|
Istruzione e Cultura
un antico binomio socialista
Amedeo Di Sora
|
I temi dell'istruzione e della cultura, da sempre cari ai socialisti e alla sinistra, vanno oggi considerati all'interno di un quadro più ampio che investe il problema della riflessione critica sul fenomeno della globalizzazione e dei suoi effetti più deleteri e perversi, se è vero che, come sosteneva Norberto Bobbio nel suo aureo volumetto, “Destra e Sinistra” del 1994, la sinistra si distingue dalla destra essenzialmente per l'impegno a favore dell'eguaglianza.
È bene rileggere ciò che scriveva il filosofo torinese: “La ragion d'essere dei diritti sociali come il diritto dell'istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla salute, è una ragione egualitaria. Tutti e tre mirano a rendere meno grande la diseguaglianza tra chi ha e chi non ha, o a mettere un numero di individui sempre maggiore in condizione di essere meno diseguali rispetto a individui più fortunati per nascita e condizione sociale”. Ebbene, a fronte di ciò, mi risulta difficile comprendere per quali ragioni, a sinistra, si possa essere in sintonia con misure come quelle varate dall'attuale governo dei tecnici che, al di là della loro efficacia contabile e di qualche aspetto tendenzialmente positivo riguardante alcune liberalizzazioni, certamente poco o nulla hanno a che vedere con le istanze egualitarie e di giustizia sociale che da sempre hanno costituito, con quelle di libertà, un binomio indissolubile per la sinistra democratica e socialista.
E' un dato di fatto che l'attuale esecutivo di tecnocrati, occupando uno spazio che la politica ha lasciato colpevolmente vacante, pur facendosi ovviamente preferire per competenza, garbo e sobrietà al caravanserraglio berlusconiano, è pur sempre l'espressione dei poteri forti dell'economia e della finanza; proprio quei poteri che, paradossalmente, hanno prodotto in larga parte la crisi che, ancora una volta, sarà pagata e sofferta dai lavoratori e dai ceti popolari, i quali la crisi, di certo, non l'hanno creata. Insomma, anche se il passaggio dal populismo mediatico del governo Berlusconi al liberal-liberismo del governo Monti costituisce per i conti pubblici e per i rapporti con l'Europa un indiscutibile passo in avanti, bisogna evitare, prima che sia troppo tardi, che appaia come un governo vicino al centrosinistra, perché la manovra da esso varata non contiene affatto (come potrebbe, d'altronde?) quegli elementi di equità che la sinistra è tenuta storicamente a rappresentare e a rivendicare, soprattutto in un momento in cui i dati ISTAT certificano un impoverimento progressivo di cui soffre una quantità sempre maggiore di italiani. Giustamente, infatti, Francois Hollande, lanciando nei giorni scorsi ufficialmente la sfida elettorale a Sarkozy, ha indicato l'eguaglianza come fondamento del patto repubblicano e il mondo della finanza come vero avversario. Già una decina d' anni fa, d'altronde, i socialisti francesi Laurent Fabius, Paul Mauroy e Michel Rocard avevano dichiarato, in un manifesto per la sinistra europea, quanto fosse evidente che i mercati, lungi dall'autoregolarsi, hanno bisogno di limiti e contropoteri ed affermavano che il socialismo democratico si definisce nella ricerca d'un triplice compromesso tra il capitale e il lavoro, il mercato e lo stato, la competizione e la solidarietà, evidenziando che con la globalizzazione è sempre il primo termine di questi tre binomi che si rafforza a discapito dell'altro. Pertanto la sinistra, dal momento che la globalizzazione ha prodotto, con la liberalizzazione a senso unico dei mercati, con la finanziarizzazione dell'economia, con la privatizzazione spesso indiscriminata anche di servizi essenziali come sanità, scuola, acquedotti, energia, telecomunicazioni, poste, trasporti pubblici, ecc. uno smantellamento dello Stato Sociale e una progressiva distruzione dell'ambiente naturale, non può rinunciare a interpretare il ruolo che storicamente le compete: in primo luogo, quello di riaffidare anzitutto ai princìpi etici la funzione fondamentale che loro spetta nella costruzione di una società secondo giustizia, poiché solo se sono eticamente ispirate, la politica, l'economia e tutte le altre attività umane saranno realmente al servizio di tutti e non soltanto di pochi e, quindi, di ricercare ed attivare moderne forme e aggiornati strumenti per riformare questo sistema iniquo che produce precarizzazione generalizzata del lavoro; riduzione degli spazi di libertà e di democrazia; eliminazione dall'orizzonte culturale dell'idea di giustizia e di eguaglianza. Eguaglianza il cui concetto non può essere solo ristretto alle condizioni economiche, ma deve estendersi verso altri beni, come l'accesso alla cultura e al tempo libero. Perché – e qui mi piace riprendere le parole di un grande socialista, Riccardo Lombardi, -“si tratta di dare il tempo alla gente di non essere solo una macchina da lavoro, treno e dormitorio, senza più tempo e voglia di leggere e di fare all'amore”. Come può un socialista rassegnarsi ad accettare passivamente un sistema che, in nome del massimo profitto, mentre da un lato lede il diritto al lavoro rendendolo sempre più precario e alienante, dall'altro, in modo cinico e brutale, con un tratto di penna, e solo per fare cassa – vedi gli ultimi provvedimenti sulle pensioni – costringe i lavoratori a prolungare la permanenza al lavoro negando loro la legittima aspettativa di poter godere del meritato tempo libero? Questo sistema, sempre più cinico e disumanizzante, da una parte nega ai giovani il diritto a un lavoro stabile e dignitoso; dall'altro, in nome di presunte aspettative di vita (come se vivere a lungo fosse ormai diventato un delitto) condanna in prospettiva gli individui ad un lavoro a oltranza, senza curarsi delle loro condizioni di salute fisica e psichica, delle loro umane esigenze di socialità e di felicità.
Alla luce di tutto ciò, ritengo che il ruolo della cultura e dell'istruzione sia fondamentale per contrastare il “pensiero unico” neoliberista e costruire un pensiero critico in grado di concorrere a formare una autentica democrazia cosmopolitica, in cui abbiano stabile dimora quei valori di libertà, di giustizia, di eguaglianza e di laicità che, a partire dalle origini – mi piace ricordare che quest'anno ricorre il centoventesimo anniversario della fondazione del Partito Socialista Italiano - hanno dato linfa all'impegno dei socialisti nell'opera di alfabetizzazione dei contadini e degli operai, nella formazione delle case e delle scuole del popolo, nella battaglia a favore dell'istruzione elementare gratuita e obbligatoria e della scuola media unica, insieme allo statuto dei lavoratori una delle riforme più qualificanti del primo centrosinistra che costituì, per dirla con le parole di un grande socialista di allora, Tristano Codignola, “una vittoria di carattere non solo educativo e pedagogico, strutturale e organizzativo, ma schiettamente politico e sociale”. I socialisti hanno sempre sostenuto l'esigenza e la necessità di una scuola pubblica, democratica, innovativa, in grado di riconoscere e valutare meriti e bisogni, di educare alla libertà e all'autodeterminazione. Penso, ad esempio, all'insegnamento di Aldo Visalberghi, il quale sosteneva che l'apprendimento spontaneo, ludico-esplorativo o per libere letture o intrattenimenti, è la condizione preliminare di ogni proficuo insegnamento, ponendo l'accento sulla precedenza ideale di libere attività di per sé interessanti e sviluppate anche socialmente che permettono il passaggio dal ludico al “ludiforme”. La scuola italiana, purtroppo, oggi versa in condizioni disastrose e non solo, in verità, per responsabilità dei governi di centrodestra. Anche in questo campo, la sinistra (e mi riferisco, in larga parte, a quella postcomunista) dopo la caduta del Muro, ha abdicato al suo ruolo storico e, invece di rinnovare e aggiornare i propri princìpi e valori, ha aperto la strada a una progressiva dequalificazione e a un inevitabile snaturamento della scuola pubblica. L'idea che la scuola, nel quadro del processo di autonomia che contiene sicuramente aspetti potenzialmente positivi ma che va sostanziata di fondi e di contenuti, potesse essere equiparata all'azienda si è rivelata profondamente errata e foriera di conseguenze nefaste. La scuola non è e non può essere un'azienda; è, se vogliamo, un servizio che ha come primo committente il Paese e la sua Costituzione. I ragazzi sono dei soggetti di diritti e non dei clienti. Se la libertà del manager è in un certo senso governata dalle leggi del mercato, la libertà e il ruolo del Dirigente Scolastico sono regolati dai bisogni formativi generali dei ragazzi. L'istruzione non può essere ingabbiata in un'ottica aziendale e manageriale; al contrario, va intesa come una risorsa per la cittadinanza democratica, come uno strumento possibile per contrastare un modello di sviluppo insostenibile e incontrollato, come occasione per formare donne e uomini capaci di pensare criticamente, di avere conoscenze e strumenti di interpretazione, di rifiutare le certezze affrettate e il pensiero semplificato, di conquistare una disciplina mentale sicura. Quanto più si è abbassata la tensione civile e si è allargato e snaturato il concetto di pubblico, riconosciuto oggi anche ai privati, e si è andato logorando quel patto istituzionale con il Paese per cui la formazione di “cittadini” ha teso ad assimilarsi sempre più a negoziazione e a servizio verso “clienti”, tanto più la professione docente è sembrata accentuare i tratti impiegatizi a danno di un'idea alta e piena di professione, provocando frustrazione e demotivazione. A mio avviso, il compito dei socialisti e della sinistra in generale è oggi quello di reinventare il pubblico piuttosto che abbandonarlo. In tutta l'Europa il neoliberismo ha avuto gioco facile nello smantellare pezzi importanti del settore pubblico e dei servizi pubblici. Non si può disconoscere il fatto che, non di rado, il vecchio pubblico era poco efficiente, autoreferenziale e corporativo e, per quanto riguarda l'Italia, inquinato da sacche di clientelismo e di corruzione, con una insufficiente cultura di servizio agli utenti. Il nuovo pubblico passa attraverso l'introduzione di una diversa “etica”, di una preparazione non solo tecnica ma morale del personale, dell'offerta di un servizio di qualità a tutti i cittadini. La scuola deve ritornare ad essere il luogo dove si trasmettono i valori del merito, della solidarietà, della responsabilità, del “ben fare” e della fiducia nel futuro. “Un luogo – per usare le parole di Giovanni Bollea – dove le sfide della modernità vengono accolte e declinate positivamente, nell'interesse dei ragazzi e delle famiglie”. Purtroppo, l'unica riforma – si fa per dire – varata dallo sciagurato governo berlusconiano ha riguardato il mondo della scuola. E ne avremmo fatto volentieri a meno! In realtà, la ministra Gelmini ha promosso e firmato, sotto dettatura dei ministri Brunetta e Tremonti, una misura di contenimento della spesa pubblica che ha causato, tra l'altro: la riduzione di circa 140.000 posti di lavoro negli ultimi tre anni; l'innalzamento degli alunni per classe con conseguente calo della qualità dell'insegnamento e peggioramento delle condizioni di sicurezza; la riduzione del tempo pieno nelle scuole elementari e del tempo prolungato delle scuole medie; la scomparsa delle compresenze; i tagli alle attività di laboratorio e la riduzione degli insegnamenti (con l'unica eccezione positiva dell'istituzione dei licei musicali e coreutici, anche se solo sulla carta per motivi di spesa); la contraddizione tra l'offerta formativa ricca d'indirizzi e la povertà delle risorse assegnate; gli “istituti comprensivi”. A ciò si accompagnano il tracollo verticale della percezione del ruolo sociale e civile degli insegnanti il cui contratto è scaduto nel 2009 e rimarrà bloccato fino al 2014 e i cui stipendi (come quelli del personale ATA) sono tra i più bassi d'Europa, mentre si accentua il dramma dei precari. I socialisti hanno sempre sostenuto e difeso la scuola pubblica, convinti che essa rappresenta un baluardo essenziale per la salvaguardia e l'ampliamento della coscienza e della pratica della democrazia, memori delle parole di Piero Calamandrei: “Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte Costituzionale”.
Sappiamo bene che su questo tema si gioca un'idea di società e un'idea di futuro. E' questo che ne fa una frontiera strategica per la democrazia, in una fase in cui le idee neoliberiste manifestano esplicitamente la volontà di ridurre al mercato l'informazione, l'istruzione, gli stessi diritti sociali. E' proprio per questo che anche in Italia, come in Europa, è necessario ricostruire un'importante forza socialista in grado di contribuire significativamente, nelle prossime elezioni, all'affermazione di una nuova coalizione di centrosinistra che sappia finalmente lavorare in direzione di una vera e profonda “riforma” della scuola.
gennaio 2012
|