|
Il linguaggio nei soggetti down ed ipoacusici
Silvestro Livolsi
|
I soggetti down
Il mongolismo o sindrome di Down, dal neurologo che la studiò Down J.K.M., è una sindrome congenita ed ha origine in una alterazione cromosomic : nella costellazione genetica dei Down compare un cromosoma in più nella coppia 21.
Alla sindrome di Down è sempre legato un danno intellettivo.
Ma l'insufficienza mentale dei Down è molto differenziata nelle accezioni individuali e la si può ascrivere a tre categorie di ritardo: grave, medio, lieve. Quella lieve sarebbe più consistente come caratteristica generale della patologia.
In Italia i soggetti Down sono circa 200.000, uno ogni 600/700 bambini nati, e costituirebbero il 10% circa degli handicappati mentali.
La sindrome, che può avere un decorso notevolmente migliore per il trattamento precoce sia medico-farmacologico che psico-diagnostico, non si può tuttavia arrestare al suo progredire.
Studi sull'età materna e quella paterna danno come dati un'alta possibilità di procreare Down, proporzionalmente all'età avanzata della coppia.
Probabilmente fattori tossici di vario genere, inerenti alla madre o al padre, dovuti a morbilità o senescenza del sistema riproduttivo endocrino, possono influire in maniera rilevante nel determinare la patologia Down.
Un ruolo, pare però poco rilevante, possono avere i fattori ereditari.
Il ritardo motorio nella assunzione della posizione eretta, nella deambulazione e nella scarsa capacità di coordinazione, condiziona lo sviluppo intellettivo. Prove di Q.I. ed altri test danno punteggi molto bassi.
Lo sviluppo linguistico, data la dinamica dei processi nervosi notevolmente disturbati, il tono piuttosto debole, si presenta in forme stereotipate, immaturo nelle capacità logico-percettive, nella simbolizzazione e nel legame concettuale tra le varie unità linguistiche. Anche in considerazione dell'alterazione dell'area di Broca, che sottintende le funzioni linguistiche, e della diminuita attività dei circuiti di riverberazione (attivati da eventi sensoriali servono a innescare la memoria immediata) che determina la lentezza nell'acquisizione.
I soggetti ipoacusici
L'ipoacusia si caratterizza, nel quadro dei deficit, come diminuzione della capacità uditiva. È caratterizzata da una soglia uditiva tra i 90 e i 20 decibel.
A seconda dell'entità del deficit può essere divisa in diverse categorie.
Il Bureau Internetional d'Audio Phonologia ne ha definito quattro: i soggetti con soglia uditiva da 0 a 20 decibel, udito normale; i soggetti con soglia uditiva da 20 a 40 decibel, un deficit lieve; quelli tra 40 e 60 decibel, un deficit medio; tra 60 e 90 db, una menomazione grave: solo la voce emessa a forte intensità viene percepita; oltre i 50 db, sordità profonda: incapacità di percepire le parole.
Oltre che dalle misure del deficit, le ipoacusie vengono classificate in base alle noxee patogene : genetiche, prenatali, neonatali o postnatali.
La classificazione più abituale distingue la ipoacusie in:
1) ipoacusie di trasmissione; lesioni di qualsiasi tipo dell'apparato di trasmissione dei suoni, dovute a malattie congenite o acquisite;
2) ipoacusie neuro-sensoriali: lesioni della via acustica principale (recettore cocleare), può essere ereditaria, congenita da embropatie o fetopatie, o acquisita per infezioni (meningiti, parotiti, morbillo), effetti traumatici, tossici, neoplastici;
3) ipoacusie miste, di trasmissione e neuro-sensoriali, piutosto rare.
Le ipoacusie sono rilevabili mediante test audiometrici che possono fare emergere delle deficienze uditive già al quarto mese di vita del neonato.Ma una misurazione perfettamente valida che tenga conto della perfetta decifrabilità della risposta e della collaborazione dell'esaminato, può essere effettuato solo a 6 anni circa.
La difficoltà di utilizzare e comprendere correttamente il messaggio verbale, può determinare una non perfetta integrità funzionale di vie nervose differenti da quelle proprie della via uditiva, che può rendere i soggetti ipoacusici handicappati complessi. Mentre 'normalmente' un deficit uditivo implica solamente problemi a livello di acquisizione e produzione del linguaggio per la mancata integrazione della capacità recettiva con quella espressiva.
Sul web una proposta metodologica di screening prescolare sull'udito e sul linguaggio è all'indirizzo http://areas.it/ehc/v2n6/art3.htm
Condizioni sociali
L'atteggiamento discriminante ed emarginatorio nei confronti dei portatori di handicap con la conseguente estraniazione dagli ambienti lavorativi , educativi e ricreativi dove si svolge la vita associata, influisce notevolmente nella possibilità di costruire rapporti interpersonali, di stringere legami significativi e di acquisire a contatto con gli altri una nuova immagine di se stessi.
Questa stigmatizzazione, porta molte volte come conseguenza diretta alla reclusione in istituti speciali dove si consunma una separatezza dalla società e dal tempo: 'nel chiuso delle istituzioni il tempo assume l'aspetto di una circolarità senza storia, nella quale si ripetono gesti ed espressioni eternamente uguali e che assumono quindi l'aspetto di rituali sottratti all'azione modificatrice del tempo sociale'.
Diverso è l'atteggiamento a seconda della comunità di appartenenza del soggetto con handicap.
In genere le aree meno sviluppate e rurali hanno un atteggiamento più tollerante e integrativo rispetto a quelle più industrializzate. Notevole è il ruolo della famiglia nel determinare il decorso e la posizione del soggetto in tale contesto, e nell'attività di recupero e integrazione sociale. Reinserimento sociale che deve passare attraverso la integrazione nella collettività: l'uscita nel territorio, che ha un valore terapeutico, essendo in grado di realizzare modifiche comportamentali, e la modifica della cultura del territorio rispetto al soggetto in difficoltà; la disponibilità della società ad accoglierlo come membro effettivo e a riconoscergli il diritto di mostrare la propria sofferenza in pubblico.
Notevole il ruolo delle dinamiche familiari, di rapporto e sostegno nel suo viluppo e della relazione tra la madre e il bambino con handicap: della sua capacità di aiutarlo a superare l'immagine negativa di sé, non instaurando rapporti di dipendenza, favorendo l'autonomia nel muoversi in uno spazio che non sia solo quello domestico e la possibilità di avere altre relazioni oltre quelle familiari. Cosa molto importante è che l'inserimento nella scuola, nel lavoro, nelle strutture socio-assistenziali del bambino con handicap, laddove è attuato, perché sostenuto peraltro da forti richieste di cambiamento, si trasformi in integrazione effettiva e non dia vita a nuove forme di emarginazione e isolamento.
Down e linguaggio
Lennenberg nei 'Fondamenti biologici del linguaggio' afferma che lo sviluppo linguistico anche nelle forme di ritardo mentale, segue il modello generale dei soggetti normali, ma è molto più rallentato e destinato ad arrestarsi nella pubertà.
Aveva già analizzato assieme a Nichols e Rosemberg le espressioni verbali spontanee, le prove di ripetizione di frasi e l'ampiezza del vocabolario usato da 61 soggetti Down, osservati in un periodo di tre anni, facendo rilevare come era erroneo parlare di 'strategie' diverse nell'acquisizione del linguaggio.
Lo sviluppo linguistico avviene in maniera simile per quanto riguarda l'estensione della capacità di attribuire nomi, l'ampiezza del vocabolario, la qualità della comprensione, tranne che per l'incapacità di articolazione, dovuta secondo Lennenberg non ad anomalie delle fauci o della lingua, ma alla mancanza di motivazione.
Lo stesso Lennenberg sottopose bambini Down ad un test di articolazione dimostrando che da un punto di vista organico non avevano nessuna seria difficoltà, mentre sembrava non avere per loro nessuna importanza l'esatta riproduzione acustica delle espressioni. La prestazione dei bambini da 24 a 30 mesi nella ripetizione di frasi e di Down della stessa età mentale davano risultati molto simili. Concludeva Lennenberg che la menomazione intellettuale non fa sorgere un comportamento linguistico analogo; produce semplicemente un arresto a stadi di sviluppo primitivi ma 'normali'.
Mein e O'Connor, partono pure loro dalla convinzione che la logica dello sviluppo linguistico dei subnormali è simile a quella dei normali. Infatti analizzando il vocabolario posseduto da soggetti subnormali (che può essere addirittura più ampio: mentre i bambini normali all'età di 5-6 anni possiedono da 56 a 578 parole, in media 273, i soggetti con ritardo di età mentale tra i 3-7 anni possiedono tra 106 e 677 parole, in media 359, ma sono parole molto stereotipate, comuni nel loro uso) riscontrarono che comune è la conoscenza dei significati delle parole, e delle relazioni semantiche, e corretto il loro uso.
Studi successivi, come quello di Lackmer, che analizzò campioni di linguaggio da bambini ritardati e normali, in età tra 2,8 e 8 anni, affermano che le regole usate da bambini ritardati sono le stesse di quelle utilizzate dagli adulti e che la grammatica diventa più complessa man mano che cresce l'età mentale.
Evans e Hampson, nella loro ricerca sul linguaggio dei down, concludono che non vi è alcuna relazione significativa tra sindrome di down e patologia del linguaggio.
Un'ipotesi divers , e cioè quella dello sviluppo deviante del linguaggio del soggetto down è stata avanzata sin dagli studi di Blancard, che anzi ne evidenziò il carattere disturbato e deviante maggiore che in altre categorie eziologiche di ritardo. È per i down più facile riprodurre suoni non significativi piuttosto che discorsi esattamente strutturati. Altri ancora hanno avvalorato questa ipotesi. Curtin e Jamada studiarono in maniera particolareggiata una bambina di nove anni che trovarono nel linguaggio sia deviante che ritardato; Castelan-Poour e Poour J.C. sottoposero soggetti down a compiti di riproduzione di enunciati a struttura sintattica complessa e osservarono notevoli alterazioni e omissioni al di là delle semplici strutture conosciute. Vi è da dire che dallo scritto di Lee e Canter veniva elaborata la teoria del linguaggio deviante, riferita non esclusivamente ai down, ma a categorie molto più vaste. Lee e Canter elaborarono un apposito metodo, quello dello 'sviluppo delle sentenze tipo'. Metodo che sostiene Leonard in 'What is deviant language', dove peraltro fa un vasto e dettagliato esame di tutta la letteratura che darà sviluppo a questa idea (Meynuck, Adams, Moresead, Higram), 'è del tutto possibile possa fornire i primi effettivi mezzi di distinzione tra linguaggio deviante, per il quale viene richiesto un trattamento, e linguaggio in ritardo, che può non richiedere un'attenzione clinica'. Rifacendosi alla grammatica generativa di Chomsky, secondo cui la lunghezza, la complessità e la correttezza grammaticale giungono a completa formazione verso i cinque anni, e agli studi di Brown e Bellugi, che sostengono che nel bambino lo sviluppo di vere e proprie regole linguistiche avviene in successioni fisse, uguali per tutti, il deviante differirebbe dal 'meno precoce' o ritardato nel linguaggio per l'uso nettamente ristretto o povero rispetto alla struttura della frase, allo sviluppo e alla morfologia e nell'uso altamente frequente di forme come singoli enunciati verbali, o doppie costruzioni verbo+particella, o altre forme stereotipate nelle doppie costruzioni soggetto-oggetto, soggetto-verbo, verbo e oggetto. Evidentemente, però, questo modo di distinguere il linguaggio deviante da quello normal , tiene conto dello sviluppo della grammatica, accettando pienamente il modello di Chomsky. Quindi il 'deviante', lo sarebbe rispetto allo sviluppo postulato della teoria, come ha osservato L.Bloom in un commento al metodo di Lee e Canter.
Un più recente studio di Baltaxe, per ritornare più specificatamente ai down, fornisce ulteriori prove a favore dello sviluppo linguistico deviante. Baltaxe utilizza il 'computo dei morfemi grammaticali', un indice inglese di sviluppo del linguaggio elaborato da Brown e De Villiers, che permette di analizzare il livello di sviluppo grammaticale in base alla comparsa di ogni morfema, e analizza l'MLU (la lunghezza media dell'enunciato) in 250 enunciati estratti da conversazione libera. Nei risultati del confronto tra quattro soggetti down, tra i 22 e 25 anni, e 4 normali da 2,5 a 3 anni, non esistono correlazioni tali da far pensare ad un ritardo o arresto ad una fase precoce, ma ad alti livelli di irregolarità nella applicazione della grammatica.
Dalla rassegna di studi qui riportata, appare evidente l'alto livello di anomalia nella strutturazione linguistica: dalla articolazione fonetica, alla limitatezza del vocabolario, alla disorganizzazione sintattica. Il livello linguistico appare come sempre molto inferiore al livello intellettivo e maturativo globale.
L'origine di queste deficienze verbali non può non essere ricondotta alle notevoli disfunzioni sensorie, ridotte capacità di feed-back logico-percettive, scarsa integrazione tra informazioni e risposta, nonché alla rigidità della struttura psichica. Va ricondotto come nota Cook N.L. ai processi logico-cognitivi e spazio-temporali carenti nei down, che condizionano l'integrazione sintattica e la comprensione di semantemi astratti.
Ipoacusici e linguaggio
L'emissione sonora è frutto di un precedente processo che passa per la decodifica del messaggio verbale, nella sua caratteristica di informazione e non solo di elemento acustico. Produrre linguaggio è saper collegare una diminuzione acustica, depositata in memoria e posta in relazione con una determinata esperienza, con l'immagine motoria relativa al segnale che dovrà essere emesso. È evidente come in caso di deficit uditivo, essendo impedita una perfetta percezione, diventa difficile il consolidamento delle impressioni acustiche e, quindi, una adeguata emissione sonora.
Pisani ha studiato in maniera molto particolareggiata da un punto di vista fonetico come nella ipoacusie, producendosi notevoli disturbi di ricezione, questi si traducano in disturbi fonetici nell'emissione.
Bouton afferma che non vi è differenza nel linguaggio pre-linguistico dei bambini sordi e di quelli normali. Il grido e la lallazione sono entrambi presenti fino a circa sei mesi d'età in entrambi i casi. Anzi è proprio la perdita della lallazione, non seguita dalle emissioni verbali successive, che preannunzia la presenza di eventuali disturbi uditivi. Gli aspetti cognitivi di questa prima fase sembrano avere per il bambino ipoacusico una componente meno concettuale e più affettiva. Occorre, dice Bouton, per evitare il mutismo possibile, educare precocemente alla strutturazione del linguaggio. Un adeguato aiuto alla educazione linguistica, specialmente nelle prime fasi e nei soggetti con danni uditivi irreversibili, può darlo l'uso di protesi che amplificano i suoni rendendoli percepibili. Attualmente le medesime protesi, grazie allo sviluppo dell'elettronica, hanno raggiunto un livello molto buono nell'amplificazione e qualità dei suoni filtrati e nella miniaturizzazione, consentendo una applicazione piuttosto agevole. Sul tipo di rieducazione, vi è stato un dibattito nel periodo in cui era dominante quella basata sulla gestualità. Ipotizzata da Bates e Facchini, che hanno condotto ricerche sul metodo americano per l' acquisizione dei segni (ASL), viene attualmente considerata importante ma ritenuta limitativa dai fautori della rieducazione 'oralista' sia quantitativamente (per quanto riguarda il numero degli interlocutori evidentemente ristretto) che qualitativamente (per i contenuti che possono essere comunicati). Mentre il metodo verbotonale di Guberina può essere un tentativo di conciliare la rieducazione verbale, attraverso l'uso di speciali apparecchiature atte a rinforzare e perfezionare l'emissione dei suoni, e a integrare nel contesto comunicazionale più vasto dell'intero corpo, mediante la gestualità, la drammatizzazione, i ritmi corporei e musicali.
Anche per il linguaggio degli ipoacusici si sono poste diverse posizioni rispetto al problema della formazione deviante o ritardata nell'acquisizione.
Lennenberg, sempre nei 'Fondamenti biologici del linguaggio', osservava che, nonostante questa grande menomazione uditiva, si riesce a sviluppare buone capacità linguistiche, anche se non perfettamente complete, variando queste, in ordine ai fattori di gravità, alle cause della menomazione, dell'adattamento del bambino all'ambiente, soprattutto scolastico.
Le carenze del deficit uditivo nella produzione del linguaggio influiscono in questa mancanza di input, di dati capaci di stimolare la sintesi linguistica. Ma la compromissione della capacità uditiva non comporta il danno alla capacità di acquisizione del linguaggio. L'insuccesso del bambino con deficit uditivo è frutto di una non precoce stimolazione, di una mancanza di uso scritto del linguaggio, di una incomprensione da parte degli educatori (che pretenderebbero di insegnare un linguaggio grammaticale -frasi,sostantivi,verbi- in un linguaggio ancora non posseduto). Casi sperimentali, citati da Lennenberg, dimostrano come l'acquisizione del linguaggio sia possibile in soggetti con questo deficit. Le riflessioni di Lennenberg, vengono da una concezione del linguaggio come 'strategia naturale per l'apprendimento', biologicamente innata, che matura secondo leggi e stadi regolari, che nei soggetti con ritardo mentale o deficit uditivo non dà origine ad un uso inconsueto del linguaggio, ma semplicemente a stadi primitivi del linguaggio, 'congelati' ma 'normali'. I sordi svilupperebbero strutture linguistiche normali se avessero la stessa possibilità dei normali di estrarre i principi strutturali in base ai quali si formano le frasi, semplicemente udendo un gran numero di frasi grammaticali. Principi strutturali, dice Lennenberg citando Chomsky, dei quali non sappiamo come si formano, ma ne abbiamo competenza. Mediante i quali siamo capaci di eseguire forme parlate e scritte in maniera grammaticalmente corretta.
Quigliey, Wiber ed altri, che non evidenziano differenze significative tra sordi e ipoacusici, nell'analisi di campioni di linguaggio, affermano che le strutture sintattiche si sviluppano similmente per i bambini sordi e gli udenti, ma ad un ritmo molto più ritardato. Vi è la presenza di strutture sintattiche differenti usate dai sordi, ma nessuna di queste strutture è comune a tutti i soggetti e le più frequenti sono usate da meno del 50%. Ma uno studio recente di Cromer sembra contraddire questa ipotesi. Analizzando la sintassi di bambini con deficit uditivo, notò che erano in grado di scrivere e recepire frasi grammaticali, ma usavano procedimenti particolari. Non riuscivano a formulare frasi in cui la sequenza soggetto-verbo-complemento oggetto veniva capovolta nel suo ordine. Non recepivano cioè la struttura gerarchica del linguaggio e, pur riconoscendo i rapporti tra gli elementi della frase, non riuscivano a recepire una più profonda relazione per le parole all'interno della frase stessa. Croner ne deduceva che la comprensione di questi soggetti con problemi uditivi è evidentemente deviante e non simile a quella dei bambini normali di età inferiore.
Una scheda sulla diagnosi dei ritardi linguistici è presente all'indirizzo http://www.mediando.com
Le suddette note, lungi dal voler essere esaustive sull'argomento, hanno il valore di indicazione di ricerche e studi sul problema della divulgazione di una adeguata conoscenza della formazione, della configurazione del lessico infantile, della strutturazione sintattica e delle grammatica, per i risvolti pratici, educativi e rieducativi che questa conoscenza comporta.
"Da una adeguata conoscenza della formazione e della configurazione del lessico infantile e del suo incremento in età prescolastica si potrebbero trarre conseguenze di notevole importanza per quanto riguarda l'orientamento da dare all'esercizio lessicale nei primi anni della scuola, e anche più tardi" scrive la Francescato; così come una conoscenza della formazione e configurazione sintattica, è in grado di evidenziare quali carenze e ritardi, in quali aree e con quale evoluzione decorrono, e permettere un intervento specifico, costruttivo, in grado di incanalare uno sviluppo linguistico regolare, atto alla piena formazione di quella 'competenza sociolinguistica', caratterizzata dalla capacità di saper usare stili diversi di linguaggio, di sapere cosa dire, quando e come. E se ciò è vero e auspicabile per i bambini normali, diventa invece necessario per i bambini con handicap.
giugno 2002
|