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“Nel nostro tempo l´insegnante è sempre più solo”.
Aldo Ettore Quagliozzi
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Scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati nel Suo “Elogio degli insegnanti” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, che di seguito trascrivo in parte: “Nel nostro tempo l´insegnante è sempre più solo<(i>”.
Concordo con l’illustre Autore. La “solitudine” è sempre stata una connotazione propria e direi “naturale” di chi educa, poiché si educa con tutto sé stessi, con la propria voce, con il proprio sguardo, con le proprie emozioni e forse meno che mai con la tecnicalità disciplinare.
disperante solitudine dell’educare”, del mio lavoro editoriale “I professori” – AndreaOppureEditore (2006) pagg. 194 € 8,00 -:
“(…). E’ che nella quotidiana ‘vita scolastica’ non sembra poter esistere una linea netta di demarcazione tra l’insegnante esperto e tecnico delle discipline e l’insegnante-uomo- maestro, che si faccia carico dei problemi propri del navigare tormentoso delle giovani generazioni. E l’aspirazione e l’impegno ad essere ‘insegnante-uomo-maestro’ predomina, per fortuna, nella maggioranza dei docenti della scuola pubblica italiana, poiché oggi la scuola si trova a dover affrontare crisi generazionali delle più complesse, nel quadro di una società in rapida trasformazione sotto tutti gli aspetti, da quelli economici ai rapporti parentali, dell’organizzazione del lavoro a quelli della vita associativa e di relazione, che si riflettono poi inevitabilmente sulla vita stessa delle famiglie e dei giovani con l’insorgere spesso di gravissime crisi motivazionali ed identitarie”.
Ecco: l’educatore è sempre solo. Lo scrivevo in tempi non sospetti dando atto alla maggioranza degli insegnanti del bel paese d’essere educatori più che trasmettitori di saperi codificati. Se ne dice profondissimamente convinto l’illustre Autore che spazza via tutte le alchimie proprie di una pseudo-pedagogia che voglia fingere d’essere d’avanguardia laddove propugna la sostituzione degli insegnanti con un massivo dispiegamento dei mezzi e degli strumenti della moderna tecnologia della comunicazione e ne tesse l’elogio in quanto portatori unici, gli insegnanti, dell’”eros del desiderio”, stimolo insopprimibile nel rapporto “discepolo-maestro”.
“Un bravo insegnante, raccontava una volta un grande psicoanalista come Moustapha Safouan, si riconosce da come reagisce quando, salendo in cattedra, gli capita di inciampare. Cosa saprà fare di questo inciampo? Ricomporrà immediatamente la sua immagine facendo finta di nulla? Rimprovererà con stizza le reazioni divertite dei ragazzi? Nasconderà goffamente il suo imbarazzo? Oppure prenderà spunto da questo imprevisto per mostrare ai suoi alunni che la posizione dell´insegnante non è senza incertezze e vacillazioni, che non è al riparo dall´imprevedibilità della vita? Potrà allora far notare che lo studio più autentico e appassionato non è mai esente dall´inciampo perché è proprio questo, come il fallimento, a rendere possibile la ricerca della verità. (…).
Ma se esiste una vocazione all´insegnamento, non può che radicarsi nell´inciampo. (…). …i bravi insegnanti sanno di cosa parlo; loro stessi sono inciampati almeno una volta prima di salire in cattedra e continuano ad educare i loro allievi alla contingenza imprevedibile della vita. Ricordiamo gli insegnanti che sono stati per noi degli inciampi che ci hanno sottratti alle nostre abitudini mentali e ci hanno fatto pensare in modo nuovo. (…). …solo un cognitivismo esasperato può pensare di separare i processi di apprendimento dall´eros che abita da sempre ogni relazione formativa. La psicoanalisi e la pedagogia più illuminata insistono su questo punto: le possibilità dell´apprendimento hanno come condizione l´eros del desiderio. Pensare di trasmettere il sapere senza passare dalla relazione con chi lo incarna è un´illusione perché non esiste una didattica se non entro una relazione umana. Coloro che vorrebbero ridurre il processo di apprendimento e di insegnamento alla trasmissione tecnologica e asettica di pratiche codificate cognitivamente e che ripongono la loro speranza nella definizione di un metodo efficiente di assimilazione e di organizzazione dei saperi, pretendono di cancellare l´intrusione del corpo nella relazione didattica e commettono un errore ossessivo in senso clinico.
Il bravo insegnante non è colui che nega il valore del sapere, non è colui che proclama il suo azzeramento, ma è colui che mentre lo trasmette sa anche mantenerlo sospeso.
Questo doppio tempo della dinamica formativa lo ritroviamo nella vita quotidiana di ogni insegnante e di ogni allievo come oscillazione tra la necessità dell´applicazione, del metodo, dell´ostinazione, della fatica e del sacrificio e possibilità dell´erotizzazione del mondo attraverso il linguaggio, del desiderio di conoscenza, del viaggio, dell´avventura, dell´andare altrove, al largo, lontano, alla scoperta di altri mondi, verso l´inedito e il non ancora conosciuto. Nel nostro tempo l´insegnante è sempre più solo. Questa solitudine non riflette solo la sua condizione di precariato sociale, ma anche la rottura di un patto generazionale coi genitori. Lo studio dello psicoanalista ne raccoglie i cocci: genitori sempre più complici e alleati di figli sempre meno riconoscenti e sempre più pretenziosi. Genitori che anziché sostenere l´azione educativa della scuola, di fronte al primo ostacolo, preferiscono spianare la strada ai loro figli, togliere gli ostacoli, evitare l´inciampo, per esempio cambiando scuola o insegnanti, insomma recriminando continuamente contro l´Altro come fanno i loro stessi figli.
Un tempo l´alleanza generazionale tra genitori e insegnanti non era mai in discussione. Il rischio era quello di giustificare derive autoritarie del processo educativo. Oggi però questa alleanza tende a dissolversi. L´ostacolo della differenza generazionale e dell´insuccesso scolastico viene vissuto solo come una frustrazione da evitare.
In questo difficile contesto la domanda che assilla l´insegnante nella sua solitudine si radicalizza: come può continuare ad amare ciò che fa? come può resistere all´appassimento, all´accomodamento del sapere somministrato secondo gli standard stabiliti? come può tenere viva la passione che comporta la sua pratica? I bravi insegnanti sanno rinnovare ogni giorno il loro desiderio solo perché conoscono le insidie della caduta nella noia e nella ripetizione e si impegnano a ricercare i giusti antidoti sopportando la solitudine che la sfaldatura del patto generazionale tra gli adulti comporta. Per questa ragione il tempo dell´inciampo resta essenziale perché mantiene sveglio l´insegnante stesso e, di conseguenza, impedisce anche ai suoi allievi di addormentarsi. (…). Il bravo insegnante, nelle Scuole elementari come all´Università, è colui che non ha né paura né vergogna del suo non sapere, della sua ignoranza (che Cusano avrebbe definito dotta) perché sa che i limiti del sapere sono ciò che animano la spinta della conoscenza. E´ il grande peccato che racconta il mito biblico dell´albero della conoscenza. In cosa consiste? Nell´illusione umana di accedere al sapere come dominio, alla conoscenza assoluta del bene e del male, ad un sapere che pretende di essere padrone della vita, che pretende di escludere l´inciampo.”
ottobre 2011
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