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Progetto "neobarbiana"
dall'esperienza del Didaweb
Antonio Limonciello
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Era il 1997, quando volevo chiamare "Neobarbiana" un movimento per la scuola in rete. Scrissi una bozza di manifesto e la distribuii ad alcuni indirizzi che pensavo potessero diventare promotori dell'iniziativa: erano singole persone e siti che animavano la scuola in
rete in quel periodo.
Perché quel nome e perché la rete?
Perché Barbiana rappresentava dei valori e una pratica che potevano e dovevano essere riproposti anche in rete. La rete da utilizzare come strumento che contribuisce a soddisfare il diritto all'informazione, alla formazione permanente, all'espressione e alla cultura di tutti i cittadini. Quindi diritto di accesso gratuito a tutte le fonti, a tutti gli strumenti, diritto a divulgare il proprio pensiero, la propria creatività senza limiti economici, di spazio e di tempo.
Proponevo allora di unire tutti i soggetti che condividevano questi principi, costruire una rete di servizi che si integravano anziché farsi concorrenza, che si alleavano anziché sottrarsi spazi virtuali come territorio da colonizzare. Il movimento si sarebbe battuto per allargare i diritti della persona, realizzare una rete spazio aperto, favorire la diffusione degli strumenti atti a rendere l'accesso sul territorio possibile a tutti.
Successivamente, come diretta conseguenza di queste idee e del rifiuto degli altri soggetti ad unirsi in questo progettato movimento, nacque la comunità del Didaweb intesa come insieme delle liste. Non fu una rinuncia, ma solo un approccio diverso, infatti la comunità doveva essere solo il motore per realizzare servizi scolastici integrati fino a diventare una scuola che avesse le stesse finalità di Barbiana, anche se agiva con strumenti diversi per affrontare emarginazioni diverse.
Ora a 5 anni di distanza forse si può aprire una riflessione sul perché questo non è avvenuto, perché il Didaweb è diventato una realtà della scuola in rete, ma non è stato capace di realizzare un'integrazione di servizi erogati da soggetti diversi.
Perché ognuno ha preferito coltivare il proprio piccolo orticello, o ancora collocarsi sotto la protezione di un potente provider , oppure di un grande editore?
Perché uno strumento tecnologico resta solo uno strumento tecnologico, e sono gli uomini che lo usano che assegnano la vera funzione ad esso, è la prima cosa che mi viene in mente.
Si potrebbe obiettare, poi, che su internet ci arrivano ceti privilegiati non certo gli esclusi, ceti che non hanno bisogno di una vera solidarietà, persone che credono molto in sé, insomma persone che possono pure credere nel principio della pari opportunità, che sono anche solidali, ma come convinzione ideologica, non certo per bisogno reale. Qui spesso l'unico bisogno reale è quello di rappresentarsi, la rete è luogo di narcisi, a volte anche frustrati.
La rete, infine, è stata vissuta da molti come le praterie del west da conquistare, miniere d'oro da scoprire e sfruttare, insomma era molto difficile convincere i pionieri ad unirsi.
Oggi le cose sono diverse, la colonizzazione è avvenuta, gli allora paventati processi di concentrazione e di controllo delle risorse sono ampiamente in atto, molti pionieri si sono arresi, altri sono abbacchiati, altri ancora si sono ritagliati un posticino nelle istituzioni pubbliche oppure utilizzano le competenze accumulate per fornire prestazioni professionali ad istituzioni private in cambio di compensi economici, insomma molti si sono resi conto a proprie spese che alla tavola del banchetto c'è posto per pochi, agli altri
briciole e delusioni.
Ecco, forse oggi, proprio perché le illusioni sono cadute, i tempi potrebbero essere maturi per utilizzare tante presenze/risorse in rete, per realizzare le idee di Neobarbiana.
Qualcosa di diverso, pur se minoritario, avveniva anche durante la "corsa all'oro", nel Didaweb per esempio. Qui, tra tante discussioni in buona fede, tra la stanchezza delle ripetizioni di schemi e ruoli sclerotizzati emergeranno persone che si daranno da fare per produrre servizi per gli altri, che non chiederanno nulla per sé, che si appassioneranno nel realizzare, persone che si misurano fino in fondo sulle idee in cui credono.
Il Didaweb, a me che lo coordino, da un po' di tempo appare come un luogo sospeso. È sospeso perché affaticato, contraddittorio, i protagonisti a volte si esauriscono nelle discussioni, l'utopia, che pure in tanti interventi è presente non si trasforma in forza che anima le rivoluzioni vere, cioè quelle che plasmano, realizzano piccoli fatti significativi che messi assieme cambiano il mondo.
Noi non cambieremo il mondo, possiamo però realizzare piccoli fatti significativi.
Perché limitarsi solo a discutere della scuola che è o di quella che deve essere, perché non realizzare la nostra scuola? Perché qui ed ora , in rete, nel didaweb, non creare gli strumenti che desideriamo? Ci serve un movimento? Creiamolo.
Perché non liberarci dei condizionamenti che ci siamo assegnati, tipo il valore delle cose misurato attraverso il valore economico, perché non liberarci dalle paure e fare? Perché non esporci davvero, non le semplici parole del discutere, neppure l'enunciazione di idee, ma la loro realizzazione.
Noi possiamo, possiamo molto.
Il didaweb è prova che si può, ma come dicevo è anche manifestazione dei nostri limiti, delle nostre incertezze, dei richiami forti e condizionanti che, provenienti da fuori, trovano terreno fertile nelle nostre pulsioni di essere. Questi richiami però sono solo convinzioni e come tali esse si possono creare e discreare, si può essere individui ed essere comunità, non c'è contraddizione.
Unico cemento i valori comuni e il progetto condiviso, progetto che si fonda sulla libera creatività dei singoli.
Quindi prevedere spazio e tempo per tutte le sperimentazioni possibili; saranno i risultati a indicarci il buono che si può trarre.
maggio 2002
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