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Dell’educare. 89
“Maestri senza cuore“
Aldo Ettore Quagliozzi
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“Maestri senza cuore“ è il titolo di un “pezzo forte“ del professor Umberto Galimberti pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” nel lontano 21 di settembre dell’anno 1998.
Lo ritrovo tra le mie “sudate carte“ ed amorevolmente lo ripropongo di seguito come preziosa memoria soprattutto per un aspetto singolarissimo: dopo ben undici anni quasi da quello scritto, non sembra proprio che le “cose“ della scuola del bel paese abbiano intrapreso una strada nuova che sia. E’ pur vero che da quei tempi, che appaiono come remoti, sono calate sulla scuola inerme ed attonita a volte le riforme, le controriforme, i ripensamenti e le disposizioni nuove, siano essi i grembiulini, o la nuova severità in fatto di “condotta“, o i nuovi orientamenti in fatto di valutazione dei risultati scolastici. Tutto ciò si è riversato come un fiume in piena nel mondo della scuola. Mi giunge però la eco della chiusura della scuola, a prova di impenetrabilità assoluta e permanente, sulle tematiche che l’illustre Autore delineava più di due lustri addietro nel Suo pregevole dottissimo scritto.
Sarà pure andata avanti l’opera di ricostruzione burocratica del mondo della scuola, con risultati che solo il tempo potrà decretare se di successo, ma continua, per i segnali che mi pervengono, ad imperare inossidabile “l’incuria della emotività o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti“; l’emotività delle giovani generazioni, che ben altra attenzione meriterebbe stante lo sfilacciarsi del tessuto sociale, le problematiche nuove legate alle realtà multiculturali oramai stabilmente presenti nel bel paese, ed all’entrata in crisi serissima delle funzioni proprie della famiglia e di tante altre agenzie formative, in crisi se non nel frattempo addirittura scomparse.
“Maestri senza cuore“. E sì che ne ho conosciuti tanti nella mia attività scolastica. Stanchi, sfiduciati, senza uno slancio alcuno: così li ricordo ancora oggi, trincerati a difendere una inesistente professionalità, lo sviluppo della quale è stato sempre affidato alla buona volontà dei singoli. Li ricordo ancora oggi con uno spiccato senso della “parsimonia“: centellinare la propria disponibilità all’ascolto della emotività dei ragazzi ad essi affidati alla misura, ahimè misera da sempre, dello stipendio mensilmente percepito.
Ho cercato, con tutte le mie forze, a non assomigliare a quei “Maestri senza cuore“. Forse, senza riuscirci bene.
“( … ) ... non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva, e l’incuria della emotività o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente andando a scuola, corre. (...) Infine resta la vita, e il sapere è solo lo strumento per meglio esprimerla. Là invece dove il sapere diventa lo scopo e il profitto il metro per misurarlo, qualunque siano le condizioni di esistenza in cui una vita è riuscita ad esprimersi, la scuola fallisce, perché livella, quando non mortifica, soggettività nascenti in nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare identità più ai professori che agli studenti in affannosa ricerca ... tutti sanno che la volontà non esiste al di fuori dell’interesse, che lo interesse non esiste separato da un legame emotivo, che il legame emotivo non si costruisce quando il rapporto tra professore e studente è un rapporto di reciproca diffidenza, quando non di assoluta incomprensione. ( .. .) Nelle sue ventilate riforme ciò che la scuola prospetta sono autonomie gestionali, rivalutazione della figura del preside, incentivi materiali, nuovi programmi ministeriali messi a punto in funzione di nuovi profili professionali, accorpamento di indirizzi di studio, lungimiranze di ministri, commissioni di esperti, informatizzazione di questo o di quello, magnifici libri di testo, corsi integrativi, corsi di aggiornamento, abolizione degli esami a ottobre, riforma degli esami di maturità. L’unica cosa dimenticata è il disinteresse emotivo e intellettuale dell’insegnante con trasmissione diretta allo studente che, tra i banchi di scuola, finisce per trovare solo quanto di più lontano e astratto c’è in ordine alla sua vita, in quella calda stagione dove il sapere non riesce, per difetto di trasmissione, a diventare nutrimento della passione e suo percorso futuro.( … )“
dicembre 2010
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