RIFKIN / TERZO SETTORE

 

IL TERZO SETTORE È IL PRIMO!

Francesco Fischer

 

 

"E' all'evoluzione del lavoro agricolo che dobbiamo guardare per capire cosa sta succedendo al lavoro industriale. Così come nell'agricoltura statunitense la forza-lavoro si è ridotta a meno del 2,5% del totale, ora anche la produzione industriale sta seguendo lo stesso destino. Grazie alla robotizzazione, fra non molto anche le industrie occuperanno forse non più del 2-3 % della forza-lavoro." Così ammoniva Jeremy Rifkin l'estate scorsa (5.6.1997) nell'auditorium della Cariplo di Milano, durante un convegno in cui, unico tra gli illustri relatori, aveva parlato senza leggere, camminando avanti e indietro davanti alla platea. Alle sue spalle, un lungo bassorilievo parzialmente ricoperto da uno schermo, da cui emergeva la figura di un contadino, appoggiato pensieroso alla sua vanga. "Da giovane - osservava Rifkin verso la fine della confere nza - pensavo che i lavori veramente importanti fossero quelli di ingegnere, architetto, economista. Oggi mi rendo conto che fuori dal mercato vi sono attività, svolte spesso da donne, che sono molto più complesse e importanti. Prendete per esempio una maestra d'asilo. Il suo compito richiede una responsabilità e una competenza superiori a quelle di molti manager. Richiede la capacità di affrontare e spiegare in modo semplice le grandi questioni della vita, quelle poste dai bambini e dai filosofi. Perchè gli insegnanti e i maestri sono pagati così poco?". Alle spalle di Rifkin, all'altra estremità del bassorilievo seminasconto, emergeva la figura di una donna che giocosamente leva al cielo un bambino. Tre belle figure emblematiche: i due bassorilievi sullo sfondo e un economista rinomato, consigliere di politici e di capitani d'industria, che parla di maestre d'asilo a una platea di esperti economici e scientifici. "L'equivoco del T erzo settore è nel suo nome - afferma Rifkin -. Perchè in realtà dovrebbe chiamarsi Primo settore. Nessuna società è mai riuscita a creare prima un mercato o uno Stato e poi una comunità. E' invece da una comunità forte e solidale che possono svilupparsi e funzionare Stato e mercato. La società moderna è come una sedia a tre gambe, di cui la più robusta deve essere quella dell'economia sociale e solidale, con una funzione di bilanciamento e di controllo su Stato e mercato. La nuova rivoluzione tecnologica, che in meno di trentanni ha permesso di aumentare la produzione dimezzando il volume di lavoro è una storia di successi, non di fallimenti. Settimana di lavoro più corta, più tempo libero, paghe e benefici maggiori segnarono il successo dell'era industriale. Dalla nuova era dell'informazione non dobbiamo esigere di meno. Oggi invece per sempre più famiglie manca il lav oro mentre in altre entrambi i genitori devono lavorare perchè spesso occorro due stipendi là dove prima ne bastava uno. Negli Stati Uniti abbiamo una polarizzazione crescente tra ricchi e poveri, con la più alta disparità sociale dal 1945. Abbiamo 40 milioni di poveri e una disoccupazione reale dell'11-12 % ben superiore a quella dicharata del 4-5%.

La rivoluzione tecnologica potrebbe essere una benedizione, perchè dovendo lavorare meno i genitori potrebbero avere più tempo per la famiglia. Occorre per questo un nuovo patto sociale dove il governo, gli imprenditori e i lavoratori concordino una più equa ripartizione dei frutti dell'enorme aumento della produttività, ponendosi l'obiettivo di una settimana lavorativa media di 30 ore senza diminuzione di salario entro il 2005. La Hewlett Packard di Grenoble, la Digital Equipment, la Volkswagen, la BMW e una decina di medie aziende di cui sono consulente hanno adottato con successo settimane lavorative medie di 29-32 ore, in certi casi anche senza riduzione di salario.

Nei paesi industriali l'economia di mercato e la rivoluzione tecnologica hanno avuto un successo così grande che la società ancora non se ne rende conto e rischia di trasformare questo successo in disastro. Più benessere con meno lavoro potrebbe addirittura essere il presupposto di un nuovo rinascimento, con più tempo per la cultura, le arti, la comunità, la famiglia, l'assistenza. Cosa faranno i milioni di persone che la rivoluzione tecnologica farà diventare inutili? Quella in atto è la prima rivoluzione tecnologica priva di una visione e di una missione. A cosa è servita se oggi alcuni lavorano troppo e altri niente? 20-25 ore di lavoro settimanale per lo Stato o il mercato e altre 20-25 per il Terzo settore potrebbero essere una buona proporzione perchè la rivoluzione tecnologica vada a benefico di tutti e della coesione sociale. Abbiamo una grande finestra di opportunità davanti a noi. Po ssiamo lasciare che la società si polarizzi e vada incontro a gravi disordini sociali oppure possiamo lasciare ai nostri figli una nuova era dello sviluppo dello sprito umano. Il futuro è nelle nostre mani."