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Il castello solitario
Mario Amato
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C’era una volta un castello bianco su un’alta roccia nel cuore di una verde foresta …
C’era una volta un menestrello che conosceva infinite storie …
C’era una volta una bellissima principessa …
Ricominciamo da capo, cari bambini …
C’era una volta un castello bianco su un’alta roccia nel cuore di una verde foresta …, ma l’autore di questa fiaba si era fermato ai puntini di sospensione e non aveva popolato il maniero di re, regine e principesse, come ci si deve aspettare da un narratore di antiche incantate storie.
Per nostra fortuna, e per la vostra, cari miei piccoli e grandi lettori, c’era una volta anche un menestrello che vagava per la foresta in cerca di un castello dove scaldarsi, raccontando storie vicino ad un bel cammino acceso e dove mangiare qualche buon piatto caldo e bere un boccale di vino sincero, perché era inverno e faceva freddo; del resto nevicava.
Dovete sapere che il nostro cantastorie era anche un abile maestro del fuoco. Egli aveva visto tanti castelli ed aveva conosciuto molti re, molte regine e molte principesse e a tutti costoro aveva raccontato fiabe, leggende, storie, vere o inventate, ma non solo; allorché si trovava in un castello egli pensava anche a pulire le canne fumarie e ad accendere i fuochi. Per pulire le canne fumarie aveva sempre con sé rami di pungitopo e puliva da sotto e da sopra, vale a dire dal tetto e spesso il comignolo era all’angolo e allora egli doveva legarsi una corda attorno alla vita ed arrampicarsi per la parete esterna. Naturalmente tutto questo era pericoloso, ma una volta sopra il tetto poteva ammirare il panorama. In questo modo aveva visto valli dove scorrevano placidi fiumi, terre sconfinate, boschi silenti e tante altre cose; a volte si era sentito vicino al cielo. Per accendere il fuoco nei grandi camini egli aveva una sua tecnica, forse appresa dai suoi avi: poneva in fondo al camino un grande ceppo di legna tagliata e su di esso appoggiava piccoli e medi pezzi di legna, tondi e spaccati. Una volta che il fuoco era acceso, il ciocco formava una parete incandescente da cui emanava il bel caldo. Gli abitanti del castello allora si sedevano a semicerchio dinanzi al camino con le spalle al fuoco ed egli poteva iniziare a raccontare le sue storie, mentre dalle finestre entrava il vento freddo, perché a quei tempi ben pochi erano i manieri che avevano i vetri.
Così egli aveva trascorso la vita fino ad allora, ma desiderava fermarsi, innamorarsi, forse di una principessa, forse di una semplice fanciulla, vivere quietamente. Ma che terra era questa? Camminava da ore ed ore nel bosco, a lui sconosciuto, e udiva soltanto il vento mormorare fra gli alberi, a volte il rumore di qualche ramo caduto sotto il grave peso della neve; non c’era traccia di presenza umana. Dov’era un castello? Dove una taverna? Si guardava intorno alla ricerca almeno di una grotta, di una caverna, di un’insenatura in una roccia dove potersi rannicchiare e attendere che la notte, che stava per giungere, passasse. Nulla!
Non restava che camminare, ma le membra erano stanche e i viveri, che pure egli aveva sempre con sé, scarseggiavano.
Sollevò lo sguardo al cielo, forse per pregare, ed ecco che gli apparve, non troppo lontano, su una roccia un grande castello bianco, con torri merlate e vetri colorati alle finestre.. “Deve essere di un gran signore” pensò il menestrello. Dai molto comignoli non usciva fumo. “Ci penserò io” pensò il cantastorie “a riscaldare questa gente”.
Finalmente era giunto dinanzi alla roccia in mezzo alla quale era stato scavato un sentiero che egli percorse di gran fretta, forse rinvigorito dalla speranza di trovare ristoro e riposo.
Una volta davanti al grande portone di ferro non trovò, come si aspettava, guardie, sentinelle, armigeri, insomma, miei pochi lettori, non trovò nessuno. Gridò con tutta la voce “C’è qualcuno? Un viandante chiede ospitalità!”, ma poteva udire ancora soltanto il mormorio del vento alle sue spalle, giù nel bosco. Si fece coraggio ed entrò. Salì la grande scalinata gridando ancora la sua richiesta di ricovero, ma tutto taceva. Pian piano esplorò tutti i pani e i grandi saloni ed infine si convinse che il castello era disabitato, sebbene tutto fosse in ordine e ben pulito e la dispensa fosse piena di viveri e la legnaia di legna.
Nel bosco una fanciulla vagava, stanca ed infreddolita, smarrita, ma seguiva delle orme fresche sulla neve con la speranza che la conducessero in qualche luogo dove potesse riposarsi e ristorarsi.
Come fosse entrata in questa foresta, ella non avrebbe potuto dirlo, perché ora si sentiva senza speranza: guardava il cielo, ma la neve che cadeva con fiocchi sempre più grandi copriva le stelle, amiche dei viandanti e delle fanciulle smarrite. Continuava a seguire quelle strane tracce, segno di una presenza umana in questa terra spopolata, ma pure si chiedeva se non le avesse lasciate qualche brigante in fuga. Si figurava che se fosse stato così gli avrebbe rivelato di essere una ricca principessa e gli avrebbe promesso una ingente ricompensa o sarebbe intervenuta in suo favore.
Infine le orme la condussero dinanzi alla roccia su cui si ergeva il grande castello bianco; vide i comignoli fumare ed il suo cuore si rianimò. S’incamminò lungo il sentiero e chiese ospitalità. Nessuno rispose, ma poteva udire una musica armoniosa provenire da qualche stanza e seguì le dolci note.
In una grande sala il menestrello sedeva accanto al fuoco acceso e suonava uno strumento a corda. Egli non udì i passi leggeri della fanciulla, ma la vide come sedersi di fronte a lui come se apparisse da una delle fiabe che egli narrava. Continuò a suonare ed a cantare ed ogni nota ed ogni parola erano per lei, per la principessa venuta dal bosco. La tavola era imbandita; cenarono e parlarono e da allora il menestrello e la principessa vivono nel grande castello bianco …
E vissero … ma questo lo sapete …
29 dicembre 2008
in narrativa:    |
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