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La critica militante di Leonardo Sinisgalli
Marino Faggella
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A scorrere con attenzione i molteplici saggi, le recensioni e gli articoli pubblicati da Sinisgalli su giornali e riviste nell'arco di un cinquantennio, dal lontano Quaderno di Geometria (35) fino agli ultimi interventi quasi in prossimità della morte (1) si potrebbe essere indotti a ritenere che la sua attività di critico sia stata assoluta o addirittura dominante. Una rapida ed essenziale elencazione dei titoli dei suoi interventi (Soldati, 1934; Quaderno di Geometria, 1935; Horror vacui; 1944; Furor Mathematicus, 1950; L'età della Luna, 1962; I martedì colorati, 1967; Un disegno di Scipione ed altri racconti, 1975; Passione del disegno, 1978) ci conferma che Sinisgalli fece il suo lavoro di critico proprio nell'arco vitale che vide le più consistenti manifestazioni dell'intellettuale e dell'artista, al margine delle quali la riflessione critica si svolse e mai separata da esse.
In primo luogo occorre dire che a Sinisgalli è certamente conveniente la qualifica gramsciana di critico militante(2) , mentre al contrario non gli si addice l'altra specialistica del critico di professione per diverse ragioni, come cercheremo di dimostrare nello svolgimento del discorso.
Innanzitutto bisogna sottolineare che Sinisgalli si avvicinò alla critica, percorrendone poi il difficile itinerario, seguendo la traccia ermetica. Infatti lo scrittore lucano, dopo la parentesi scolastica e l'iniziale " bagno " crepuscolare, si era avvicinato agli ermetici, seguendone la lezione tanto nella Milano degli anni trenta quanto a Roma - i due poli della sua geografia intellettuale -, e ricevendone una stimolante e sconvolgente lezione, tanto più evidente in un giovane come lui che da non molto tempo si era sradicato da un ambiente provinciale. Gli ermetici, anche per influenza dei simbolisti francesi e di Breton, si può dire che avessero due anime, quella spirituale - in essi più platonica che irrazionale e dionisiaca - e quella cerebrale - la chiarezza razionale, prodotto della lucidità dell'intelletto - che si sforzavano di riconoscere tanto nel poeta quanto nel critico, i quali percorrendo insieme entrambe le strade ed operando " un eterno confronto della nostra anima con il senso totale della verità " (Bo), dovevano tendere alla più completa conoscenza dell'uomo. Era inevitabile a questo punto che la critica diventasse "un doppio speculare della letteratura" (3) e che si istituisse una " stretta collaborazione tra poeta e critico, cui competeva, con diversità di linguaggio e reciproca opera di illuminazione l'unico compito di ricerca dell'autenticità e dell'assoluto" (ivi).Tutto ciò comportava la nascita di una nuova figura, quella del critico-poeta o del critico-artista, che, rappresentando un'alternativa rispetto ad essa, mandava in crisi la vecchia critica d'impostazione crociana che aveva insistito anche per ragioni filosofiche su categorie di distinzione: da una parte l'arte e chi la fa, dall'altra chi la capisce e la giudica.
Quale fosse lo stato d'animo del giovane," paysan" da poco inurbato in tali ambienti, - in quegli anni Roma e Milano erano degli autentici " carrefours" nei quali si facevano sentire gli effetti rivoluzionari dell'avanguardia - ce lo riferisce lui stesso più tardi in alcune delle sue pagine critiche dove con entusiasmo riconosce fondamentali meriti ai movimenti di rottura del nostro secolo: "È merito senza dubbio delle avanguardie, Futurismo, Cubismo, Dadaismo aver portato in prima linea, a contatto di gomiti, poeti e pittori. E' merito di Apollinaire, di Marinetti, di Reverdey, di Jacob, di Majakowsky, di Breton, di Aregon, di Eluard, di Tzarà avere saltato il fosso"(4) . Quanto questa lezione delle grandi avanguardie gli era stata salutare Sinisgalli col tempo lo avrebbe dimostrato prima di tutto nello svolgimento della sua straordinaria attività artistica, spesso all'insegna del nuovo e svolta quasi sempre "a rebour". Egli aveva fatto "appena in tempo - come dice - a beneficiare di un'arte bohème", gli era toccata la fortuna di cogliere "il frutto dell'arte quand'era ancora sui rami", dividendo la sua vita con quella degli artisti e frequentando i loro studi. Questa esistenza libera e un po' "refoulèe" aveva contribuito a far cadere tutte le distanze, come nella vita così nell'arte, sicché non solo nella letteratura si erano infranti gli ultimi idoli con una battaglia fino in fondo contro le regole e i generi letterari, ma generalmente nel campo delle arti si assisteva addirittura alla caduta di ogni confine e di ogni distinzione. Quella sinestesia che Baudelaire aveva suggerito per la lirica ora si estendeva a tutte le arti che si ponevano in necessaria comunicazione, abolendo le distinzioni ed aprendo agli artisti mille e più strade nuove. Un'arte senza statuto, libera dagli schemi e sempre nuova avrebbe rischiato la dispersione, la distruzione di sè, se non fosse intervenuta la riflessione.
Questo spiega e giustifica la presenza della nuova critica, il cui compito sarebbe stato proprio quello di chiarire, di spiegare non solo agli addetti del mestiere - artisti e poeti - ma anche di rendere più comprensibili ai lettori i prodotti della nuova arte. Crollata ogni distinzione fra le arti, le quali ora si ponevano in necessaria comunicazione, spettava proprio ai critici riannodarne i fili. Un'arte nuova comportava una critica nuova la cui prima voce non poteva non essere polemica contro la più recente tradizione culturale: "La nostra tradizione era scoraggiante, Carducci, Pascoli e D'Annunzio, lo stesso Gozzano, avevano accettato la gerarchia ufficiale e mondana. Anche i poeti della Voce e della Ronda si contentarono di distribuire qualche lode agli amici al caffè. Mi ricordo che dopo anni di attesa, Cardarelli fece cadere dall'alto una sola parola di elogio per Carrà " (ivi).
Sinisgalli in particolar modo se la prendeva con i critici di professione che proprio per essere "professori" e "filosofi" avevano dimostrato di avere la vista corta di fronte all' "art nouveau"." La nostra cultura visiva - egli dice - era stata umiliata dagli idealisti; Croce e Gentile erano notoriamente refrattari alla pittura. Quanto alla scultura e all'architettura essi non andavano oltre la statua e il monumento" (ivi). Nei suoi scritti dimostrava di avversarli in quanto essi, affidandosi ai sistemi e alle categorie filosofiche, avevano preteso di far valere le regole esatte nella valutazione dell'arte. Già il suo Leopardi aveva dato nello Zibaldone una definizione dell'arte e del critico che egli avrebbe sottoscritto: "Nulla di poetico potranno mai scoprire la pura e semplice ragione e la matematica. Perché tutto ciò ch'è poetico si sente piuttosto che si conosca e s'intenda, o vogliamo anzi dire, sentendolo si conosce e s'intende, nè altrimenti può essere conosciuto, scoperto ed inteso, che col sentirlo".
Visto che l'arte e la poesia non sono scienze esatte a che gioverebbe ricercare la logica nei poeti: "I critici chiedono alla poesia concetti e sistemi. Leggo acute analisi, mi informo di tutte le operazioni chirurgiche, alcune assai delicate che essi conducono con la benda davanti alla bocca per arrivare al midollo spinale del povero poeta. Gli attribuiscono capacità nervose, capacità intellettuali, capacità dialettiche. Cercano la logica nei poeti" (5). E per convincere i critici delle loro operazioni sballate adduceva proprio la sua personale esperienza di poeta che per scrivere versi era stato costretto a disprezzare la sua saggezza, ad uccidere la geometria: "La filosofia dei poeti è una così povera cosa al confronto della loro poesia! La loro scienza non giova alla poesia quanto giova la loro innocenza. Il mio sforzo per scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza"(ivi). Se è vero che l'arte e la poesia sottoposte a nessuno statuto sfuggono alle leggi esatte tanto vale allora affidare il giudizio non tanto ai critici di professione quanto piuttosto ai poeti (o a critici-poeti come Valery), in quanto " l'occhio del poeta è più veloce dell'occhio del critico ", per cui molte volte " le scelte decisive nel campo dell'arte contemporanea erano state fatte dalla poesia non dalla critica"(6) . Sarebbe stato sufficiente semplicemente volgere lo sguardo oltre la punta del proprio naso per capire che "Baudelaire, Mallarmé, Laforgue avevano anticipato col loro fiuto il giudizio della storia"(ivi). Proprio per questo la lezione dei poeti è una indicazione costante nel lavoro critico di Sinisgalli, in particolare quella di Baudelaire, alla quale egli frequentemente si richiama(7) ; in quanto lo scrittore francese sebbene avesse pensato "di battere vie nuove con la poetica della crudeltà e della carità"(8) aveva finito -secondo lui- per contare imitatori più " tra gli scrittori in prosa, gli autori di elzeviri, di capricci, di capitoli, di divagazioni, di corsivi, di faville, di mosconi che non tra i poeti devoti alle righe mozze"(ivi).
Egli era convinto che proprio Baudelaire aveva offerto il modello della critica migliore "quella che è divertente e poetica; non quella algebrica che, col pretesto di spiegare ogni cosa, non ha nè odio nè amore, e deliberatamente si spoglia di qualsiasi traccia di passione". Accettare questo nuovo modello significava anche modificare totalmente il mestiere del critico, guardare all'arte da una diversa prospettiva, accostarsi ad essa più da dilettanti che da specialisti, osservarla non dall'esterno con l'occhio del filosofo ma dall'interno; voleva dire provare le stesse passioni, gli stessi amori, gli stessi odi, le medesime febbri che avevano mosso gli artisti a creare. Fare critica voleva dire anche seguire passo passo il cammino dell'arte registrandone le ascese e gli slanci, ma anche le cadute e quelle crisi che egli stesso non aveva mancato di sperimentare, "Non sappiamo fare altro, purtroppo, che documentare le nostre crisi di conoscenza e mi è difficile confessare fino a che punto possono chiamarsi crisi del cuore. Noi abbiamo distrutto i soli beni della nostra vita, abbiamo disperso i pochi tesori...Vorrei mettervi sotto gli occhi il grafico di una febbre periodica, una malattia di cui furono colpiti alcuni figli del mio secolo(9)
Inoltre, proprio a causa della vastità dei suoi interessi, della sua "Pluridimensionalità", Sinisgalli appariva particolarmente esposto a quella malattia "La mia anima offriva un terreno vantaggioso alla coltivazione di quel microbo: l'incontro con la scienza, lo splendore delle nostre città per la mia fantasia di ragazzo di campagna, l'amore per i più umili mestieri ...(10) questo e la mia curiosità valsero a fare di me una vittima e un guerriero di quella battaglia" (ivi). Sinisgalli, pertanto, fu uomo del suo tempo e, come tale, si trovò impegnato a dare una risposta agli assillanti problemi della sua generazione. Ma, diversamente dai suoi amici artisti che generalmente seguirono una sola strada, egli si trovò, per sua scelta e per carattere, a percorrerne molte con successo e senza temere la dispersione. ("Ecco, allora, la considerazione dell'esprit de tecnique, dell'organizzazione industriale, dell'invenzione pubblicitaria, l'occhio attento a guardare, come i raggi X, attraverso una porta chiusa o a spiare il cuore che batte in un corpo vivente, a penetrare la struttura della materia, a ripetere l'equazione della poesia sembrandogli di cambiare, come Einstein, le sorti del mondo nel momento in cui viene rivelata la chiave per portare avanti, oltre la solitudine propria dei pionieri, la grande avventura umana, tra Bohr e Whecler, Fermi e Oppenheimer, Ungaretti, e Campana, Rimbaud e Valery. Gli scienziati e i poeti offrono risposte e Sinisgalli moltiplica convinzioni e domande. Quale sarà il capolavoro del XX secolo? Esiste una graduatoria di dignità tra apparenza e sostanza? L'opera moderna è eteroclita?") (11) .
Ciò spiega perché accanto alla molteplicità delle sue esperienze aggiunse anche il mestiere di critico. Tra i lettori di Sinisgalli vi è chi ha sostenuto in modo malevolo che egli si sia accostato alla critica per aggiungere un'ulteriore possibilità di guadagno a quelle che già gli derivavano dalle altre sue qualifiche di ingegnere-poeta e di pubblicitario(12) . Pur senza negare che Sinisgalli abbia tratto degli utili anche da questa attività, bisogna ricercare altre più convincenti spiegazioni, diverse da quelle puramente economiche, e addurre più significative ed importanti ragioni. Prima di tutto è necessario far riferimento alla sua particolare concezione della vita, che poggiava sulla convinzione che il mondo fosse dominato da un'inesauribile ed immodificabile legge di distruzione, che non tanto la scienza quanto piuttosto l'arte faceva di tutto per arginare: l'unico modo per lottare contro la morte; "quasi uno scongiuro contro la distruzione dell'entropia" (Contini) e della condanna alla fine. Questo spiega perché egli, apprendendo dagli ermetici la difficile arte di far versi, abbia imboccato la strada della poesia, l'arte che con le sue forme veniva incontro al suo desiderio di afferrare la vita. Ma nella complessa Weltanschauung sinisgalliana la vita stessa si configura come un' inquieta ricerca, nella quale "c'è un dato esistenziale, una domanda primaria -<>-; c'è un dato culturale la necessità di chiarire teoricamente”(13) il ruolo dell'arte nel mondo moderno. Pertanto tra la sfera dell'arte che ci aiuta a vivere e quella della critica che fa di tutto per conoscerla è necessario che vi sia un rapporto logico e coerente(14) .
Per questa ragione fondamentale Sinisgalli apprese anche il difficile mestiere del critico, nel quale inoltre lo aiutavano le sue diverse qualità contribuendo a generare la non comune figura del critico-artista e del critico-scrittore. In questo modo egli veniva a completare, arricchendola, la qualifica del critico-militante che essendo l'immagine speculare dell'artista, quasi il suo doppio, finiva col negare la tradizionale figura ed i medoti del critico professionale ed accademico. Ciò è chiaro ad una prima lettura dei suoi numerosi interventi critici che ci permettono di acquisire questo dato fondamentale: come non è facile nella cosiddetta "pluridimensionalità" di Sinisgalli separare le sue molteplici esperienze, allo stesso modo non è sempre possibile distinguere nell'attività del critico i singoli interessi (letteratura, disegno, pittura, scultura, architettura, pubblicità, arti applicate), in quanto frequenti sono gli sconfinamenti e le mescolanze, sia per influenza del Surrealismo(15) che per l'esempio di Baudelaire (Sinisgalli molte volte applica la sinestesia al discorso critico) sia per l'applicazione del criterio analogico caro a Valery, che lo aveva abituato ad istituire parentele ed accostamenti tra le arti e le scienze. Tutto ciò molte volte ha portato Sinisgalli a ricercare e ad istituire, al di là delle distinzioni, particolari e strane identità tra gli artisti, gli scienziati e i poeti, come accade per esempio nel saggio Modernità di Leopardi: "Il caso ha voluto che io rileggessi, contemporaneamente per motivi diversi, tra luglio e agosto, gli scritti di Leopardi, le pagine di prosa e poesie di Poe e i taccuini di Leonardo da Vinci.
Ma niente avviene per puro caso, hanno detto poeti e matematici. Questi ultimi, i matematici sono stati più temerari quando hanno affermato che "qualsiasi insieme di punti il più disordinato, può essere unito da una sola linea"(16) . Tale importante scritto critico, - da noi già ricordato nei cap... per dimostrare l'influenza del modello leopardiano nell'opera poetica sinisgalliana - presentando tutti i pregi e difetti della sua critica, può fornirci "ad abundantiam "
materia per esprimere un giudizio su Sinisgalli lettore e interprete di poesia. Tutto il discorso, come ha ben notato il Dell'Aquila(17) , pieno com'era di nuove e strane formule (i Canti vi venivano definiti " libro funereo") o di evidenti paradossi ( che dire di quei tre uccelli emblematici, il passero, il corvo, e il nibbio chiamati a simboleggiare le diverse e comuni qualifiche di Leopardi, Poe e Leonardo ), "anomali rispetto alle cose che si erano sentite dire in quel convegno" (in evidente contrasto con il tono e gli argomenti sostenuti dagli altri critici, impegnati variamente a sottolineare il Titanismo, la protesta eroica o il tema consumato del particolare idillismo del poeta) era stato accolto dagli "esterrefatti ascoltatori" non senza ironia e, nei migliori dei casi, con sufficienza. Forse perché, come sostiene lo stesso Dell'Aquila, "l'accademia non ritiene lecito che altri compia le operazioni ed i riti che crede le siano riservati... Di qui quei sorrisi e quella definizione di stravagante divertissement" (ivi).
Ma quei paradossi, quelle strane parentele tra personaggi così lontani, quelle apparenti ingenuità che a tutto prima potevano sembrare dei giochetti da matematico erano in verità piene di suggestione e nascondevano un preciso disegno critico: individuare un rapporto strettissimo tra l' esperienza del poeta e quello del critico, specialmente dove egli si soffermava a parlare della particolare arte di Leopardi, a suo modo di vedere, per nulla eroica, come avevano sostenuto i critici più illustri, ma "diseroica" ("Il Leopardi che ci preme di più sembra un poeta minore, che scrive quasi di getto endecasillabi scuciti settenari stenti, e che si appoggia a umili particelle, a brevi avverbi e pronomi"(18) ). In effetti il Leopardi che lo interessava non era quello eroico, ma quello "familiare e peregrino, il Leopardi al limite tra il sublime e il banale" (ivi), che "nelle sue pagine più intime" aveva trovato quella che egli definiva "La misura giusta, una forma che sembra inestirpabile dal corpo della poesia". Quale lo scopo di questa "diseroicizzazione" del poeta e della sua arte? Se ne è fornita una spiegazione quando, indicando nel poeta di Recanati una della fonti fondamentali della poesia sinisgalliana e facendo riferimento allo stesso saggio, abbiamo sostenuto "Non si fa fatica ad indovinare che il critico questa volta pensi anche al poeta, e alla sua particolare arte"(19) per sottolineare che nella complessa personalità di Sinisgalli l' iter dell' artista si identifica con quello del critico, in quanto egli è impegnato nelle due direzioni: del creare e del ricercare il significato dell'arte. Quale fosse il valore dell'arte e che cosa fosse la poesia per Sinisgalli a questa data (1972) è possibile desumerlo dai suoi scritti di poetica: in particolare "Intorno alla figura del poet ",(da Quadernetto alla polvere) dove egli confessa che , pur essendo partito da una concezione eroica, fosse approdato in seguito ad una sua progressiva squalificazione fino a ridurla da oggetto divino - l'opera eccezionale dei "figli del sole"- quasi ad un prodotto artigianale.
A questo punto egli è convinto che la poesia non nasce nè dall'irrazionalismo puro (furor) nè dalle scienze esatte in assoluto (matematiche), le quali se nella fase tecnica possono aiutare l'artista non sono però totalmente in grado di sostituirsi interamente a lui; esse sono capaci solo di invenzioni e produzioni a catena che inizialmente possono sorprendere, ma che alla fine deludono perché "l'oggetto artistico non sopporta interventi chirurgici, non è una tenia, non è neppure una macchina." Per questo egli crede fermamente "a una componente insopprimibile del lavoro dell'uomo - arte o mestiere" che si compie con precisione artigianale: " E' chiaro che io preferisco il mestiere del fabbro a quello del meccanico. Il fabbro non potrà mai costruire un cuscinetto a sfere... ma certi oggetti, come il ferro di cavallo, le macchine non li sapranno mai fare... una chiave è senza dubbio più bella di una vite. Una chiave non esige una grande precisione: la bellezza e l'ingegnosità della sua forma suppliscono la deficienza della perfezione"(20) . Ciò non vale solo per la poesia, ma anche per le altre forme d'arte che il critico prende a considerare, per cui anche il Cubismo, ad esempio, in qualche modo "rimanda al disegno tecnico, quello dei falegnami, dei fabbri, dei lattonieri".
Più che ricordare le pagine di Sinisgalli nelle quali compaiono giudizi abbastanza scontati e condivisi dal resto della critica, come quelle sugli amati crepuscolari ( " I poeti Crepuscolari proprio al culmine della Belle Epoque ( 1906-1907) scoprono una realtà mediocre, antieloquente, monache, meretrici, barboni. Ricordate Corazzini?... Martini, Govoni, Palazzeschi, Moretti, trascurano la Roma delle chiese e delle fontane e battono le stradine dei cimiteri e dei conventi... si commuovono ai singhiozzi degli organi di Barberia. Ebbri e patetici" (21), è il caso di sottolineare i riferimenti precisi a proposito dei movimenti artistici sui quali Leonardo imbastiste il suo originale discorso critico che talvolta non rifugge dalla stroncatura, come fa con il Liberty ("è l'effetto di una idiosincrasia, lo spaventano la dolcezza e il marciume che si celano dietro i pensieri. Non vuole pensare, non gli va di soffrire. È la rivincita della superficialità, spesso anche della grazia sulla fatica... L'Europa liberty è l'immagine di una lunga agonia; è l'Europa che non si rassegna... alla perdita degli eroi e dei superuomini"(22) ). In altri casi, come accade per il Barocco, prima si forza di darne una personale definizione ("Il Barocco è un'irritazione della pazienza classica, un dubbio sull'olimpicità, una saetta nell'empireo della stasi. Estasi allora, febbre e paradosso dell'infinitesimo, dello sfuggente, dell'indivisibile, matematica dei resti" (23) e poi apparenta all'arte del suo tempo che adotta gli stessi mezzi ed opera le medesime scomposizioni ("Arp, Mirò, Fontana, che genealogia ! Rompere la compattezza, trovare una falla nel lingotto, un fossile dentro il macigno... Ridurre l'universo a una congrega di atomi, la linea a un insieme di punti. Misurare l'infinito ma esaltare una realtà effimera. Sognare una memoria ininterrotta nel cuore dei popoli e nella stessa natura -ivi-).
A Sinisgalli critico non interessa tanto l'arte codificata, anzi egli è sempre alla ricerca delle novità, per questo è affascinato dagli "ismi" contemporanei di mostrando particolare interesse per i movimenti di avanguardia e per i giovani artisti che hanno avuto qualcosa di nuovo da dire senza farsi scrupolo di abbattere le vecchie barriere per aprire all'arte nuovi cammini. ("Kandinsky ha la calma, il distacco, anche la semplicità dei grandi giureconsulti. Io conosco questi uomini che fino all'ultimo come un'oliera sgocciolano la loro sapienza, finché rimangono con le teste vuote. Si dice che sono i fari del nostro cammino"(24) ). Nella ricerca e nella definizione della personalità degli artisti egli usa gli stessi procedimenti adottati anche per i periodi: cerca di penetrare all'interno della loro arte, si propone di giungere quasi al cuore di essa per mettere a nudo le loro scoperte. Questa volta ha un compito abbastanza agevolato: egli non ha bisogno di essere invitato dai sui amici pittori e scultori, possiede la chiave dei lori studi, in quanto è una abituale frequentatore dei loro ateliers nei quali è in grado anche di muoversi con sicurezza. Ma il critico procede inizialmente con cautela, non affronta immediatamente il discorso, non entra subito in medias res , nè arriva rapidamente alle conclusioni. Anzi spesso parte da lontano per utilizzare tutti i dati delle sue conoscenze, le sue ripetute letture, poi accumula i suoi paradossi e le sue sconcertanti scoperte e le getta innanzi al lettore per suscitare meraviglia e stupore. Perché - come dice nel Furor - "le idee nascono come le spighe una accanto all'altra, nè troppo distanti, nè troppo vicine, ed è estremamente improbabile che una spiga spunti se la zolla non è tutta rimossa"(25) .
Il critico non si stanca mai di formulare ipotesi, perché è sicuro che almeno una di esse dovrà coincidere con la verità. In genere il discorso sinisgalliano procede solo apparentemente a caso e sembra portare a passeggio il lettore mettendogli innanzi una grande quantità di dati che inizialmente possono sconcertarlo. Ma quel ragionamento che ad una prima lettura può sembrare astruso ed ermetico e talvolta si ingorga, ad un certo punto, a causa di straordinarie intuizioni del critico all'improvviso si apre con schiarite straordinarie risolvendosi in luminosi giudizi e formule sentenziose: La poesia di Turcato; Kandinsky l'esploratore; La plasticità di Bruni Le sistole le diastole, il respiro di Scialoja. Sinisgalli non nasconde le difficoltà del lavoro del critico che molte volte va alla ricerca di un cuore introvabile, in quanto l'arte dei suoi tempi, proprio come la vita è destinata a mutare sempre ("Spesso il critico è quel piccolo animale che strisciando sulla sfera non saprà mai giungere al centro perché non nè conosce la formula (26)"); ma sa anche che non esiste critica dopo Kant che non venga riassunta nel giudizio. Per questo, come sostiene G. Appella, "Sinisgalli non solo di ogni artista ci dà un ritratto fatto di sottile piacere, curiosità, giusto dell'inedito, la scontrosità di Consegra, l'arguzia di Maccari, il garbo di Leoncillo..."(27) ma ci pone dinnanzi agli occhi "l'atmosfera degli anni d'oro: La Milano di Fontana, la Roma di Scipione, il fervore del design, le pittoresche polemiche. Il mondo è il continuo movimento e l'arte ne è la sfera più acuta e più ricca di notizie" (ivi).
Non di rado Sinisgalli dopo aver sorpreso gli artisti in pose strane ci comunica le sue scoperte inedite "Klee non era affatto un uomo malinconico nè un taciturno, così come non lo erano Leopardi o Mallarmè e neppure Leonardo, che furono spesso ilari, ironici. Klee si tappava in camera o nello studio e suonava e cantava, si cuoceva le patate(28) ”. Talvolta il critico utilizzando il procedimento analogico pone due figure a confronto perché, illuminandosi l'una con l'altra, facciano meglio risaltare le loro individualità, "Mafai contemplativo, apatico, letargico ha una fisiologia più segreta. L'eros di Scipione è così distante dalla voluttà di Mafai. Il sogno di Mafai porta alla distruzione dell'oggetto. Le sue forme, i suoi corpi concavi, risultano come scritti nell'aria... L'iter di Scipione è breve e scoperto museo, surrealismo, secentismo, il tutto drogato di enfasi letteraria".
L'esplorazione delle prose sinisgalliane, anche di quelle liriche, ci fornisce una grande quantità di citazioni critiche, formulate in circostanze ed occasioni diverse: ma è proprio questo carattere di rapsodica occasionalità che molte volte non agevola una loro ordinata disposizione. Tuttavia, pur nella loro disparità (ognuna è diversa dall'altra), hanno alcuni fondamentali dati comuni: prima di tutto esse non hanno mai il carattere dell'astrattezza, ma sono nate sempre da concrete occasioni che in qualche modo hanno coinvolto lo stesso scrittore. Questa tendenza alla concretezza è dimostrato dal fatto che, anche quando mancano le occasioni storiche del contatto fra il critico e gli artisti, (le mostre e gli incontri in galleria) Sinisgalli, per dare maggiore validità al suo discorso critico, arriva a fingere situazioni concrete inventando incontri, interviste e lettere. La sua preoccupazione è quella di avere sempre dinnanzi a sè un interlocutore, arrivando al punto di crearselo anche quando non c'è. Quanto al destinatario della critica sinisgalliana, occorre dire che esso non è di necessità un addetto ai lavori; anzi il suo discorso senza retorica, sempre nuovo e pieno di trovate dimostra che egli si rivolge in genere ad un lettore qualsiasi.
Sinisgalli sa bene che il ruolo del critico, il suo compito non è solo quello di arrivare a capire l'arte per sè, ma anche quello di portarla alla comprensione di un più vasto pubblico di fruitori. In ciò consiste effettivamente l'originalità e la novità della critica sinisgalliana che, per essere fedele a questo modello, non è mai astrusa, chiusa, arroccata in sè stessa, ma al contrario appare sempre disponibile e pronta a comunicarsi ad un pubblico che non è proprio ed esclusivamente quello degli specialisti. Questo dimostra che anche nella critica, come nella poesia, Sinisgalli, pur essendo partito da esperienze ed indicazioni ermetiche, sia andato comunque al di là di esse arrivando a conseguire risultati personali e conclusioni originali. Per gli ermetici non solo il poeta ("Nessuno scriverebbe versi - diceva Montale - se il problema della poesia fosse quello di farsi capire"), ma anche il critico non ha il dovere di essere comunicabile, non è tenuto a trasmettere a tutti i suoi risultati e i suoi dati che non sempre vengono resi con un linguaggio aperto e chiaro. Al contrario Sinisgalli come ha giustamente notato l'Appella proprio perché si propone di scrivere per "lettori fuggitivi ai quali vuole fare arrivare, sia pure di sfuggita e a brandelli un'immagine plausibile del poeta e del personaggio", aspira a una critica "raccontata", che "sposa la fantasia fino a far concorrenza alla novella"(29) .
Ma come rendere accessibili e comunicabili i concetti complessi dell'arte? Sinisgalli ha dato una soluzione a questo problema di stile allestendo una prosa nella quale si sforza di raggiungere una "medietas" espressiva tra una scrittura professorale e un linguaggio di tipo giornalistico. Ciò gli consente di rivolgersi ad un lettore medio col quale si propone di comunicare o finge di discutere per chiamarlo a partecipare alla sua ricerca e per condividere con lui i risultati finaIi. Ponendosi tali obiettivi il suo discorso dovrà essere breve di necessità. Proprio per questo Sinisgalli evita il saggio disteso o il libro e sceglie anche per modestia il saggio breve o l'articolo giornalistico.
Il critico proprio per il carattere dell'occasionalità del discorso giornalistico, che talvolta dà l'impressione della casualità, si sente più a suo agio scrivendo elzeviri, perché l'articolo, a causa del suo spazio ristretto gli fornisce inoltre i giusti argini e l'obbliga, pur con la sua provvisorietà, a giungere in breve alla fine, e a trarre rapidamente le conclusioni. Ciò gli fornisce il privilegio o l'illusione, dopo aver percorso uno spazio infinito, di essere arrivato al finito, al limite, al punto, di aver finalmente toccato il cuore dell'arte e il centro dell'ispirazione dell'artista.
"Ego tamquam circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem non sic" (Vita Nuova XII).
NOTE
1) Si può ritenere, come sostiene G. Borri, che «l'ultimo atto creativo di L.Sinisgalli sia stato il marchio e la testata della galleria d'arte " Il Millennio" nata a Roma (1979) in via Borgognona». Già pensava di dare maggior respiro alla sua attività di gallerista affiancando ad essa quella del critico che avrebbe svolto sulle pagine di una nuova rivista d'arte già annunciata - Il Millennio, bollettino periodico di lettere, arti e aneddotica - quando improvvisa lo colse la morte nella notte del 31 gennaio 1981 troncando quasi sul nascere questo suo ultimo progetto.
2) La cosiddetta "critica militante" ha svolto la sua attività soprattutto nel clima dell'avanguardia attraverso i canali della saggistica e del giornalismo con un ruolo insostituibile di mediazione, di controllo, di divulgazione e di stimolo, spesso anche di contestazione all'interno del dibattito artistico letterario a cominciare dagli anni '30. Non sempre tale attività ha trovato consensi, come dimostra una pagina di M. Santoro:" In ogni caso la ricca e varia presenza della critica militante - anche quando risulta disordinata e rissosa - ha avuto nella società contemporanea una funzione estremamente positiva, concorrendo, nell'insieme [----] a sollecitare un continuo dinamico sforzo di aggiornamento e di verifica, a stimolare uno spregiudicato esame di coscienza, a proporre, contro schemi convenzionali e immobili, una problematica, quanto feconda, ricerca del ruolo e della funzione dello scrittore nel mondo moderno, a riconoscere e saggiare le vie maestre sulle quali il magistero letterario ( per noi generalmente artistico ) potrà trovare le sue ragioni più autentiche e vitali e le risposte più profonde alle attese e agli interrogativi del nostro tempo" ( cfr. M.Santoro, " La critica militante", in Letteratura Italiana del 900, Firenze, 1981, p. 409 ).
3) E. Gioanola: L'Ermetismo, in Storia letteraria del '900 in Italia, 1977, p. 209.
4) L. Sinisgalli, Premessa a I martedì colorati, Genova, 1967, pp.11-12.
5) L. Sinisgalli, L'Immobilità dello scriba, in Età della Luna, cit. p.136.
6) L. Sinisgalli, Premessa a I martedì colorati, op. cit.
7) Così G. Appella " Baudelaire ricorre di continuo nel lavoro di Sinsgalli e l'elzeviro, il capriccio, la divagazione, il corsivo, la favilla, la confessione, l'occhio e il fiuto trovano in Baudelaire strada e guida" (cfr. Introduzione a L.S. 24 Prose d'arte, 1983, p. 8).
8) L. Sinisgalli, in Baudeleriana, Il Mattino, 10 Maggio, 1976.
9) L. Sinisgalli, cfr., Laurea in Architettura, in Furor Mathematicus, cit., pp. 109-110.
10) Si legga, " Arte".
11) G. Appella: L. Sinisgalli, tra poesia e scienza, Edizione della Cometa, Roma, 1962, p.11.
12) Considerazioni simili sono state avanzate dallo stesso Vincenzo Sinisgalli, fratello di Leonardo, in un'intervista rilasciata a M. Faggella il 23 giugno 1993.
13) G. Pampaloni, Atti del Simposio di Studi su L. S. , Montemurro-Matera, 1982, p.73.
14)Non diversamente R. Aymone-in op. cit.-: "Non sarà mai possibile distinguere nettamente il Sinisgalli teorico o maestro dal letterato e dal poeta, poiché di fatto intimamente connessi e speculari; come pure questi aspetti riguardo al suo pensiero morale ed esistenziale".
15) Nelle pagine critiche di Sinisgalli è frequente il ricordo di Max Ernest, Mirò, Duchamp, Arp; pittori e artisti appartenenti al Surrealismo o comunque seguaci della sua regola fondamentale: la ricerca dell'unità del mondo immaginario con quello reale. Per i Surrealisti l'immagine è ancora il nucleo fondamentale della rappresentazione poetica e pittorica, ma le costellazioni di cui entrano a far parte le immagini "non sono costituite seguendo le leggi della similitudine, ma al contrario, sono associate per dissimiglianza. Gli stessi seguaci di Breton erano soliti ripetere come loro emblema questa massima di Lautréamont "La bellezza non è altro che l'incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio".
16) Il saggio, presentato quale "testimonianza" da Sinisgalli al 3° Congresso Internazionale di Studi Leopardiani (1972) sul tema " Leopardi e il 900", a ragione può ritenersi - come ha sostenuto R. Aymone - una particolare e concreta applicazione delle teorie presenti in "Intorno alla figura del poeta", scritto citato da noi nel capitolo della poetica e non meno importante per capire l'estetica sinisgalliana e il suo concetto dell'arte.
17) Lo stesso Michele Dell'Aquila, che fu presente a quel Convegno ci ha lasciato tra l'altro questa preziosa testimonianza " Ricordo quella lettura e quel pubblico di specialisti cui era diretta, Sinisgalli con i capelli ispidi, diritti come in una caricatura del furor mathematicus, infilava numeri e formule senza tregua, leggendoli con giudizi brevi e netti come colpi di rasoio, giudizi enunciativi, connotativi, di poetica, di metrica, di gusto, di letteratura, buttati lì, senza preoccupazione (almeno apparente)... ma con la consapevolezza che le cose della poesia possono ricondursi anch'esse al numero ed alla figura". (cfr. Nodi quasi di stelle.... di Sinisgalli, di Leopardi, della poesia, Atti del Convegno di Studi su L. S. , Matera - Montemurro, cit., p. 264).
18) L. Sinisgalli, Modernità di Leopardi, cit., p. 53.
19) M. Faggella, "Da Leopardi a Valery"; le due anima della Musa di Sinisgalli, in " Basilicata Regione", 1993.
20) L. Sinisgalli, Furor Mathematicus, cit.,p.173.
21) L. Sinisgalli; Vespignani irrequieto, in Premessa a I Martedì colorati, cit., p. 171.
22) L. Sinisgalli; Atmosfera liberty, ivi, p. 220.
23) L. Sinisgalli, L' immobilità dello scriba, in L'età della Luna, cit., p. 123.
24) L. Sinisgalli, Kandinsky l'Esploratore , in 24 Prose d'arte, cit. , p. 27.
25) L. Sinisgalli, Laurea in Architettura, in Furor, cit., pp.111-112. in L'età della Luna, cit., p.138.
26) L. Sinisgalli, L'immobilità dello scriba, in L'età della Luna, cit., p. 138.
27) G. Appella, Introduzione a 24 Prose d'arte, cit., p.14.
28) L. Sinisgalli, Non è vero che Klee fosse un pittore triste, in 24 Prose d'arte, cit., p. 28.
29) G. Appella, introduzione a 24 Prose d'arte, cit., p. 11.
febbraio 2012
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