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La scuola che non “inculca”.
Aldo Ettore Quagliozzi
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“(…) ... per creare la nuova scuola per consumatori occorre portare a compimento un processo di deconcettualizzazione, eliminando dall’insegnamento gli strumenti intellettuali tradizionali, basati sull’uso di concetti teorici. La scuola secondaria, seguendo la direzione già indicata in Italia dalla scuola media, via via si trasforma in scuola obbligatoria, tende a divenire un generico luogo di socializzazione... (...). Naturalmente la scuola per consumatori non ha bisogno di insegnanti con particolari competenze specifiche, giacché i contenuti sono largamente intercambiabili e possono essere scelti dagli studenti stessi, come accade in genere negli Stati Uniti, dove quasi tutti gli insegnamenti sono opzionali. (...). Alla nuova scuola non occorrono esperti di fisica, letteratura, filosofia o storia dell’arte. Una volta completata la trasformazione, basteranno dei generici operatori scolastici, con una preparazione essenzialmente socio-pedagogica, che svolgano la funzione di intrattenitori e animatori, accogliendo gli studenti nelle strutture scolastiche, stimolandone la socializzazione e accompagnandoli e guidandoli nella fruizione dei media.(...) ...nella nuova scuola, che non prevede l’acquisizione di alcuna competenza, un’eventuale bocciatura può avere il solo significato di una esclusione dalla comunità per qualche grave colpa. E’ nata così la concezione moralistica delle promozioni, in base alla quale per ottenere un titolo di studio basta l’assenza di gravi colpe o la presenza di circostanze attenuanti”.
Ho letto e riletto questo brano rinvenuto tra le mie carte passate. L’ho trascritto per come l’ho ritrovato anche nell’impossibilità di individuarne la “paternità”. È sicuramente un “pezzo” molto datato, risalente a tempi meno perigliosi di quelli che siamo chiamati oggigiorno a vivere. Non era stata ancora fatta l’accusa assurda di una scuola pubblica che “inculca” idee distorte nelle giovani menti. Ma il contenuto del mio ritrovamento non lascia dubbi di sorta; a quel tempo lo “svuotamento” della scuola pubblica cominciava a fare il suo lungo corso. E ricordo bene che già negli ultimi anni della mia attività nella scuola si iniziava ad avvertire una involuzione pressante affinché la scuola si “snaturasse” dal di dentro per assecondare in pieno le nuove esigenze di una vita da “consumatori”. La scuola era già da allora sollecitata a perdere il connotato “suo” di luogo ove si realizza, quasi magicamente, come una “sospensione” dei tempi della vita, vita che pulsa ininterrottamente e caoticamente al suo esterno; luogo unico ove si possano ricreare di continuo le condizioni idonee ed ideali affinché quella “sospensione” si compia a vantaggio indistintamente di tutti i giovani ad essa affidati. Il mondo esterno del “consumo” faceva prepotentemente sin da allora il suo ingresso nel mondo “sospeso” della scuola, affinché essa divenisse parte integrante del mondo esterno e luogo eletto di formazione dei futuri cittadini “consumatori”, anticamera perfetta di futuri cittadini resi “a-critici”, guidati da interessi personali “etero-diretti”, compiacenti al punto da accettare supinamente anche le più disastrose cadute sociali nell’ambito dell’etica, dei valori in quanto tali, e di un bassissimo livello della “qualità” della vita, pur essendo essi immersi, se non sommersi, nella acquisizione e nella proprietà di beni materiali. Quel processo di “svuotamento” penso sia ancora in corso, anzi penso abbia da qualche lustro subito una accelerazione stante una situazione politica che favorisce quel processo, anzi ne sollecita la realizzazione in tempi sempre più stringenti. Ho avversato in altri tempi, nel mio piccolo, quello “svuotamento”. Altra idea si aveva della scuola e degli insegnanti. L’idea diversa dell’insegnante e del suo “mandato” che professa lo psicoanalista Massimo Recalcati in questa Sua “Lettera a un professore” pubblicata di recente sul quotidiano “la Repubblica”, “lettera” che di seguito trascrivo in parte.
“(…). Proviamo ora a fare un esperimento mentale: chi sono gli insegnanti che non abbiamo mai dimenticato? Sono quelli che hanno saputo incarnare un sapere, sono quelli che ricordiamo non tanto per ciò che ci hanno insegnato ma per come ce lo hanno insegnato. Ciò che conta nella formazione di un bambino o di un giovane non è tanto il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell´amore per il sapere. Gli insegnanti che non abbiamo dimenticato sono quelli che ci hanno insegnato che non si può sapere senza amore per il sapere. Sono quelli che sono stati per noi uno stile. I bravi insegnanti sono quelli che hanno saputo fare esistere dei mondi nuovi con il loro stile. Sono quelli che non ci hanno riempito le teste con un sapere già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza offrire risposte già fatte. Il bravo insegnante non è solo colui che sa ma colui che, per usare una bella immagine del padre sopravvissuto celebrato da Cormac McCarthy ne La strada, ‘sa portare il fuoco’. Portare il fuoco significa che un insegnante non è qualcuno che istruisce, che riempie le teste di contenuti, ma innanzitutto colui che sa portare e dare la parola, sa coltivare la possibilità di stare insieme, sa fare esistere la cultura come possibilità della comunità, sa valorizzare le differenze, la singolarità, animando la curiosità di ciascuno senza però inseguire alcuna immagine di allievo ideale, ma esaltando piuttosto i difetti, persino i sintomi, di ciascuno dei suoi allievi, uno per uno. È, insomma, come scrisse un grande pedagogista italiano quale fu Riccardo Massa, qualcuno che ‘sa amare chi impara’. (…). Il vero nemico dell´insegnante è la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso. È lo spettro che sovrasta e può condizionare mortalmente questo mestiere: adagiarsi sul già fatto, sul già detto, sul già visto. Ridurre l´amore per il sapere a pura routine. A quel punto non c´è più trasmissione di una conoscenza viva ma burocrazia intellettuale, parassitismo, noia, plagio, conformismo. Un sapere di questo genere non può essere assimilato senza generare un effetto di soffocamento, una vera e propria anoressia intellettuale. Eppure la Scuola continua ad essere fatta di ore di lezione che possono essere avventure, esperienze intellettuali ed emotive profonde. (…). Il nostro tempo segnala una crisi senza precedenti del discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l´illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie come un´istituzione paterna che può separare i nostri figli dall´ipnosi telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore di un godimento incestuoso, per risvegliarli al mondo. Ma anche come una istituzione capace di preservare l´importanza dei libri come oggetti irriducibili alle merci, come oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi. (…). …sono innanzitutto i libri – i mondi che essi ci aprono – ad ostacolare la via di quel godimento mortale che sospinge i nostri giovani verso la dissipazione della vita (tossicomania, bulimia, anoressia, depressione, violenza, alcoolismo, ecc). Lo sapeva bene Freud quando riteneva che solo la cultura poteva difendere la Civiltà dalla spinta alla distruzione. La Scuola contribuisce a fare esistere il mondo perché un insegnamento, in particolare quello che accompagna la crescita (la cosiddetta scuola dell´obbligo), non si misura certo dalla somma nozionistica delle informazioni che dispensa, ma dalla sua capacità di rendere disponibile la cultura come un nuovo mondo, come un altro mondo rispetto a quello di cui si nutre il legame familiare. Quando questo mondo, il nuovo mondo della cultura, non esiste o il suo accesso viene sbarrato, come faceva notare il Pasolini luterano, c´è solo cultura senza mondo, dunque cultura di morte, cultura della droga. Se tutto sospinge i nostri giovani verso l´assenza di mondo, verso il ritiro autistico, verso la coltivazione di mondi isolati (tecnologici, virtuali, sintomatici), la Scuola è ancora ciò che salvaguarda l´umano, l´incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte intellettuali. Un bravo insegnante non è forse quello che sa fare esistere nuovi mondi?”
maggio 2011
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