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La “querelle“ Papa-La Sapienza: una “lectio magistralis“
Aldo Ettore Quagliozzi
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“( … ) Recordo poi che era propia il ciorno di Natale, e propia quella notata si aveva presentato alle nostre posezione un soldato austrieco che parlava italiano, e forse era di Trieste, e disse che si voleva rentere come pricioniere, e così la sentenella non ci ha sparato. E io lo teneva in consegna. Propia quella ciornata era di dominica e il prete ci ha portato sotto li albere per farene sentire la messa, come tante domeniche. E così, ci ha venuto il pricioniere pure, alla messa. Così, quanto il prete aveva fenito di dire la messa, e come tante volte repeteva che il Dio ni doveva dare la crazia di vincere questa sanquinosa querra e scacciare il nostro potente nimico, che come il pricioniere intese quella parola del prete, che il Dio ni doveva fare la crazia di scacciare il propotente nimico, si ammesso a ridere e senza tremare ha detto: -Qualda che sono tutte li stesse li prete, che la domenica passata il nostro prete ci ha detto, quanto ci hanno portato alla messa, ci ha detto propia li stesse parole, che il Dio ci aveva a fare la crazia, che l’Austria doveva scacciare il suo potente nemico, che ene l’Italia, e vincere questa sanquinosa querra …- E il triestino redeva, e non sapiammo perché redeva e ni pareva che era pazzo, e poi ni ha detto perché rideva e ha detto che forse ci sono 2 Patre Eterne, uno è in Italia, e uno ene in Austria, e non ci capeva niennte, e rideva e fece redere a tutte, che il prete si aveva compiato li coglione e ni ha detto: - Che ci l’ha portato a questo che va contra la relicione? Portatolo fuore della messa! Così, io mi ne sono antato, perché il prete si aveva innervosito. E poi lo hanno portato al campo di concentramento, ma era uno che diceva la veretà. ( … )“
E’ la straordinaria e struggente scrittura di Vincenzo Rabito, bracciante siciliano, scrittura raccolta dai suoi discendenti e di recente resa pubblica per i tipi Einaudi nel volume “Terra matta“. una scrittura che non ha il pregio letterario di tante altre opere dell’umano intelletto, ma possiede la vivacità della lingua parlata, la carica emotiva e dirompente di chi ha vissuto sulla propria pelle i drammi della propria storia personale, ma soprattutto ha il pregio di porre a tutti gli uomini di buona volontà inquietanti interrogativi che non pervengono neppure dalle menti più sottili e raffinate né tanto meno dalle elucubrazioni paludate ed accademiche. E’ nella scrittura piena di sicilianità di Vincenzo Rabito, bracciante (1899-1981), che si coglie il dramma, ovvero l’umano limite della religione fattasi “chiesa“; laddove essa mostra la disumanità della sua stessa anche violenta storia, incapace di sciogliere intricati nodi, ovvero della dualità di un dio che milita al contempo in opposti eserciti, pronto a benedirne le infangate insegne innalzate nel nome della comune radice di cristianità. E’ la “lectio magistralis“ di Vincenzo Rabito, bracciante siciliano, che non ha mai e poi mai frequentato e calpestato le aule silenziose delle università, ovvero i pulpiti dai quali diffondere false speranze, ma che invece si è incallito le mani col duro lavoro dei campi. E’ questa la “lectio magistralis“ che gli uomini di buona volontà del secolo ventunesimo aspettano di sentire, dopo ben duemila e passa anni; inutile forse sperarne ancora, ché la religione fattasi “ chiesa “ ha ben altri orizzonti e palazzi in cui pretende, ed a gran voce –supportata in ciò dai genuflessi atei bigotti dell’oggi- di far sentire la sua querimonia cantilenante in falsetto. Tutto ciò dopo Ratisbona e dopo “La Sapienza“ ed altro ancora in avvenire; ché l’intransigenza di cui si accusa il simile ha le origini in luoghi ben precisi e storicamente ben accertati. Aldilà di ogni ragionevole storico dubbio.
4 febbraio 2008
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