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Hermann Broch, l’ora che non verrà
Mario Amato
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È sempre più raro nel nostro tempo che grandi scrittori abbiano successo di pubblico. Un tempo si diventava scrittori perché si scriveva, oggi si scrive perché la televisione ha procurato fama.
È comunque accaduto che Joseph Roth, Milan Kundera, Thomas Mann, James Joyce abbiano avuto il successo suddetto. C’è uno scrittore dell’inizio Novecento per cui non verrà mai quest’ora, sebbene i suoi libri non debbano essere ignorati da chi ama questo periodo letterario. L’ “Ulisse” di James Joyce narra una sola giornata, in cui Leopold Bloom attraversa Dublino per tornare a casa; “La ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust racconta i ricordi di un uomo sdraiato nel suo letto; “L’uomo senza qualità” di Robert Musil rappresenta l’uomo nuovo che, non avendo più le qualità di quello dell’Ottocento, ha dinanzi a sé tutte le possibilità.
Ci sono due libri inevitabili di Hermann Broch: “I sonnambuli”(1) e “La morte di Virgilio”. È difficile chiamare “romanzo” il primo di questi libri, perché esso è una trilogia, che va dall’Ottocento al Novecento. La prima narrazione - (ma dovremo tornare anche su questo termine, forse non adatto alla scrittura di Broch) -reca il titolo “Pasenow e il romanticismo” e si apre con la descrizione del signor von Pasenow per le vie di Berlino. È il primo sonnambulo che incontriamo. Che cosa significa essere sonnambuli? È di aiuto il primo capitolo dell’opera “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig(2), intitolato “Il mondo della sicurezza”, ove si descrive l’Austria-Ungheria ottocentesca, ove si presenta una società con ruoli definiti, una società che non conosce la fretta ed ha una fiducia incrollabile nel futuro, assicurato dalla classe dirigente. La stessa figura di Pasenow è rappresentazione del mondo della sicurezza: piccolo ma perfettamente proporzionato, con la barba alla Guglielmo I e il cilindro. L’azione si svolge a Berlino e non nell’Impero asburgico, ma va ricordato che la Germania era unificata dal 1871 e coltivava ancora l’eredità prussiana.
Furono sufficienti due spari a Sarajevo per far crollare quella sicurezza. Il romanticismo di cui parla Broch non è il sentimento d’inquietudine, la Sehnsucht, propria degli scrittori e dei poeti dell’Ottocento; è piuttosto l’incapacità di cogliere i segni della realtà che cambia, perché i sonnambuli vedono il mondo avvolto nella nebbia.
Se Ulrich, l’uomo senza qualità di Robert Musil, ha dinanzi a sé tutte le possibilità, perché appunto non ha più le qualità dell’uomo ottocentesco, Pasenow è il rappresentante della crisi di quei valori avevano creduto gli uomini dell’Ottocento; “Pasenow e il romanticismo” si svolge infatti nel 1888. Anche Esch, il protagonista del secondo volume è un vagabondo del sonno. L’epoca è il 1903, il tempo dell’affermazione degli “ismi”. In realtà Esch non è un anarchico nel senso marxista del sogno di un mondo in cui si affermerà il principio “Ciascun secondo la propria capacità, a ciascuno secondo il proprio bisogno”, e neanche nel senso nietzschiano dell’“oltreuomo” liberatosi del bisogno di Dio, della religione, della legge, dello stato. Esch ha soltanto una vaga idea della rivoluzione e del mondo che verrà. È un frequentatore di misere taverne, dove il suo sonnambulismo trova conforto nell’alcool e dove le sue idee politiche restano vaghe e indefinite. Hermann Broch non poteva certo sapere che dopo pochi anni un uomo oscuro avrebbe frequentato spoglie birrerie e avrebbe cambiato la Germania con nefaste conseguenze per tutta l’Europa. Quell’uomo, nato in una cittadina di confine tra Austria e Germania, che teneva i suoi discorsi contro gli ebrei e il parlamento, agiva durante la Repubblica di Weimar. Il terzo romanzo, “Hugenau o il realismo”, si svolge nel primo dopoguerra, in quel tempo in cui le città tedesche erano popolate di reduci soldati feriti, il cui aspetto documentava, meglio di qualsiasi proclama, la sconfitta di una nazione. Hugenau non è un eroe, bensì un disertore, come tanti soldati di tutti gli eserciti che parteciparono alla prima guerra mondiale. Quale mondo nacque dalla catastrofe di quella guerra? Il mondo delle banche, del capitalismo, dove l’unico valore è il denaro, che un valore simbolico e non reale, ma che domina e tiranneggia la realtà. Gli uomini sono assetati di fatti(3), afferma Broch, ma noi dobbiamo chiederci se sia possibile credere ad una realtà edificata su un valore simbolico. Se la risposta è negativa o se non la troviamo, siamo veramente tutti sonnambuli.
Nel 1945 Hermann Broch terminò “La morte di Virgilio”(4), romanzo monumentale, che racconta i pensieri di Virgilio Publio Marone durante le sue ultime diciotto ore di vita. Il poeta romano non ripercorre la sua vita, ma formula le sue considerazioni sulla morte, sulla vita, sugli uomini e soprattutto propone l’eterno conflitto tra ragione e sentimento ma sottoforma di dualismo insanabile tra poesia e scienza. L’amara conclusione è la volontà di Virgilio di distruggere il suo poema, perché politico e non mistico, perché la poesia non è realtà; la volontà di Virgilio non fu rispettata dall’imperatore Augusto.
“La morte di Virgilio” è lettura difficile ma affascinante e invita alla ri-lettura.
Ogni grande libro invita alla ri-lettura.
NOTE
1) Broch, Hermann, I Sonnambuli, Einaudi, 1997
2) Op. cit.
3) E quando Huguenau, al mattino, seguiva sul giornale lo svolgersi degli avvenimenti, lo faceva con il disagio di tutti i lettori di giornali, che si gettano avidamente sulle notizie, affamati di fatti, soprattutto di fatti adorni di illustrazioni, tornando ogni giorno a sperare che la massa dei fatti riesca a colmare il vuoto di un mondo e di un’anima entrambi muti.
4)Broch Hermann, La morte di Virgilio, Feltrinelli, 1982
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