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Se il divino diviene il problema.
Sindone e credulità.
Aldo Ettore Quagliozzi
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“Il processo a Galileo deve insegnare alla Chiesa un atteggiamento che vale anche oggi: e cioè una certa prudenza, la necessità di approfondire questioni come la ricerca scientifica, l’uso delle staminali, la genetica.“ Dichiarazione resa il 2 di luglio dell’anno del signore 2009 da monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio segreto vaticano.
Ben detto. E poi? Cosa contrapporre alla “datazione radiocarbonio“, universalmente utilizzata per datare, per l’appunto, tutto il databile con quella fine pratica scientifica? Cosa contrapporre al decadimento atomico degli elementi che è cosa sicura assai? Gli atomi decadono, si trasformano nel tempo nei cosiddetti loro “isotopi“. Tutto scritto e verificabile. Misurabile persino. La mia mente si rifiuta di speculare oltre. In verità c’è ben poco da speculare. Interviene allora, e si sostituisce al flebile lume della ragione, la credulità. Credere per credere. Ho letto con interesse il dialogo intercorso tra il professor Piergiorgio Odifreddi ed il chierico don Giuseppe Ghiberti, dialogo pubblicato sull’ultimo numero della rivista MicroMega. Afferma quest’ultimo, il chierico, nelle sue considerazioni:
“[…] A me sembra innegabile che l’immagine presente sulla Sindone raffiguri un uomo morto a causa della tortura della crocifissione. Lei (il professor Odifreddi n.d.r.) ha enumerato parecchie anomalie presenti nella figura sindonica, ma queste aumentano la stranezza misteriosa del reperto, senza però impedire la constatazione di fondo che dicevo: immagine di un uomo morto per crocifissione. La reazione di chi guarda questa immagine può essere varia: una persona con un po’ di cuore sente compassione per tanta sofferenza e indignazione per quella dimostrazione di crudeltà raffinata; sorge intanto la curiosità di capirci qualcosa. (…)“
D’accordo. Ma, a parte l’umana compassione per la fine atroce di quell’essere umano, compassione per qualsivoglia essere umano, ignoto a tutt’oggi ai più, e l’indignazione che ne deriva per quella “crudeltà raffinata“, cosa resta di altro? Giusto per ricordare che di quelle crudeltà raffinate non ne è esente neppure la chiesa del potere, con i suoi roghi e quant’altro. Ché in quei casi le sventurate innocenti vittime non avrebbero “gradito“ anch’esse tanta cristiana “compassione per tanta sofferenza“. “… sorge intanto la curiosità di capirci qualcosa…“.
Capirci qualcosa, ma come? Con quali strumenti? Che ci sia l’impronta su quel telo di un essere umano morto per crocifissione conferma che quell’essere umano sia stato indubitabilmente l’uomo di Nazareth?
Ci si smarrisce così in un’infinità di contorcimenti linguistici e mentali che toccano l’acme, (ακμή) l’apice, ovvero il punto più alto nell’antica e nobile lingua greca, allorquando il chierico afferma:
“(…) Ognuno ha il suo modo di sentire, ma l’impostazione fondamentale ha cercato di essere coerente e ha avuto la gioia di sentirsi confermata dall’insegnamento del Papa, quando venne in pellegrinaggio nel 1998. Per conto nostro si ripeteva spesso che la Sindone non ha bisogno delle nostre esagerazioni; ciò che conta è l’attenzione e la disponibilità di vita di fronte al suo messaggio.“
Fine del suo panegirico. Cosa significa? Difficile intenderlo.
Ermetismo profondo.
Di seguito trascrivo, in parte, le considerazioni del professor Odifreddi sull’indiscusso falso della sindone. Falso asseverato tanto dai laboratori scientifici, con risultati ineccepibili ed inequivocabili dovuti alle più moderne strumentazioni, quanto dalla stessa storiografia della chiesa di Roma, laddove essa ha lasciato traccia, alle generazioni future, di quanto segue: “ Nel 1389 il vescovo di Troyes inviò però un memoriale al Papa, dichiarando che il telo era stato ‘artificiosamente dipinto in modo ingegnoso’, e che ‘fu provato anche dall’artefice che lo aveva dipinto che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto’. Seneca osava dire: “quotìdie morìmur", moriamo ogni giorno, al pari degli atomi degli elementi che decadono nei millenni.
“(…) … la conquista di Costantinopoli del 1204 rivelò all’Occidente la cornucopia di reliquie conservate nei santuari di Bisanzio. Comprate o trafugate dai Crociati, in breve tempo esse andarono ad arricchire il patrimonio di meraviglie sacre conservate nelle chiese medievali, per l’elevazione spirituale dei fedeli e materiale del clero, e furono sbeffeggiate dal Belli nel sonetto La mostra de l’erliquie. […] Benché alcune di queste reliquie siano (state) conservate nelle basiliche più sacre della cristianità, da Santa Maria Maggiore a San Giovanni in Laterano, chiunque argomentasse seriamente oggi a favore della loro attendibilità storica verrebbe quasi sempre preso per matto. Quasi, ma non sempre, almeno a giudicare dai milioni di fedeli che accorrono a Torino a vedere la Sindone. O meglio, una delle quarantatre sindoni di cui si ha notizia: alcune con immagini, altre no. Molte andate distrutte da incendi e, come già ironizzava Calvino, prontamente rimpiazzate. Una, quella miracolosa di Besançon, distrutta per ordine del Comitato di salute pubblica durante la Convenzione nazionale della Rivoluzione francese. La Sindone di Torino, un telo di lino di circa quattro metri per uno, apparve per la prima volta nel 1353 presso Troyes, nel cuore della regione di Chartres e Reims, famose per le loro cattedrali. Il telo reca una doppia immagine, fronte e retro, di un cadavere nudo, rappresentato secondo i canoni e le proporzioni dell’arte gotica dell’epoca: figura rigidamente verticale, gambe e piedi paralleli, tratti del viso più caratterizzati di quelli del corpo. La presenza di segni di ferite in perfetto accordo con il racconto evangelico della passione poteva far supporre che quella fosse un’immagine impressa dal corpo di Cristo sepolto, stranamente mai menzionata nei testi sacri, né rappresentata iconograficamente nel Primo millennio. Nel 1389 il vescovo di Troyes inviò però un memoriale al Papa, dichiarando che il telo era stato ‘artificiosamente dipinto in modo ingegnoso’, e che ‘fu provato anche dall’artefice che lo aveva dipinto che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto’. Nel 1390 Clemente VII emanò di conseguenza quattro bolle, con le quali permetteva l’ostensione ma ordinava di ‘dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario’. Alla testimonianza storica del Pontefice di allora, evidentemente diverso dai suoi successori di oggi, possiamo ormai aggiungere la conferma scientifica della datazione al radiocarbonio effettuata nel 1988 da tre laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, su incarico della diocesi di Torino e del Vaticano: la data di confezione della tela si situa tra il 1260 e il 1390, e l’immagine non può dunque essere anteriore. Stabilito che la Sindone è un artefatto, rimane da scoprire come sia stata confezionata. L’immagine è indelebile, essendo sopravvissuta sia a ripetute immersioni in olio bollente e liscivia effettuate nel 1503 in occasione di un incontro tra l’arciduca Filippo il Bello con Margherita d’Austria, sia al calore di un incendio del 1532, che la danneggiò in più punti. Inoltre, è negativa (le parti in rilievo sono scure, quelle rientranti chiare), unidirezionale (il colore non è spalmato), tridimensionale (l’intensità dipende dalla distanza tra la tela e la parte rappresentata), e ottenuta per disidratazione e ossidazione delle fibre. Siamo dunque di fronte non a una pittura ma a un’impronta, che certo non può essere stata lasciata da un cadavere. Dal punto di vista anatomico, infatti, le immagini frontale e dorsale non hanno la stessa lunghezza (differiscono di quattro centimetri), ma hanno la stessa intensità, benché il peso avrebbe dovuto essere tutto scaricato sul retro. L’avambraccio destro è più lungo del sinistro. Le braccia sono piegate, ma le mani ricoprono il pube, il che richiederebbe una tensione delle braccia o una legatura delle mani. Le dita sono sproporzionate, e l’indice e il medio sono uguali. Posteriormente si vede l’impronta del piede destro, benché le gambe siano allungate. Dal punto di vista geometrico, l’impronta stereografica lasciata da un corpo o da una statua sarebbe distorta e deformata, soprattutto nella faccia: esattamente come accade per la famosa maschera di Agamennone, che è distorta proprio perché aderiva al volto del defunto, e contrasta apertamente con la raffigurazione veristica della Sindone. Solo un bassorilievo di poca profondità può lasciare un’impronta simile.[...]“
dicembre 2010
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