si vuole concentrare lo studio e la riflessione su una serie di nuclei tematici e di nomi centrali per comprendere la vita e l'identità dell'Occidente, se ci si riferisce a un semplice suggerimento didattico...non solo siamo d'accordo ma è quello che di fatto molti docenti di filosofia vanno realizzando da anni. Alleggerire può però anche significare la cancellazione della profondità storica della filosofia. Chiediamoci fino a che punto sia alleggeribile in questo senso il sapere filosofico senza che esso cessi di rimanere tale per trasformarsi invece in...chiacchiera più o meno ideologica. Ora, è proprio in questa direzione che si intende andare. Al punto 5 dei "contenuti irrinunciabili", infatti, si legge che "l'insegnamento della filosofia - positiva specificità della scuola italiana - non può venire esteso indiscriminatamente nella sua forma attuale di ricostruzione storica" ma va sostituito con una serie di "questioni di senso e di valore (obblighi, scopi, diritti e doveri, valutazione delle condotte, questioni di giustizia) [...] a partire dalle situazioni e dai problemi dell'esperienza concreta (questioni di etica e bioetica, responsabilità, cittadinanza)"; alle quali si aggiunge un'altra serie di "questioni di verità (a partire da nozioni elementari di logica, teoria dell'argomentazione, epistemologia)".

Chi vive la didattica della filosofia nel concreto del quotidiano sa che una delle più pericolose tentazioni alle quali un buon insegnante deve resistere è di trasformare il fascino che la disciplina esercita sui ragazzi in uno strumento di manipolazione delle menti, di indottrinamento ideologico, di catechesi laica, spesso accompagnata dalle migliori intenzioni. La sottrazione dell'impianto storico significherà la trasformazione di questa tentazione in una consolidata metodologia. Solo lo studio della storia della filosofia offre la possibilità di cogliere la complessità, di registrare il lento chiarirsi delle domande, la varietà delle risposte, la ricchezza del dibattito, il mutare dei paradigmi, l'essenziale rapporto fra il pensiero, il mondo, la prassi. Disancorata da questo sfondo l' "ora di filosofia" rischia di diventare l'ennesima occasione di un dibattito privo di basi, di un presuntuoso discettare di "questioni di giustizia, di bioetica, di verità" da parte di chi non può -data l'età- avere né strumenti né equilibrio per una analisi che non sia impressionistica. La scuola italiana rischia di duplicare, estendere, moltiplicare l'ora di religione diventata ormai per lo più l'ora dei massimi sistemi e dell'indottrinamento moralistico (non della crescita etica!).

A quanto detto si potrebbe obiettare: 1) anche mantenendo la dimensione storica, la filosofia può sempre trasformarsi in dottrina; 2) con una metodologia per problemi si evita il rischio di scambiare la filosofia per una banale, relativistica e alla fine insensata "filastrocca di opinioni"; 3) la filosofia più viva e originale è sempre stata analisi della realtà e non di ciò che altri ne hanno pensato.

Osservazioni certamente motivate, alle quali cercherò di dare una risposta sintetica ma chiara. 1) Il rischio di fare dell'insegnamento della filosofia un personale strumento di propaganda ideologica c'è e ci sarà sempre; la proposta dei "saggi" di fatto rischia di legittimare questo atteggiamento o almeno ne estende di molto la praticabilità. 2) Una delle sfide più esaltanti per chi insegna filosofia sta nel far emergere al di là della polemica fra filosofi, dei rimandi, delle citazioni, delle negazioni, delle influenze e dei "superamenti"...far emergere la perennità delle domande e la fondamentale unitarietà della risposta al problema dell'essere e della verità che il sapere occidentale ha sviluppato, articolato, sempre di nuovo approfondito. L'insegnamento per problemi annulla questa sfida e la sostituisce con la comodità della chiacchiera appiattita sul presente. 3) Per poter sviluppare senza presunzione un pensiero proprio, per poter offrire un contributo fecondo alla domanda sul senso...oggi è più che mai necessaria l'umiltà intellettuale di chi si pone all'ascolto delle voci più significative che ci giungono dalla tradizione del pensiero. Nulla si inventa se non forse il vuoto effervescente della società dello spettacolo, dell'infinito intrattenimento mediatico.

Altra cosa sarebbe il coniugare metodo storico e analisi dei problemi; l'alternare nella didattica momenti di ricostruzione cronologica ad altri di approfondimento monografico; il lasciare che nei ragazzi le domande emergano spontanee quando arriva il momento, senza presumere di fornire a tutti e dall'alto il "manuale del piccolo filosofo". C'è un metodo per mescolare la storia del pensiero all'urgenza del presente e consiste nel fare filosofia prima di tutto e sistematicamente attraverso i testi dei filosofi. Dalle loro pagine, infatti, emerge chiarissima -per chi sappia leggere e aiuti i ragazzi a capire- la costanza dei problemi e l'attualità delle risposte. Il manuale come sfilza di nomi e di correnti è morto da tempo. Chi ha voluto, lo ha già sostituito con le opere dei filosofi, con ciò che davvero conta.

A qualcuno, forse, queste posizioni ricorderanno il recente dibattito fra "analitici e continentali". Perché, per la scuola italiana, dovremmo rinunciare al meglio della stratificazione pedagogica "continentale" per accogliere passivamente una metodologia "analitica" con la quale non abbiamo familiarità e che quindi produrrebbe solo superficialità, sorella gemella dell'ignoranza?

 

ALBERTO GIOVANNI BIUSO

biusoal@mclink.it