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La strada dei romanzi
Mario Amato
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Non c’è il mio nome sulla strada dei romanzi, eppure fu mia l’idea. No! Io non ho mai scritto un romanzo, una poesia, un racconto, sono soltanto un lettore.
Esistono tante strade al mondo con nomi fascinosi: la Romantische Strasse, dove si possono ammirare castelli nati dal sogno di un re dichiarato pazzo, la strada del vino, ai cui lati si possono ammirare dolci colline ricche di vigneti, dai cui pampini in settembre e in ottobre pendono gravi grappoli d’uva, pronti ad essere colti da uomini e donne che cantano con gioia canzoni popolari, la strada della birra, bevanda per alcuni barbara, ma del vino più antica e che nella lontana Mesopotamia veniva offerta agli Dei.
I viandanti conoscono il fascino della strada, soprattutto delle strade che per la prima volta si presentano ai loro occhi. Questo racconto è un invito per loro, particolarmente per quelli che sono usi ad avere nella sacca da viaggio un taccuino su cui incidere impressioni o poesie, e qualche libro da aprire allorché siedono a riposare.
Nella strada dei romanzi che percorriamo ancora con la memoria, essi, i viandanti, potranno trovare ristoro per le membra e pace per l’anima.
La percorrevo molto tempo fa, quando giovane viandante anch’io, mi fermavo trovando occasionali lavori. Avevo trovato impiego come cameriere nell’unica osteria che c’era, situata alla frontiera fra tre nazioni. Mi piaceva l’odore forte della cipolla e dell’aglio, della birra e del vino, il mescolarsi degli idiomi, le storie che narravano di contrabbandieri e avventurieri. Era, come si dice, un porto di mare.
Nella borsa o nel cestino della mia nera bicicletta non mancava mai un libro. In quel periodo, nelle lunghe notti invernali, aprivo “Moby Dick” e mi avventuravo con Capiatn Achab ed Ismaele per mari lontani.
Una sera l’oste mi ordinò di andare a scaricare la merce appena giunta: erano pesanti barili di rhum. Avrei preferito attendere al mio solito lavoro ai tavoli, perché i barili erano alquanto pesanti. Fu forse la gravezza dei recipienti che mi spinse ancora in alto mare sulla famosa baleniera. La fantasia può alleviare la fatica; mentre trasportavo quel carico, giungeva fioca la luce dalla locanda e la porta mi apparve spoglia priva com’era d’insegna. Il nome della locanda dove alloggiò Ismaele a Bedfor ha grande importanza nel libro (1) . Tutti i nomi forse hanno importanza
Era già l’alba quando terminai di scaricare, ma non andai a riposare, come avrei dovuto fare; mi recai invece nella legnaia e cercai una tavola di legno ed uno scalpello: intagliai su di essa una baleniera ed incisi il nome “Moby Dick”. Il padrone, nonostante non avesse mai letto il libro - o forse non avesse mai letto un libro-, accettò di buon grado l’idea di dare un nome alla sua locanda, anche perché gli narrai per sommi capi la storia. “Sì” disse “hai ragione. Un’osteria è un porto di mare”. Non solo! A poco a poco cominciò a procurarsi quadri raffiguranti navi, mari, balene e adattò il menù al tema. Credete che mi abbia ringraziato? Dopo qualche mese, quando la taverna aveva acquistato una certa fama, senza alcuna ragione mi licenziò. Non fui certo contento, ma come tutti coloro che vivono alla giornata, senza preoccuparsi troppo del domani, ero abituato a trovarmi per strada senza prospettive.
Avevo con me i miei libri; seduto su una panchina non pensavo all’ingratitudine dell’oste né al futuro. Misi una mano nella sacca e tirai fuori un volume a caso. Era “Il Canto dei Nibelunghi”. Iniziai a leggere e grazie a questa dote – o forse è una maledizione – della fantasia iniziai a vedere dinanzi a me la bella Crimilde e la terribile Brunilde, Sigfrido che uccide il drago e si bagna con il suo sangue. Il poema è soprattutto una storia di vendetta.
Mi salì allora da recessi profondi della mia anima un sentimento sconosciuto: l’oste, l’ingrato, nella mia immaginazione si trasformò nell’infido Hagen, artefice dell’inganno che conduce alla morte Sigfrido. Lasciarmi in mezzo alla strada con qualche spicciolo in tasca! Come vendicarmi? Quale poteva essere la punizione per l’irriconoscenza?
Mi incamminai alla ricerca di un altro lavoro. Lo trovai lontano da quel luogo, ma ben deciso a tornarvi.
Lavorai in molte città e fui attento a non spendere molto. Misi da parte qualche soldo e finalmente feci ritorno alla strada da cui ero stato scacciato.
L’osteria “Moby Dick” era ancora là.
Entrai, questa volta come cliente: il menù si era arricchito, soprattutto per quel che riguardava il rhum: ve ne erano di tutti i tipi provenienti da tutti i luoghi di produzione ed i piatti avevano nomi che ricordavano il romanzo. Posso consigliarvi per la fine del pasto un’ottima torta a base di ricotta, cioccolato e rhum. L’oste non mi riconobbe.
C’erano alcune case in rovina nella strada; ne comprai una a poco prezzo e la riadattai chiamandola “Alla taverna dei Nibelunghi”. Naturalmente l’unica bevanda che potete trovare è la birra, ma potete scegliere tra centinaia di varietà. Non dovete temere, non è il castello di Attila, dove si consumò la crudele vendetta di Crimilde. È vero, alle pareti sono appesi quadri raffiguranti il drago, la morte di Sigfrido, il nano Alberigo ed a sera, quando qualcuno racconta un’avventura (2), quei personaggi sembrano animarsi.
L’oste si adirò molto per questa concorrenza, che a suo modo di vedere era sleale, e s’irritò ancor più allorché fu aperto, non da me, un terzo locale dall’altisonante nome “La grotta del Ciclope”, dove si può gustare idromele e un vino, che il proprietario giura essere prodotto con la stessa uva della bevanda che Ulisse fece ingurgitare con l’inganno a Polifemo.
Pian piano la strada si riempì di locande, per così dire, letterarie e se vi passate, non dimenticate che per entrare in una di loro, è necessario conoscere il libro …
NOTE
1)La locanda si chiama Coffer, parola che ha la stessa radice del termine “bara”. Ismaele, unico supestite del naufragio della baleniera Pequod, si salva aggrappandosi alla bara costruita dall’amico pellerossa Quiquec.
2)Il poema non è diviso in libri, ma in avventure.
giugno 2010
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