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Ignazio Apolloni: la personalità, lo scrittore, un’esperienza di lettura.
Maria Arrigo
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Poeta, romanziere, favolista, Ignazio Apolloni è uno scrittore fecondo come attestano i suoi numerosi scritti; è stato largamente apprezzato dalla critica per la sua facondia, per l’esuberanza immaginativa e l’arguzia delle sua trovate.
Ma Apolloni è anche l’intellettuale che si è costruito sulla base di un impegno di azione e di riflessione che ha interessato non solo i modi di fare letteratura ma l’essenza stessa del letterato, la cui finalità non può mai evadere, in nome di una pretesa originalità o di un bello assoluto, il suo compito principale che è quello di incidere sul reale, pena il restare relegata nell’ambito dell’intrattenimento occasionale e dell’evasione insignificante e caduca. Apolloni insomma, non ha soltanto dato sfogo al suo estro creativo inciso, come lui ebbe a dire, nel suo DNA, ma ha sentito forte nell’arco della sua esistenza l’esigenza di un a letteratura aderente alla vita e che al tempo stesso avesse gli strumenti idonei per rappresentarla.
È per questo che, fin dalla prima giovinezza lo troviamo impegnato in una, per così dire, “militanza letteraria” concretizzatasi, prima, nell’adesione ai movimenti sessantottini, poi, nella fondazione, assieme ad altri “arrabbiati” (come li si suol chiamare) del movimento politico-letterario denominato ANTIGRUPPO, a cui si interessarono anche molti altri intellettuali, per esempio, Melo Freni, Sciascia, Danilo Dolci, il regista Zavattini, Ignazio Navarra… L’Antigruppo, come si evince dalla stessa denominazione, nasce in opposizione al GRUPPO NEOAVANGUARDISTA del ’63, formatosi proprio a Palermo, e di cui fecero parte tra gli altri Sanguineti, Giuliani, Guglielmi…
Neoavanguardismo che, pur con l’impegno di rinnovare la cultura attraverso una vera e propria rivoluzione letteraria, correva il rischio, in nome di una letteratura “aideologizzata” (senza ideologia), di allontanarsi dalla realtà storica e di chiudersi in un accademismo apparentemente indifferente alle problematiche sociali che la realtà storica del ’68 prospettava.
Apolloni e gli altri componenti dell’Antigruppo (Cane, Scammacca, Terminelli, Certa, Diecidue, Di Maio), cercarono invece, di alzare la voce di protesta contro i gruppi intellettuali dominanti a favore di una letteratura che raggiungesse la classe operaia, veicolandone le istanze. Armatisi con la parola, i componenti dell’Antigruppo scendevano in campo, distribuivano ciclostili, organizzavano recitals di poesia… costituivano un vero e proprio laboratorio combattivo ed itinerante. L’impegno letterario diventava politico e, quello del nostro autore, socialista.
Sedata la carica rivoluzionaria del ’68 col riformismo degli anni ’70, il movimento dell’Antigruppo disperse il suo immediato obiettivo e i suoi componenti si disgregarono “non sapendo diventare ‘poeti in movimento’ tutti insieme”. Apolloni però, non si arrese. Assecondando il suo naturale talento, fermo nella convinzione dell’importanza del lavoro di gruppo, fondò insieme a Terminelli un altro movimento, l’INTERGRUPPO, all’interno del quale la tensione verso il nuovo culminò nell’invenzione e teorizzazione – insieme a Vira Fabra e alla semiologa Rossana Apicella, a cui non a caso è dedicata l’ultima lettera de L’amour ne passe pas – di una nuova forma di comunicazione che va sotto il nome di singlossia: “sincronia, cioè, di due o più generi estetici codificati”, nella convinzione che la poesia interpreta il tempo quando si esprime nel linguaggio lessicale di quel tempo. Per esempio se l’immagine domina il nostro costume, anche la poesia deve essere fatta di immagine e di illustrazioni visive, con una forte carica fonica e con intensa espressività teatrale.
Si cominciarono a sperimentare così, all’interno dell’Intergruppo, forme letterarie nuove (come la favola per adulti): un nuovo modo di usare i generi letterali tradizionali. Il linguaggio, ancorato spesso ad una sorta di “pastiche” linguistico, “callida iunctura” (sapiente unione) di termini appartenenti a registri linguistici diversi e talvolta a lingue diverse, diventa vivace e fortemente cromatico.
Da allora in poi uno stile nuovo e personale caratterizzerà, senza soluzione di continuità, tutta la produzione di Apolloni: una scrittura apparentemente fluida e leggera ma intensamente espressiva; a primo acchito spontanea ed immediata ma, di fatto, erudita e retoricamente elaborata; una prosa espositiva ma con i toni della recitazione. In essa l’elemento fantastico è dominante ma come gioco che sottende significati diversi e come proiezione di una visione soggettiva, a sua volta oggettivata tramite l’ironia, espediente appropriato per distanziare dal sé la materia, demistificare il falso, catturare l’attenzione del lettore.
Nel quadro letterario dell’ultimo cinquantennio del Novecento Apolloni dunque, è stato un protagonista che ha trattato la linfa delle sue idee e del suo sentire dall’esperienza concreta di vita non meno che da un sapere letterario assimilato, rielaborato e rivisitato fino a pervenire ad una forma di comunicazione nuova ma innestata sulla cultura dell’oggi, di cui l’autore utilizza gli stessi modi espressivi, ma filtrati attraverso un’erudizione che sa connettere – attraverso anche la tecnica dell’allusione – l’antico col moderno, il bello col funzionale, il fantastico col reale.
Si aggiunga la singolare “curiositas” che connota la sua indole aperta al dialogo, pacata nell’approccio con l’altro, dinamica, ingorda di conoscenza, sagace nel sintetizzare le conoscenze esperite sui libri con quelle del proprio vissuto. In tutte le biografie che lo riguardano, si rimarcano la sua versatilità (laureato in legge, professore, ha insegnato letteratura italiana a Los Angeles; editore, scopritore di talenti, mecenate dell’arte…) e la sua vocazione al viaggio esplorativo; viaggi da cui il Nostro riporta sempre un dato che si aggiunge a quel sapido intingolo che propone con i suoi scritti ai lettori.
Noi abbiamo voluto conoscere e far conoscere agli allievi questo scrittore col metodo più scolastico che esista: un’esperienza tangibile del suo estro attraverso la lettura di questo libro, attorno a cui ruota questa sera la conversazione: L’amour ne passe pas, opera in forma epistolare, in cui sono presenti tutti i connotati linguistici, retorici, formali, generali di cui si è detto.
Non mi soffermo sulle problematiche, perché altri lo faranno dopo di me, tuttavia voglio comunicarvi una mia particolare esperienza di lettura, consumata con gli allievi e con qualche collega dell’Istituto. Ci è capitato, leggendo, di lasciarci avvincere dal gioco capzioso dell’esuberante fantasia con cui l’autore tratta le protagoniste di questo particolare dialogo d’amore. Figure femminili famose, entrate a far parte dell’immaginario collettivo, donne di cui l’autore coglie i caratteri che la letteratura, il mito, l’arte, la storia, il talento ma che, sor-pren-den-te-men-te, vengono ricreate, trasformate e talvolta smorfiate con un gioco di fantasia e di parola atto, ora a punzecchiarle con frizzante ironia, ora encomiarle, ora invece, ad imbrigliarle in particolari apparentemente ingombranti che contrastano con una dinamica espositiva leggera e stravagante, ricca di effetti sonori e volute espressive, quasi sempre annegate nella confidenzialità dialogica propria dello stile epistolare.
Tutto un magma stilistico complesso, eppure chiaro e decifrabile. Ma quale il senso? Per il senso la rilettura non basta. Tu mediti, confronti il personaggio originale con quello ricreato, analizzi le sequenze argomentative, contestualizzi, “cerchi l’anello mancante” che ti faccia scoprire un significato tra tutti i significanti. Poi… all’improvviso, intuisci, verifichi, ricavi il tuo senso, fai la tua interpretazione e allora comprendi che l’autore sornionamente ha reso “te” come interlocutore attivo se non protagonista del suo scritto.
Un apparente non-sense per farti addentrare e cogliere un senso più vero e profondo.
luglio 2012
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