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Dell’educare. 94
“Nessun apparato con finalità educative dovrebbe adottare meccanismi punitivi”.
Aldo Ettore Quagliozzi
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Ho letto di recente, su di un grande quotidiano nazionale, dell’ultima ricerca IARD. Il quotidiano titolava: “Sorpresa, i professori sono felici“. La cosa mi ha incuriosito.
Felici di cosa? Della condizione esistenziale e lavorativa dei docenti della scuola pubblica del bel paese se ne è scritto abbastanza; del loro disincanto, rispetto ad ogni innovazione che sia, si è dibattuto ampiamente ed inutilmente. Della scarsa considerazione sociale che li accompagna da decenni, e la cosa è accertata e riportata anche attraverso gli scritti di coloro che nella scuola hanno avuto la ventura di viverci per tempi più o meno lunghi, non c’è da aver dubbio alcuno. Donde la domanda: felici di che cosa? Se poi si considerano alcuni dati della ricerca IARD riportati nella stessa pubblicazione giornalistica, c’è da rimanere sgomenti.
Scrive Michele Smargiassi nella Sua pubblicazione:
“…l'identikit del docente italiano resta problematico: la classe insegnante più vecchia del continente (alle medie il 70% ha più di cinquant'anni), la carriera più accidentata (fino a 9 anni per entrare in ruolo), gli stipendi del 10-20 per cento sotto la media, la femminilizzazione travolgente (otto donne su dieci cattedre, 95% alle elementari) che tradisce ancora il mestiere-rifugio per donne incatenate alla doppia presenza.“
E più oltre scrive Michele Smargiassi:
“Gli insegnanti italiani sono molto più soddisfatti di dieci anni fa. La quota di chi sceglierebbe di nuovo la professione di insegnante, ora l'82%, è cresciuta di 9-10 punti in ogni ordine di scuola. Viceversa, quanti sognano la fuga verso la pensione o un altro lavoro, i bruciati, i burn-out, sono calati nella stessa misura. Cosa mai è successo di tanto incoraggiante, in questo decennio, alla scuola italiana? Nulla. La scuola non è migliorata. Forse è peggiorato tutto il resto.” Donde viene e si giustifica la loro felicità? Ho fatto parte di quel mondo, un mondo ingrugnito, autoreferenziale, restio a qualsiasi apertura, se non nella frange più acculturate e sensibili. Per il resto, un monolite, immobile, inscalfibile. Nella stessa trasposizione giornalistica ad un certo punto si legge: “ Eppure la stessa autovalutazione dei prof è spesso severa. Sanno di essere stati reclutati con criteri lontani dal puro merito, si sentono competenti sulle proprie materie ma mal preparati a insegnarle (9 maestri su 10 non hanno mai seguito un corso di specializzazione). Confessano anche qualche pigrizia nell'auto-formazione: benché più lettori della media e anche delle altre professioni intellettuali, un docente su cinque alle superiori non ama i libri, i prof delle medie meno di tutti (il 44% ne legge meno di tre l'anno), anche meno dei maestri elementari.”
Torniamo alla domanda iniziale: felici di cosa? Abbozziamo una prima risposta facile, facile: felici di non dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Come del resto in altri settori della vita pubblica e amministrativa del bel paese.
Basterebbe andare a rileggere un testo fondamentale, “Solo se interrogato“ di Domenico Starnone, per trovare altre immediate, concrete risposte. Di seguito ne trascrivo, da quel bel libro, per un assaggio, che non è il primo in questa mia rubrichetta.
“(…) Nessun apparato con finalità educative dovrebbe adottare meccanismi punitivi nei confronti di creature in mutamento. Respingere? Bocciare? Non promuovere? Prendiamo piuttosto tempo. Perdiamone, di tempo, e ragioniamo di metamorfosi. Invece accade tutt’altro. L’ingranaggio sonnolento della pubblica istruzione, attardato, pigramente ripetitivo, fatto di mille piccoli sprechi, viene morso dalla tarantola quando si tratta di sbarazzarsi dei peggiori, è in questa funzione eliminatoria che si sente al massimo dell’efficienza. Via, via. Nei consigli le chiacchiere rendono impazienti. Selezionare, non selezionare? C’è chi sostiene, con piglio efficientistico ma senza cinismo, che i ragazzi dovrebbero imparare ad autoescludersi dalla scuola: la ragazzina tal dei tali sparisce, non la vedremo più; bene: ha capito che qui perdeva tempo e ha dato prova di maturità; si, di maturità; più degli insegnanti attardati che si producono in smancerie pietistiche. - Il problema -, mi sorride il collega R.D., - è soprattutto sistemare puntelli perché il mondo duri un altro po’, caro collega. Siamo all’emergenza. Selezionare i migliori, ecco cosa serve. Sennò si sfascia tutto e buona notte -. Io invece, secondo lui, il mondo lo voglio ingorgare di superscolarizzati, scolarizzando per forza anche quelli che, bontà loro, decidono autonomamente che la scuola non fa per loro: lodevole, umanitario, accorato, ma. (…)”
maggio 2011
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