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Dell’educare. 71
“… nel conto aperto con la scuola …“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Pagina straordinaria ed importante tratta dal citatissimo “Solo se interrogato” di Domenico Starnone, che la dice lunga su quel campo di battaglia qual è nel tempo divenuta la scuola pubblica del bel paese.
Ho sempre avuto modo di sostenere che nella scuola a creare i “danni” maggiori – e vorrà sembrare per l’appunto un paradosso - siano proprio quegli insegnanti “impegnati” e divenuti nel tempo simboli ed esempi concreti di vita vissuta pienamente, e della quale vita essi stessi ne abbiano dato concreta testimonianza con il loro “essere” nel lavoro scolastico quotidiano. Sembrerà un paradosso la precedente affermazione, ma è potuto accadere che siffatti insegnanti abbiano potuto “tradire” le aspettative e le ansie dei giovani in qualche occasione, occasione indipendente dalla loro diretta volontà o al più sfuggita al loro abituale controllo, ma tale occasione ha determinato nei giovani gravissime frustrazioni emotive che un insegnante meno “impegnato” non ingenera non essendo egli assurto a modello di vita, a depositario di aspettative e speranze giovanili.
Avviene spesso nella scuola che il fenomeno duale dell’essere e dell’apparire venga ad essere un tutt’uno in un insegnante “impegnato”, con grande giovamento per i giovani, fin quando quel tutt’uno non incontri, nell’alchimia della vita, imprevedibili ricombinazioni che determinano nei giovani come un dissolversi nel nulla delle loro speranze e delle loro aspettative, speranze ed aspettative istintivamente riposte in quel tale insegnante, in quei tali insegnanti. Ed è per l’appunto il “danno” maggiore che la scuola possa arrecare ai giovani per mezzo proprio dei suoi insegnanti più “impegnati”.
Dei tanti altri, forse, è meglio tacere.
“( … ) Ciò che si mette poco, nel conto aperto con la scuola, è il disagio che essa causa agli studenti quando promette cocciutamente di essere Tempio per grandi domande – l’insegnante ne è il sacerdote – e poi, di fatto, si svela solo luogo squallido di povere autoritarie risposte. Non parlo del disagio fin troppo visibile che culmina negli abbandoni, nelle bocciature, ma di quello che appare appena, in momenti di tensione subito allentati. Un ragazzo esplode in un insulto greve rivolto al suo insegnante. Un altro si assenta spesso. Un altro ancora ha una crisi incontenibile di violenza verso le cose: i libri, il banco, la sedia. Uno un giorno lascia l’aula e la scuola senza permesso. Qualcuno ti accusa di far preferenze, di rivolgerti, mentre parli, solo a quelli con cui sei in sintonia. Qualcun altro ti minaccia per posta o con scritte sui muri. A volte è l’intera scolaresca che si organizza nella protesta contro uno o più insegnanti: il rifiuto di svolgere un compito; le assenze per sottrarsi a un professore incline ai tormenti sadici; il ritardo mirato; la contestazione durante un consiglio di classe; un sit in. A volte è l’alunno ‘perbene’, di solito impegnato nella gentile pantomima della diligenza ( … ) a ferirti con una deviazione improvvisa, con uno scatto nervoso, con un brusco taglio inspiegabile all’affetto che aveva mostrato per mesi, per anni. In genere sono segnali che emergono dall’interno di quella maggioranza studentesca che alla fine ci fa dire: ma sì, tutto sommato la scuola funziona, il lavoro che faccio qualche frutto lo dà. Perciò li trascuriamo, questi segnali, li consideriamo non preoccupanti (… ) . Invece quei segnali andrebbero analizzati come le tracce di una doppiezza diffusa, tanto più allarmante quanto più è radicata non nell’area di ‘chi non ce la fa’, ma in quella che alla fin fine compie tutto il percorso formativo con relativo successo. Sono fatti minimi che, solo per quieto vivere, si fermano prima dei misfatti. Se si compissero fino in fondo, la scuola diventerebbe velocemente una questione di ordine pubblico come tante altre dei nostri tempi. ( … ) “
giugno 2009
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