I PAESI EUROPEI E LA RIFORMA FISCALE ECOLOGICA

Marco Morosini

 

Uno degli argomenti più frequenti sull’attuazione della riforma fiscale ecologica è quello dell' "isolamento". Il concetto è giusto, dicono alcuni critici, ma sarebbe sbagliato applicarlo solo nel nostro Paese. Quindi: o una riforma europea o piuttosto nessuna riforma. Nel frattempo però, avendo dieci Stati europei già imboccato questa strada, gli isolati rischiano di diventare quei Paesi come la Germania o l'Italia, che inizieranno solo nel 1999 i primi passi verso la riforma fiscale ecologica. Gran Bretagna, Irlanda, Svizzera, Austria, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia: sono questi i Paesi che hanno già cominciato a tassare maggiormente l'energia per alleggerire il lavoro da tasse e oneri sociali. Uno dei primi governi a muoversi in questa direzione è stato quello conservatore britannico, quando nel 1993 decise un energico piano di aumento del costo della benzina e del gasolio: 5 % all'anno, netto dall'inflazione, senza limiti di tempo. Il governo Blair ha portato questo aumento al 6% reale annuo, il che farà dei carburanti britannici, già oggi i più cari d'Europa con quasi 2000 lire al litro, probabilmente i più cari del mondo nel 2000. Quella che sembra una manovre per aumentare il prelievo fiscale è invece un'intervento sulla struttura industriale. L'obiettivo infatti non è quello si "stangare" gli automobilisti ma quello di dare un impulso all'innovazione tecnologica verso i bassi consumi, un vantaggio che fra qualche anno potrebbe essere molto benefico per la competitività dei veicoli britannici. Sono i Paesi scandinavi quelli che hanno cominciato per primi con la fiscalità ecologica e che oggi dispongono di più esperienza. Nel 1991 fu la Svezia ad introdurre una tassa sulle emissioni di CO2, usando il ricavato per abbassare le aliquote fiscali sui redditi superiori, particolarmente gravose in quel Paese. La riforma più articolata è forse quella della Danimarca. Dopo aver introdotto già negli anni '70 una tassa generale sull'energia, il governo la aumentò nel 1985 e la completò nel 1992 con una tassa sulla CO2, dapprima solo per le abitazioni e poi, nel 1993, anche per le aziende. Nel 1994 queste imposte furono integrate in una riforma fiscale ecologica molto articolata, parte di una più generale riforma della fiscalità. Furono fissate cinque classi di aliquote, secondo l'uso dell'energia (riscaldamento, trasporti, processi industriali). 35 rami industriali ad alto consumo di energia furono esonerati. Lo stesso avvenne per molte piccole e medie imprese, a condizione che si sottomettano volontariamente a un Energy-Auditing, cioè a un esame e un corso dettagliati sulle potenzialità di risparmio energetico. Il ricavato della fiscalità energetica ritorna nei primi anni alle aziende sotto forma di sovvenzioni per modernizzazioni tecniche che riducano i consumi. Negli anni successivi gli introiti tornano alle aziende sotto forma di riduzione degli oneri sociali. In Olanda, per esempio, la riforma sancisce sgravi dalle tasse energetiche per le serre di orticultura, per i più grossi consumatori industriali e per le persone a basso reddito; queste ultime accedono a una quota esente annua di 800 kWh e di 800 metri cubi di gas. In sede internazionale anche l'OCSE, l'organizzazione dei Paesi industrializzati, caldeggia la riforma ecologica fiscale. In sede europea esiste per ora solo una "Proposta Monti" del marzo 1997, che suggerisce moderati aumenti delle tasse sull'energia e numerose esenzioni. E' ancora presto per accertare gli eventuali effetti ecologici e occupazionali delle riforme nei vari Paesi. Le tre nazioni che secondo l'ISM (Institut for Management Development) di Losanna guidano la classifica mondiale della maggiore concorrenzialità economica sono la Danimarca, la Norvegia e l'Olanda, tre pionieri della riforma ecologica fiscale, che vantano anche i tassi di disoccupazione più bassi d'Europa. Questi due primati non si devono certo solo alla riforma ecologica fiscale. Sembrano però dimostrare che quest'ultima è tuttaltro che un veleno per l'economia.

 

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