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La piccola del fiume
Mario Amato
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C’era una volta e c’è ancora un bel fiume dall’acqua pulita, che attraversava antiche città e scorreva sotto bei ponti. I bianchi cigni solcavano il fiume, i viandanti si sporgevano dai parapetti, le luci a sera tremolavano dolcemente nell’acqua.
In una di queste cittadine, vicino ad un ponte antico, una bambina tendeva la sua piccola mano nella speranza di poter avere pochi spiccioli. Indossava una gonna lisa, una camicia che una volta forse era bianca e una giacca con molti rattoppi. Aveva lunghi capelli biondi, sporchi, e occhi scuri, che non conoscevano il pianto.
Da quanto tempo chiedesse l’elemosina non si può dire, ma a lei pareva di averlo sempre fatto. Sapeva riconoscere al primo sguardo chi sarebbe stato generoso, chi le avrebbe dato poco e chi niente. Da dove venisse, dove fosse nata, quale fosse la sua patria non avrebbe potuto dirlo neanche lei. Non aveva una casa, ma solo uno scatolone sotto il ponte, dove dormiva la notte.
Non era la prima cittadina in cui ella svolgeva la sua miseranda attività, ma non ricordava i nomi dei luoghi dove era stata, né sapeva chi fossero i suoi genitori. Solo a volte, mentre dormiva, raggomitolata sotto coperte e giornali raccattati da qualche parte, sognava di un bel viso di donna vicino al suo, sorridente, dolce, che infondeva fiducia e serenità.
Non era la sola abitante sotto il ponte; c’erano altri mendicanti, barboni, ma erano per lo più di passaggio.
Nonostante la tenera età, forse sette o otto anni, aveva conosciuto molte città, molti fiumi e ponti. A lei sembrava che la sua vita fosse legata al fiume. Al mattino guardava i bambini ben vestiti, con la giacca blu e i calzoni beige, la camicia bianca e il cravattino, i libri sotto il braccio, che andavano a scuola, accompagnati dalle madri che li lasciavano con un bacio ed una carezza sui capelli puliti. Strano a dirsi, non provava invidia, ma solo una indicibile nostalgia per qualcuno o qualcosa che non avrebbe saputo definire. Anch’ella sapeva leggere, ma non avrebbe saputo dire come e dove avesse imparato.
Al mattino respirava a pieni polmoni l’odore dei dolci proveniente dalle caffetterie. Una volta il proprietario della pasticceria vicino al fiume le aveva regalato una fetta di crostata di marmellata di amarene; ella l’aveva mangiata lentamente e le era parso di vedere ancora quel volto di donna dei suoi sogni.
Gli altri vagabondi la rispettavano. Ella non si lamentava della sua vita: guardava i cigni giocare nell’acqua, seguiva con lo sguardo le scie che le barche lasciavano, osservava il riflesso delle stelle tremolare nel fiume. Erano questi i giochi di Marta, la piccola del fiume, come la chiamavano i suoi compagni di sventura.
A volte, Marta andava fuori città e pazientemente raccoglieva fiori nei campi, ne faceva molti mazzetti e cercava di venderli nei locali: sapeva che nei ristoranti eleganti del centro sarebbe stata scacciata, ma anche le taverne erano frequentate da persone che non sono abituate a regalare fiori.
Ogni tanto il pasticciere, quello che le aveva dato la fetta di torta, comprava qualche mazzetto e lo disponeva sui tavoli.
Così trascorrevano i giorni.
Giungeva la notte, fredda e solitaria. Marta si infilava sotto le squallide coperte; per guanciale aveva una cesta. Non ricordava dove avesse preso quell’insolito cuscino, ma a lei era caro, come sono cari ai bambini i giocattoli.
Durante l’estate era facile riposare, ma nelle altre stagioni il freddo entrava nelle piccole ossa della bambina.
Avvenne una sera d’inverno.
Era quella una stagione particolarmente fredda; la neve dava gioia ai bambini, ma non a Marta. Là, sotto il ponte, accoccolata sotto i panni e i giornali, ella batteva i denti, si fregava le mani nude e solo a notte fonda riusciva ad addormentarsi.
Il dolce viso di donna le venne in sogno, la teneva stretta a sé e la carezzava sulla guancia. Marta aprì gli occhi, ma non era stata una carezza a destarla, bensì una forte folata di vento; udì un boato, guardò il cielo, ma non era un tuono; prima che potesse accorgersene un’onda enorme la sommerse e poi la risucchiò nel fiume. Per qualche strana ragione, Marta afferrò la cesta. Ora la corrente la trasportava lontano dal ponte, dalla sua casa. La cesta galleggiava ed ella muovendo i piedi si faceva guidare da quello che per tanto tempo era stato il suo cuscino, tenendolo con ambedue le mani.
Qualche vagabondo aveva visto la scena e si era tuffato nel fiume, ma non era riuscito a raggiungerla. La piccola non gridava, ma guardava ora verso la sponda destra, ora verso la sponda sinistra, che apparivano lontano.
Il flusso dell’acqua non era veloce, ma a poco a poco le luci scomparvero dalle rive; il vento era cessato e nel cielo erano apparse stelle, piccoli puntini gialli nel silenzio, rotto soltanto dal mormorio dell’acqua.
Marta, forse per stanchezza, forse per l’incoscienza o la forza che hanno i bambini, s’addormentò.
E sognò.
Ora il viso della donna era più nitido e poteva anche udire la voce, un canto melodioso ma lontano.
Quando Marta si rese conto di avere gli occhi aperti e di non star sognando, trasalì; si guardò intorno; giaceva sotto soffici lenzuola e calde coperte, la donna la carezzava sulla fronte e le diceva «Figlia mia, ti ho ritrovato». La bambina dubitò ancora di trovarsi in un sogno, la donna prese un vassoio dal comodino e porse a Marta una tazza di latte caldo ed una fetta di crostata di amarene. “Se sto sognando” pensò la piccola, mentre addentava il dolce “è veramente un bel sogno. Se non sto sognando, questa deve essere la moglie del pasticciere. Forse il fiume non mi ha portato molto lontano”. «Dove sono?» «Sei a casa, a casa tua, Marta» «A casa? Sono sotto il ponte? È un sogno?» «No. L’acqua ti aveva rubato, l’acqua ti ha riportato nella tua casa».
Gli occhi della bambina erano spalancati; ora comprendeva di non essere in un sogno.
«Anni fa» iniziò a raccontare la donna «quando eri ancora molto piccola, quando andavo a lavare i panni al fiume, ti posavo in una cesta, dove sul fondo avevo scritto il tuo nome. Deposi la cesta troppo vicino al fiume; ero molto stanca quella volta e mi addormentai. Quando mi svegliai vidi la cesta lontana, in mezzo al fiume. Ho pianto tanto, stamattina, come ogni mattina, sono andata al fiume per pregare e l’acqua ti ha riportato a me».
Marta va spesso in riva al fiume e gioca con i bianchi cigni, che certo conoscono la sua storia.
aprile 2010
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