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Dell’educare. 66
“L’insegnante ha uno speciale dovere …“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Sembra essere eccessivamente pedante nel suo scritto “Ai piedi del maestro [1910]“ J. Krishnamurti [1895-1986]; ma in verità debbo ammettere che nella mia pratica scolastica ben rare volte mi è capitato di sentire elencare, giammai ripetere, alcune semplici prescrizioni che rendono l’educare una nobile arte. E’ capitato anzi, e quasi sempre, che la precettistica riguardasse norme ministeriali con le loro forme di estrema burocratizzazione e senza contenere esse quelle sollecitazioni a considerare il “dovere speciale“ che compete all’insegnante in quanto educatore e non trasmettitore, spesso distratto ed indifferente, di aride nozioni.
“( … ) L’insegnante ha (…) uno speciale dovere (…) ; poiché, pur dovendo offrire ai suoi alunni ogni opportunità di svilupparsi secondo le loro proprie tendenze ed aver cura di non intralciare il loro sviluppo, né forzare questo sviluppo in una direzione non confacente, egli ha l’obbligo di guidarli molto accuratamente, di sorvegliarli attentamente, e ,come disse il maestro, ‘di far loro osservare con dolcezza i loro difetti‘.
L’insegnante ha in custodia i suoi allievi mentre sono a scuola, e, durante questo tempo, deve fare le veci dei genitori. La speciale lezione ch’egli deve imparare , nel praticare la padronanza di sé, consiste nel cercare di adattare i propri metodi al grado di sviluppo raggiunto dai suoi alunni.
Pur accontentandosi di sorvegliarli quando la loro attività si esplica in giuste direttive, egli dovrebbe essere pronto ad intervenire – col minor disturbo possibile – per modificare quell’attività se diventasse eccessiva, per stimolarla se tendesse ad affievolirsi e per dirigerla verso nuovi canali se avesse preso una cattiva direzione.
Ogni volta che sarà necessario il suo intervento, dovrebbe cercare di far sentire ai ragazzi ch’egli non vuol affatto costringerli a seguire la sua propria direttiva, bensì aiutarli a trovare la via da essi smarrita, ma che realmente desideravano seguire.
Molti ragazzi non poterono sviluppare la necessaria forza di carattere perché l’insegnante, col suo continuo intervento, ha imposto loro il suo proprio modo di vedere circa il giusto operare, invece di risvegliare in essi il raziocinio e l’intuizione. I ragazzi si abituano così a dipendere interamente da lui, invece d’imparare a poco a poco a camminare da soli. ( … )”
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