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Dell’educare. 68
“Lo ammetto: mi annoio anch’io …“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Come non riconoscere nella magistrale scrittura tratta da “Fuori registro” di Domenico Starnone l’afflato proprio dell’educatore “di razza“, di colui che riempie il suo fare di un trasporto che travalica la semplice funzione dell’essere insegnante? L’afflato di un maestro, per l’appunto. Un grande maestro. Ho dedicato tanto del mio tempo agli scritti di Starnone, affascinato com’ero e come sono dalla sua scrittura e ancor di più dai contenuti suoi; rapito dalle riflessioni in essa contenute, che ho cercato poi di tradurre in comportamenti concreti all’interno delle aule scolastiche. Un tentativo, il mio, di certo non completamente riuscito. Una lettura utile comunque, di quelle che riescono a recuperare i danni pedagogici e didattici dell’occasionalità se non della pura e semplice improvvisazione che si riscontra nell’operare quotidiano degli insegnanti del bel paese. Il suo “basta“ avrà sempre ottenuto di certo l’effetto che in esso veniva e viene riposto da tutti gli insegnanti; il ricondurre la scolaresca all’attenzione ed all’impegno. Il mio “basta“ non risultava avere gli stessi effetti. Ed ora che non vivo più all’interno delle aule scolastiche ricordo come risultava poco facile riprendere in mano il bandolo del ragionamento con i ragazzi; e come essi, trascinati dai loro interessi primari che sono sempre ben distanti dall’arido mondo scolastico, incuranti, continuassero ad ignorare il mio “basta“ e quasi con il loro atteggiamento di distacco volessero comunicarmi di avere in uggia anche la mia presenza. Il più delle volte ricorrevo ad un piccolo stratagemma; dopo aver lanciato per l’aria il mio “basta“ lasciavo che essi continuassero a parlottare delle loro cose, e mi ponevo ad osservarli con uno sguardo insistente ed un silenzio che li assordava, magari a braccia conserte. Non uno strillo, non uno smanacciare la cattedra incolpevole, non uno sbatacchiare il registro o il giornale di classe accompagnando tale gesto di impotenza con un reiterato “basta“. Nulla di tutto ciò. Un osservarli fissamente ed in silenzio. Solo allora e dopo un buon pezzo, dai più prossimi fino a quelli che occupavano gli ultimi banchi dell’aula, vedevo sollevarsi ed indirizzarsi a me lo sguardo loro sorpreso e direi quasi confuso. Solevo allora rampognarli in un modo singolare. Facevo loro credere di sentirmi “maltrattato“ dal loro ingenuo comportamento, del quale mi dolevo tantissimo. E poi, cogliendo la sorpresa nei loro sguardi interroganti e quando percepivo che essi fossero già pronti alla mia inevitabile reazione, che tardava a venire con loro grande imbarazzo, ma che loro sentivano aleggiare minacciosa nell’aria, solo allora profferivo pressappoco queste parole, immancabili: - Continuate pure ad essere scortesi nei miei confronti. Io giammai vi ricambierò con la scortesia, ché mi parrebbe di divenire un bruto. Ecco, io non voglio abbrutirmi come voi! -. Assicuro, che l’effetto su quelle giovanissime coscienze era enorme e come tale sortiva l’effetto del “basta“ starnoniano. Un esempio di occasionalità pedagogica; che non raggiungerà giammai la raffinatezza delle occasionalità rinvenute nella straordinaria scrittura del celeberrimo Autore. Un tesoro che ho raccolto e di cui mi sono servito copiosamente nella mia attività di educatore al fine di evitare la noiosità, la ripetitività e il morire pedagogico del fare scuola. Un rischio da non correre.
“( … ) Lo ammetto: mi annoio anch’io (…) . Ma, invecchiando, sono diventato insofferente con gli adulti e più paziente coi ragazzi. Ormai so che niente cambierà: seguiterò a insegnare saperi senza redenzione, raggi della cattiva stella, badando a non fare troppo male ai miei allievi. E mi meraviglio che gli altri insegnanti possano distribuire i segni delle loro discipline con meccanica superficialità e culto rigoristico della funzione. ( … ) Li faccio ridere, a crepapelle: per un po’ sono il loro buffone. Mi piacciono quando ridono: hanno denti ancora sani, risate limpide; sembrano d’animo buono e destinati alla felicità. Poi dico bruscamente : “Basta”. E’ un segnale che non ammette discussioni. Loro si ricompongono, prendono il quaderno degli appunti, si preparano ad annotare. Io faccio la voce grave e mi estraggo dal petto carestie, pesti, catastrofi, inferni, purgatori, massacri, assassinii, stupri di pastorelle, esaltanti amori extraconiugali, inquisizioni a caccia di peccati, roghi, lunghe galere per filosofi e poeti, regole locali, regole universali, errori probabili, errori in agguato, errori ortografici, errori. Mentre parlo, a volte mi rendo conto che dovrebbero vietarmi ai minori. Invece mi stipendiano perché ai minori racconti la storia dell’umanità per piccoli ma saporosi assaggi: vessazioni, violenze, dominio dei pochi sui molti, poesia e prosa dei cattivi sentimenti travestiti nel finale da buoni sentimenti di buoni d’animo che hanno commesso ogni sorta di misfatti contro quelli d’animo cattivo. I minori, in genere, si salvano solo perché, per una convenzione non scritta, tutto ciò che risuona nelle aule, falso o vero che sia, non li turba: sono solo “lezioni scolastiche”, “esercizi”, “compiti”. Ma con me non c’è scampo. So di avere cose importanti da rivelare e, con tutta la cautela di cui sono capace, gliele rivelo. Li seduco col gioco, uso la parola con destrezza. Li incanto. Se uno accenna a distrarsi, gli faccio ciripiripì con le dita sotto il mento, lo inserisco nome e cognome nella vicenda che sto riassumendo, tiro dentro tutto ciò che gli è caro ( … ) , ne dimostro la futilità. Faccio terra bruciata di ogni angolo in cui potrebbero rifugiarsi. La classe intera non può sganciarsi per una sola frazione di secondo da me. La devo sentire stupefatta con la bocca a “Oh”. Ed essa deve sentire l’orrore del vivere, del futuro necessitante, della scansione inevitabile dell’esistenza, dell’indomabile ferocia del prossimo. ( … )“
9 gennaio 2009
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