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Dell’educare. 83
“La scuola niente.“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Come fare e con quali strumenti di riforma sarebbe possibile trasmettere agli insegnanti la “voglia di essere interpellati come uomini?“
Viene fuori prepotentemente da questo interrogativo l’aspetto cruciale che dovrebbe essere – e non lo è sciaguratamente - alla base di un corretto e costruttivo rapporto educativo. E’ pur vera invece e molto diffusa la risposta che l’illustre Autore riporta di seguito nella Sua pregevole corrispondenza; risposta che è comunque sempre più dignitosa di chi suole affermare di dare, nell’ambito del rapporto educativo, in diretta proporzione agli emolumenti scarsi che la pubblica amministrazione elargisce agli operatori scolastici.
Trascrivo, parzialmente, lo scritto di Umberto Galimberti pubblicato sul quotidiano “la Repubblica“ del 22 di febbraio dell’anno 2000. Sembra trascorsa un’eternità da quella data; e mentre il mondo intero si sconvolge al seguito della selvaggia globalizzazione economico-finanziaria, di sconvolgente lo scenario che si apre sulla scuola del bel paese mostra la sempiterna balbuzie in fatto educativo, un disorientamento permanente che oggigiorno si materializza nel ritorno ad una uniformità esteriore, i famosissimi grembiulini, e ad un ritorno di procedure valutative mutuate dai tempi passati e che non avranno alcun effetto tra quelli sperati ed attesi e messi alla base dei finti processi innovatori. Come al solito, un non fare perché nulla abbia a cambiare, in virtù di una non decifrabile chiarezza sul ruolo e sugli aspetti di innovazione nella scuola e nella formazione in generale necessari ai tempi della globalizzazione e dell’onda lunga giovanile.
“( … ) La scuola niente. (...) E qui viene fuori l’eterno problema della nostra scuola. I professori hanno voglia di essere interpellati come uomini? So che per questo non sono pagati. Ma non credo che per questo possano sottrarsi. Entrare in una classe è attirare su di sé le aspettative, le carenze, le angosce, i buchi biografici di molti ragazzi che chiedono un mucchio di cose prima dell’insegnamento e al di là dell’insegnamento. E guai se l’insegnamento diventa la corazza per difendersi da queste domande ora mute, ora implorate, ora urlate. E qui non parlo né di istruzione né di educazione. Una distinzione che sta a cuore a quanti, tra i professori, vogliono difendersi dai rapporti umani all’insegna : - lo Stato mi paga per istruire, non per farmi carico dei problemi dei ragazzi di cui peraltro non ho competenza -. Parlare con un ragazzo non è faccenda di competenza. E’ una faccenda di sensibilità. E chi non ha questa sensibilità deve astenersi dall’insegnamento.“
giugno 2010
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