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Le eredità del Novecento
Mario Amato
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Il Novecento è stato il secolo dei genocidi, anche se nella storia precedente essi non erano mancati, se si pensa ai Maya, agli Inca, agli indiani dell’America del Nord. Gli stermini del Novecento tuttavia sono stati progettati scientificamente ed attuati su larga scala: contro gli armeni, gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, gli oppositori politici.
La storia dice che Stalin e Hitler hanno perso le loro guerre. Hitler ha perso la seconda guerra mondiale, la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha segnato la sconfitta definitiva di Stalin e delle mire egemoniche della Russia.
È veramente così? Se allarghiamo lo sguardo su quanto sta accadendo sul mondo, ci rendiamo conto che i lasciti di Stalin e Hitler sopravvivono.
La questione israeliana- palistenese è diretta conseguenza dei Lager nazisti. Con la nascita di Israele l’Europa ha rinunciato a una parte della sua storia e della sua cultura, ma anche il popolo ebraico ha rinunciato a dare e ricevere cultura.
La Russia di Putin non abbandona i sogni di inglobare i paesi che un tempo avevano fatto parte dell’Impero zarista e poi dell’Urss. Ma bisogna anche dire che anche quei paesi hanno ereditato dalla prima guerra mondiale non soltanto il diritto all’autodeterminazione, ma anche la sete di revangismo nazionalista,.
L’Europa Occidentale sembra aver imparato che nelle guerre non c’è alcun vincitore, ma essa è troppo debole politicamente perché possa essere da faro al mondo.
Gli Stati Uniti e la Russia si propongono, ognuno a modo suo, come garanti di pace, ma la situazione mondiale non conforta queste affermazioni.
Dalla Seconda Guerra Mondiale l’attuale secolo ha ereditato anche l’assurdo modo di fare la guerra: non più battaglie fra soldati, come era avvenuto fino all’Ottocento, ma guerra contro le popolazioni civili. Nelle guerre moderne sono pochi i soldati che muoiono, ma sono molti i bambini, le donne, i vecchi che perdono la vita.
C’è anche una differenza: nel Novecento le guerre erano annunciate, dichiarate, si chiedeva alle popolazioni il consenso. Oggi i potenti fanno la guerra senza dichiararla, ma forse anche questa è un’eredità del Novecento, della guerra in Vietnam, dell’invasione dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968.
Nel Novecento erano i politici che governavano il mondo, oggi è il mercato, sono i grandi gruppi finanziari che detengono il potere.
La pace oggi appartiene solo all’Unione Europea, ma è una pace relativa, se si può usare questo aggettivo, perché in un mondo in cui tutto si interseca non si può vivere senza interessarsi di quanto accade vicino e lontano. C’è il gas russo, c’è il petrolio arabo, c’è il mercato americano e cinese.
Eccezion fatta per l’UE, ci sono guerre ovunque.
E c’è ancora lo scontro tra America e Russia, altro lascito del secolo scorso.
Barack Obama promette che, se diventerà Presidente degli Stati Uniti, ritirerà i soldati dall’Iraq e che avvierà le riforme per l’istruzione e la sanità. Tutto ciò è auspicabile, perché fino a quando le forze militari statunitensi rimarranno in Iraq e in Afghanistan l’America non potrà proporsi come forza di pace e quale esempio di democrazia. Le riforme sociali che Obama promette sono necessarie, anzi indispensabili, perché sarebbe l’esempio che la politica può e deve interessarsi soprattutto dei problemi quotidiani delle persone.
Il nodo della questione è proprio qui: il ruolo dell’uomo nella storia.
Il secolo nuovo ha segnato un più forte distacco tra potenti e popolo. Gli uomini che non appartengono all’establishment politico o finanziario vengono travolti dalle guerre, siano esse fatte con le armi o con il denaro.
Bisognerebbe fare un appello ai potenti della terra e ricordare loro che questa vita è troppo breve per essere sprecata nella ricerca del potere o della ricchezza, a scapito di altri essere umani.
Raccogliamo firme per questo…
8 settembre 2008
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