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Nuda comunicazione
MODELLI EDUCATIVI TRA REALITY E FICTION NELLA SOCIETA' MULTIMEDIALE ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO.
Maria Grazia Paglialunga
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“Ogni paese della terra è aperto all’uomo saggio:
perché la patria dell’animo virtuoso è l’intero universo”
Democrito
La comunicazione mass-mediale è un universo parallelo alla comunicazione interpersonale, diretta, fatta di sguardi, ammiccamenti, sussurri, litigi, comandi, preghiere, poesie, strette di mano, pacche sulla spalla! È affascinante, è pervasiva, talvolta liberatoria, talaltra emancipatrice……..è il modo non solo alternativo, ma anche affermato e generalizzato di confermare la natura dell’uomo, quale animale sociale e razionale (Aristotele): ci permette di abitare e popolare, conoscere e partecipare l’universo intero, non attraverso il dono dell’ubiquità, bensì attraverso quello della comunicazione indiretta, poliedrica.
Il complesso delle comunicazioni di massa si configurano come una vera e propria agenzia culturale in grado di agire socializzazione, concretizzata in atti autentici di formazione di atteggiamenti e comportamenti, nonché in modelli educativi attraverso cui le nuove generazioni acquisiscono capacità e competenze sociali di convivenza comune e di partecipazione alla vita culturale e politica.
Scomodando Aristotele, si potrebbe dire che la comunicazione di massa è diventata “entelechia” , la realizzazione, l’atto che ha assoluta priorità e superiorità sulla potenza della comunicazione altra.
Sì, perché in potenza la comunicazione è anche silenzio…..sospiro; è l’orecchio e l’occhio che si rivolge verso l’Altro e comunica attenzione e empatia o rabbia e rancore!!! In potenza l’uomo può, allora, non comunicare, perché comunicherebbe lo stesso!!! O può concretizzare tutto il suo pensiero in una scultura neanche di grandezza eccessiva, o in un dipinto all’apparenza incomprensibile! Comunque sempre vestito e investito di tutti i misteri, le possibilità, le prerogative che lo rendono, appunto, umano, carne e spirito, imbrigliato tra “Eros e Thanatos”.
La più grande conquista, attraverso tempi lunghi, difficili e immensi sforzi, di cui oggi l’uomo può vantarsi è proprio l’invenzione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sapendo di lasciare ai posteri un’indeterminabile quantità di sapere, di conoscenze, di informazioni, abilità: dall’invenzione della scrittura, a quella della carta prima e della stampa dopo, a quella del telegrafo e del telefono, della radio, del cinema e della televisione fino all’avvento di Internet!
Senza questa meravigliosa conquista la vita nelle società sarebbe stata un circuito chiuso, non avrebbe acquisito senso antropologico e storico, non avrebbe attraversato le varie generazioni come le radici attraversano il cielo per mezzo dei rami per far maturare i loro frutti.
Sulla base di questa premessa, nell’esternare le mie riflessioni, ho scelto, in una sorta di gioco di ruolo, di scrivere immaginando, per essere al passo coi tempi, di essere un “blogger” e questo è il mio “blog”, virtuale ovviamente, mediante il quale mi piacerebbe condividere commenti a caldo, a freddo, aggressivi, arrabbiati, rassegnati, cortesi, leggeri, profondi……senza schierarmi (se ci riesco!) tra gli “apocalittici” o tra gli “integrati” (U. Eco).
Dunque, sono un “blogger” che comunica in tempo reale con un americano, un francese, un egiziano…da qui!!! Dalla mia piccola e sgangherata scrivania, senza muovermi, se non per cliccare, digitare, connettermi e pensare! Pensieri e riflessioni maturati e, finalmente liberi, di raggiungere “tutto il globo terrestre”! Oh!!! Se penso a Dante Alighieri e alla sua appassionata volontà di farsi banditore di verità e di giustizia, come blogger, penso che si sarebbe divertito tantissimo, sarebbe impazzito dalla gioia di poter discorrere col mondo intero delle sue idee politiche, filosofiche e letterarie, e sicuramente avrebbe chiesto una vita in più a Dio una volta raggiunto il Paradiso!
Che a partire dagli inizi del XX secolo si è imposta l’idea che l’uomo non vive in un “mondo di pensiero”, ma di “comunicazione” è più che risaputo e, non solo negli ambienti accademici.
La natura stessa dell’uomo, anziché di tipo intellettuale, mentale, come l’avevano ritratta i filosofi da Cartesio a Kant, agli idealisti, è stata definita “comunicativa”.
Ma davvero occorre ribadirlo ancora??? Tutti ci siamo resi conto che siamo immersi nel mare magnum della comunicazione, fatta di segni e di parole, parole, parole…….. fiumi di parole scritte, parlate, urlate, strappate, disegnate, sgualcite e sguaiate, abbozzate e sussurrate persino ai cavalli!!!
E, ancora, delle immagini, dei colori, delle musiche, dei flash………….che in piena rompono gli argini della nostra esperienza sensoriale e ci investono, lasciandoci ora tramortiti, ora euforizzati ed esaltati, ora in preda a fobie e nevrosi che rasentano la follia!!! Ma noi siamo lì, immersi, e chi non riesce a “navigare” e/o a dirigere le vele della sua barchetta ne viene sommerso….l’àncora di salvezza? Non saprei, non vorrei dare risposte preconfezionate, scontate, già orecchiate qua e là……provo semplicemente a ragionare, a discorrere con chi leggerà questo blog e proverà a confermarmi o a smentirmi!!!
Per comunicare, le comunità umane nel tempo e nello spazio, hanno sempre comunicato: basta “affacciarsi” sul passato, magari con un flash-back guidato e semplificato da qualche macchina del tempo filmica, cinematografica per rendersi conto che fin dall’antichità, anzi fin dall’era dell’uomo primitivo, sono esistite reti di comunicazione atte a diffondere informazioni all’interno della società o a lasciare tracce di sé ai posteri.
Senza voler ritornare troppo indietro con la memoria, qui mi è sufficiente ricordare che “secondo l’Oxord Dictionary, soltanto negli anni Venti si è cominciato a parlare di media e trent’anni dopo di una ‘rivoluzione della comunicazione’: ma l’attenzione per i mezzi di comunicazione risale a molto tempo prima”, ai tempi dell’antica Grecia e di Roma quando si coltivava l’arte della retorica .
Ed è proprio sulla comunicazione mediata “nell’era del consumatore intelligente” che mi interrogo e, cerco, quasi da esploratrice in avanscoperta, delle risposte su: dove ci porterà lo sviluppo veloce e imponente dei mezzi di comunicazione di massa?; si diffonderà in tutte le aree del mondo, anche quelle sottosviluppate? Diventerà una nuova arma “bellica” di predominio sui deboli? O ci condurrà tutti verso nuove e migliori forme di civilizzazione e più alti livelli di umanizzazione?
Ritornando per un attimo al blogger Dante, nell’Epistola a Cangrande, esterna con estrema chiarezza lo scopo educativo della sua opera, vale a dire allontanare l’umanità dallo stato di miseria in cui vive e condurla ad uno stato di felicità; vuole rinnovare la società umana, il mondo “che mal vive”.
Ma oggi, a distanza di settecento anni, noi tutti, grandi e naturali fruitori di comunicazione di massa, siamo in grado, senza sentirci investiti da alcuna missione divina, di prendere coscienza delle “nuove miserie”, di aprire gli occhi di fronte alle tre “belve”, (la lonza –lussuria, ammaliante dal mantello variegato, il leone-superbia “con la testa alta e con rabbiosa fame” e la lupa-cupidigia che, per la sua magrezza, sembra piena di ogni brama), che impediscono il nostro cammino a tal punto che, “perduta la speranza di raggiungere la vetta”, potrebbero risospingerci nella valle della perdizione? .
Nel gioco delle loro lusinghe, rischiamo di rimanere intrappolati, perché oggi le “belve” circolano libere, non più nella selva oscura, ma ovunque in modo invasivo: attraverso i mass-media entrano nelle case, nei bar, negli ospedali, nelle scuole, percorrono strade e autostrade, binari e tragitti di vita comune e raggiungono le nostre menti e le nostre coscienze, offuscandole e adombrandole di “falsa coscienza” .
“Loisir” o “full-immersion” in realtà formative vere e proprie?
I media, dunque, oltre a rappresentare delle oasi di svago, di relax e di intrattenimento durante i nostri numerosi e veloci, dannati e annaspanti viaggi quotidiani, trasmettono altresì valori e comunicano messaggi sociali, rappresentano diversi tipi di persone e di relazioni interpersonali, verso i quali noi tutti, e in particolare le nuove generazioni, ci orientiamo, ci dirigiamo, assurgendoli a indispensabili bussole per naufraghi disperati, in cerca di nuovi e floridi territori che ci accolgano come automi, cloni di modelli educativi talvolta inclassificabili.
Nel dibattito tra studiosi ed esperti di sociologia vi è ancora la tendenza di tranquillizzare gli animi affermando che è difficile rintracciare nell’influsso delle comunicazioni di massa disegni educativi, programmi di formazione delle persone.
La mia tesi, invece, è che non solo è possibile, ma è anche facilmente rintracciabile: sarebbe sufficiente prestare più attenzione ai flussi continui di informazioni, immagini, conoscenze che ci investono continuamente e che non sono mai neutrali, sia pure usufruendone come e quando lo vogliamo noi, e analizzarne le intenzioni implicite e manifeste.
Sono completamente in linea con quanto afferma il massmediologo McLuhan: “Il medium è il messaggio”. Secondo questa affermazione ogni “mezzo”, strumento prodotto dalla tecnologia, è “un’estensione di noi stessi”, che indipendentemente dal contenuto, cioè il “messaggio” che veicola, cambia, a volte radicalmente, le proporzioni, il ritmo e gli schemi nei rapporti umani. Ne consegue un elemento comune a tutti i media, vale a dire che il “contenuto di un medium è sempre un altro medium: il contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola scritta è il contenuto della stampa e la stampa quello del telegrafo”.
È il medium che controlla, plasma le proporzioni e la forma dell’associazione e dell’azione umana. I contenuti, invece, cioè le utilizzazioni, di questi media possono essere diversi, ma non hanno alcuna influenza sulle forme dell’associazione umana” . Secondo Mc Luhan, la stampa, il telefono, il telegrafo, la televisione, la radio non hanno apportato delle rivoluzioni sociali e culturali grazie ai messaggi diffusi, ma in forza del mezzo che essi costituivano nel “plasmare la storia”, nel darle una svolta diversa: basti pensare all’enorme peso che ha avuto la radio nella costruzione del potere nazista durante la seconda guerra mondiale o all’avvento del telefono cellulare e di Internet nel delineare il “villaggio globale” in cui viviamo.
E noi? Noi siamo consapevoli di ciò? “Perché il contenuto di un medium è paragonabile a un succoso pezzo di carne con il quale un ladro cerchi di distrarre un cane da guardia dello spirito” .
Comunque “medium” e “messaggio” sono due facce della stessa medaglia: il progresso tecnologico ha avanzato con velocità esponenziale!
Un progresso che se, da un lato ha arricchito la nostra vita materiale creando bene-essere, dall’altro ha denudato la “nostra insostenibile leggerezza dell’essere-bene”, fino al punto di non saper più distinguere cosa è meglio tra le due opzioni.
Sembra che dal ’68 in poi, con “l’avvento della società post moderna situata da François Lyotard nel decennio Settanta”, le nuove filosofie culturali e ideologiche si siano improntate sul motto: denudiamoci, spogliamoci di tutte le remore, i tabù e le costrizioni subìte, liberiamoci da ogni regola, da ogni virtù! .
Oggi tutto è a nudo, effettuato, materializzato, prodotto, destinato a passare dallo stato del possibile a quello del reale, secondo un duplice movimento di necessità interna e di progresso.……..Corpi nudi, nude storie di vita dibattute e sdrucite in pubblico, crude affermazioni di odi e rancori politici mai sopiti, nude possibilità di arrivismi con l’aiuto di “un grande fratello” che dopo averti denudato ti ricopre di un milione di euro; spot, predatori di nudo e venditori di finti sogni, “eredità” di saperi vuoti e misti di “scosse” carnali, appetiti sessuali persino di due sfrenate ed esibizioniste coccinelle (vedi pubblicità Peugeot), corpi venduti tra innumerevoli “distraction” (programma Mammuccari), volgarità di ogni tipo, crudeli vernacoli disperati di finta ironia….questo è quello che emerge da quotidiani, riviste, programmi televisivi e radiofonici!
Ma per dirla in romanesco con il testimonial per eccellenza del momento (2005), Totti: “life is now”…la vita è adesso…il domani è già venduto al miglior offerente!
Nessun moralismo bacchettone, nessun perbenismo di sorta nell’evidenziare questi pochi eventi caratterizzanti il mondo che viviamo. Ho l’ésprit mal tourné? Forse, ma quel che vedo è una cruda aderenza tra immagini e parole, fiction e reality, centrifugate fino a mostrare solo nudità.
Nuda comunicazione, dunque. Che mescola finzione e realtà, in un minestrone di modelli comportamentali ed educativi ibridi, incerti, miti di una felicità “tocca e fuggi”.
Nell’immaginario collettivo la reificazione del concetto di nudità ha portato alla distruzione, alla “prostituzione” di quel concetto di nudità “celeste”, come nudità trascesa, sublimata, perfetta, ideale che ora è, sempre e solo, materiale, naturale, legata al desiderio e alla crudeltà . Kenneth Clark, storico dell’arte, parla di distinzione tra il “nudo in quanto forma d’arte ideale” e “nudità vista come quella cosa decisamente troppo disturbante, enfatica e sessuale per avere accesso alla sfera ‘colta’ dell’arte in quanto tale” .
E la comunicazione a qualsiasi livello, in qualsiasi forma conserva nel profondo la duplice prerogativa di “elevare” o “far soccombere”, “precipitare nella visione d’orrore (cado dalle nuvole di illusione/delusione) e quella visione doveva veramente trasformare la vita, il destino e il desiderio di ognuno….” . Spogliare e ricoprire di ridicolo, di volgarità l’esistenza e l’essenza umana o ridestare dal sogno e pudicamente conquistare la bellezza pura della parte nobile dell’io. Dunque, tentare coraggiosamente, nell’incontro con la nudità volgare, di edificare un mondo migliore.
Invece, nel processo di costruzione della “realtà dell’irreale” , in un trentennio circa, anche in seguito al “trionfo della Tv commerciale”, ci siamo visti soffiare ruoli, funzioni, valori, un tempo, saldi punti di riferimento delle nuove generazioni, verso cui potevamo rivolgerci anche contestandoli e “creativamente” lottare per mantenerli o sradicarli.
In questa marcia trionfale i media, di vecchia e nuova generazione, come quelli relativi alla convergenza multimediale, celebrano la loro vittoria su una società ritenuta chiusa, obsoleta, troppo sobria per godere dei rumoreggianti inviti a disinibirsi, sciogliersi dai vincoli tradizionali della famiglia, della scuola e delle varie agenzie di socializzazione.
La televisione, in particolare, unitamente ad altri fattori sociali e storici, ha alterato e, talvolta, quasi del tutto soppiantato gli altri modelli educativi, in particolare quello dei genitori che, man mano che si spogliavano della veste genitoriale di responsabilità e autorevolezza propria e specifica del ruolo, hanno ripiegato su modelli permissivistici, amicali alla ricerca disperata di un “dialogo costruttivo” improntato sul “vietato vietare”, sul “parlare, persuadere”, sul “carpe diem”.
Così persuasi che oggi il ruolo dei genitori è difficile e delicato, si è portati ad accondiscendere, a farsi travolgere dall’onda anomala della “post-modernità”, perché è importante non “apparire” retrogradi agli occhi dei figli del consumismo. Figli illegittimi, dunque? Forse, se ci perdiamo il confronto, faticoso ma arricchente, con la realtà dei quali essi sono i fruitori. Invece, qua e là si scorgono casi di malessere e incertezza, a cui i genitori rispondono con resa incondizionata e con estenuanti trattative in cui la proibizione eventuale o la sanzione sono pressoché bandite in quanto troppo costose a livello emotivo. In altri casi, invece, fuggono con inaudita violenza la responsabilità di un nuovo figlio e di fronte a una nuova paternità o maternità uccidono, annullano la vita sul modello “usa e getta”!
Nell’era della velocità, guai a riflettere, a fermarsi! Prendere o lasciare, “di tutto, di più”!
Cosicché i ruoli educativi genitoriali appaiono in questi ultimi anni sempre più appiattiti ed inesistenti, impostati su una difficoltà palese ad essere propositivi e determinati nella formazione delle regole comportamentali. Anzi questi ruoli sembrano sempre più improntati su stereotipi che alterano la titolarità dell’azione genitoriale.
La nuova balia, televisione, videogiochi o computer che sia, si occuperà dei nuovi nati e gli adulti potranno coltivare maggiormente il proprio ego, in una forma di “selfismo”, per il quale, secondo lo psichiatra americano Vitz, non “esistono doveri, negazioni, inibizioni o limitazioni accettabili, ma soltanto diritti e opportunità di cambiamento. La grande maggioranza dei ‘selfisti’ presuppone che non vi siano relazioni morali o interpersonali invariabili, né aspetti permanenti negli individui. Tutto è scritto nella sabbia da un io in continuo mutamento” .
Bandire il cambiamento? Certamente, no! Ma semplicemente promuoverlo per sé e per gli altri nell’ottica di un rapporto autentico, cosciente e vitale con la realtà tutta.
Non fuga dalla realtà in un ripiegamento continuo e narcisistico su se stessi, sempre insoddisfatti e prostrati, dannati e agitati verso frequenti cambiamenti, nudi risultati della volubilità del momento, della noia di vivere in corsa, sempre al limite tra ciò che si è e ciò che vorremmo (e vorrebbero gli altri) essere.
“E’ in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli”, così recita l’”Appello sull’educazione” dal titolo “Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio”, promosso lo scorso novembre da una cinquantina di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’economia e della politica, in occasione dell’uscita della nuova edizione del libro di Don Giussani “Il rischio educativo” dell’Editore Rizzoli e, tuttora sostenuto da migliaia di adesioni in tutta Italia e in Europa . L’Appello rimarca che “per anni dai nuovi pulpiti – scuole e università, giornali e televisioni – si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere. È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta.
È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balìa delle mode e del potere”.
Non è possibile restare inerti e inermi di fronte a un’emergenza che chiama forte e chiede riflessione e azione. Non è vero che il mondo va da sé, questo è il luogo comune che da impotenti rassegnati balbettiamo di fronte a tanta complessità.
Si può ritornare a dire “No”! No ai sogni forzati, imposti e proposti per indurci ad agire secondo una logica già meditata! Sì, ai nostri sogni quelli che rincorriamo ad occhi aperti, ma che poi realizziamo con grandi sacrifici e abnegazione! No, alla pornografia della comunicazione che vuole privarci di quanto più sacro esista nell’universo, la nostra intimità, quella che ci rende unici e inequivocabili.
Sì, alla fede nella grande capacità dell’uomo, come nessun altro essere, di migliorare e far progredire il mondo, anche quando questo vuol dire rinunciare, perdere, abbandonare sentieri avvenenti, ma pericolosi.
D’altra parte ci sentiamo tutti “attori”, “vip”in questo vivere malato di protagonismo da reality. Cruda e nuda contraddizione: migliaia di giovani desiderano ardentemente di passare un provino per accasarsi al “Grande fratello” o a “Uomini e donne” o per entrare a far parte della grande famiglia di veline, letterine, soubrettine tutte uguali, omologate dai sorrisi di soddisfazione e, soprattutto, consapevoli che non occorrono meriti, spirito di sacrificio e creatività, ma una grande abilità a fingere e ad autoingannarsi. Il principio che vale è: “tutto e subito”: soldi, fama, sesso, successo. Niente meritocrazia!
Dove finisce la realtà e comincia la finzione? Io non saprei rispondere, visto che anche il diritto di cronaca è leso . La realtà? Amara fiction di attoruncoli per caso, costretti a rapire, a massacrare, ad assaltare senza motivo pur di “guadagnarci” pochi spiccioli di visibilità!
Negli anni ’70, G. Gerbner, con la sua nota “teoria della coltivazione” (la gente crescerebbe come una coltura mantenuta grazie ai mezzi televisivi) ha sostenuto che la televisione attua una socializzazione distorta, perché fa interiorizzare una visione deformata della realtà; molte le voci dissonanti in merito, di chi afferma invece che abbia influito molto sul potenziare l’azione formativa delle altre agenzie.
Se così è, allora, dovremmo sviluppare ulteriormente una capacità critica maggiore nel saper prendere quanto di buono e sano ci perviene dai media, come: la possibilità di incrementare le nostre conoscenze, la nostra capacità di comprensione; di migliorare e dirigere la nostra capacità di attenzione, di concentrazione, di selezione e di elaborazione delle informazioni; di affinare e arricchire il lessico in possesso. Questo significa acquisire la consapevolezza di non ridursi a “consumatore onnivoro”, ma di sviluppare una certa capacità di fruitore attivo e consapevole, con la precisa intenzione di imparare a discernere tra sogno e realtà per proteggersi dalla disillusioni e dalle distorsioni.
Nell’era dell’imperialismo comunicativo, possiamo ancora decidere se piegare la testa come “sudditi”, servi e asserviti, ubbidienti e devoti o come “cittadini del mondo”, promotori di vero progresso e partecipazione democratica attraverso una comunicazione (non più di massa) globale, tesa verso una migliore e più integrata comprensione della realtà.
Uscire dalla mischia ed emergere, non spogliati della propria libertà, non messi a nudo dai nostri stessi egoismi flemmatici e chiusi nei castelli surreali dell’intrattenimento e della spensieratezza, bensì nudi di volgarità e di quella materialità di un’esistenza trascorsa al suono battente di rulli e tamburi del consumismo di massa di finti valori.
Viviamo tutti, il rischio di una deriva antropologica determinata dal paradosso di un essere umano sempre più avvolto nel vortice della comunicazione, ma che si scopre sempre più solo e impotente di fronte a meccanismi che sfuggono al suo stesso controllo.
Reale-Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, ED. LA SCUOLA, p. 136
A. Briggs, P. Burke, Storia sociale dei media. Da Gutenberg a Internet, 2002, IL MULINO; p. 9
D. Alighieri, Inferno, vv. 31 – 60
K.E.Rosengren, Introduzione allo studio della comunicazione, 2001, IL MULINO, p. 49
M. Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, 1997, EST, p. 16 – 17
Ibidem, p. 27
G. Triani, Sedotti e comprati, ELEUTHERA, 2002, p. 97 - 98
G. Didi-Huberman, Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà, 2001, EINAUDI, p. 7
Ibidem
Ibidem
G. Triani, Sedotti e comprati, ELEUTHERA, p. 20
Paul Vitz, Psicologia e culto di sé. Studio critico. Trad. it., Edizioni Dehoniane Bologna, 1987, p. 42
Sito Internet: www.appelloeducazione.it
G. Triani, Sedotti e comprati, ELEUTHERA
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