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Se il divino diviene il problema. 17
“Scienza e religione“
Aldo Ettore Quagliozzi
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In tempi difficili e perigliosi alquanto, nella contrapposizione interessata e senza più freni delle fedi su scala planetaria, quando ritorna alle narici il puzzo antico di bruciato di corpi innocenti lasciati morire in nome di un dio, uno dei tanti, e quando sembra di veder di nuovo mulinare spade, e sciabole e scimitarre benedette dal proprio benevolente e misericordioso dio, ebbene è proprio in tempi come questi che la trepidazione assale forte con l’angoscia di una domanda alla quale ben difficilmente, se non nell’obnubilamento assoluto della ragione, potrebbe trovarsi per darsi una risposta: “ma di quale dio si parla?“
Io non ho risposta sicura, che se ce l’avessi proverei paura immensa, una risposta sicura grande e confortevole, se non la miserevole personale esperienza, maturata dolorosamente negli anni che or sono tanti ma non tantissimi, in un agnosticismo sempre trepidante ed in ansia di ricerca, per la qualcosa abdico prontamente all’ardua impresa ed avverto che la rubrichetta è senza pretese escatologiche ed introspettive ed è lasciata alla libera riflessione degli incauti navigatori della rete, fortunati al pari di colui che ritrovò il vello d’oro.
Da “Scienza e religione“ di Umberto Galimberti
“Che la scienza grondi di metafore teologiche non c'è alcun dubbio. Bacone, quando nel 1600 ideò il primo abbozzo del metodo scientifico, scrisse che attraverso la scienza e la tecnica l'uomo avrebbe riguadagnato le virtù preternaturali che Adamo aveva perso col peccato originale. E avrebbe concorso alla redenzione riscattando l'umanità dalla fatica del lavoro e dalla sofferenza del dolore, che erano le due pene che Dio aveva inflitto ad Adamo in occasione della cacciata dal paradiso terrestre.
A ciò si aggiunga che la visione religiosa del tempo, che prevede il passato come colpa, il presente come redenzione e il futuro come salvezza, viene riproposta dalla scienza in quell'analoga prospettiva dove il passato appare come male, la scienza come redenzione, il progresso come salvezza.
Questa triade religiosa la ritroviamo alla base dell'"utopia", che guarda al futuro con un'etica terapeutica dove i mali si eliminano tramite il controllo razionale degli effetti, e alla base anche della "rivoluzione", che alla fine prevede un rovesciamento del male nel bene, da questo tempo a un altro tempo. Non è un caso che, come dopo la venuta di Cristo o di Maometto, anche dopo tutte le rivoluzioni (da quella francese a quella russa a quella fascista) si è sentito il bisogno di dare il via a nuovi calendari, a una nuova misurazione del tempo, con una sola differenza: che l'utopia ha bisogno di "tanto" futuro, mentre la rivoluzione prende fuoco per un "altro" futuro. In questo senso è possibile dire che sia la scienza, sia l'utopia, sia la rivoluzione sono animate da una visione del tempo e della storia profondamente religiosa, dove alla fine si realizza quello che all'inizio era stato annunciato. Sempre in conformità al comando di Dio che assegna all'uomo il dominio della natura (Genesi, 1,1-5), la scienza moderna finirà poi col sottrarre questo dominio a Dio che, essendo sempre meno accessibile alla ragione, finisce con l'essere sempre più confinato nella fede.
Prendendo il posto di Dio, la ragione diventa legislatrice; non "impara" dalla natura, come succedeva quando la natura era considerata il disegno dispiegato di Dio, ma, come dice Kant, obbliga la natura a rispondere alle sue interrogazioni. In questo modo la natura non ha in sé alcun senso se non quello che assume all'interno del progetto umano che tende a farne un fondo a disposizione dell'uomo.
Oggi la scienza, non in chi la pratica, ma in chi (e siamo tutti noi) ripone in essa speranze, se non di salvezza, certamente di salute, guarigione, progresso, crescita, continua ad alimentarsi di ideologia religiosa, anche se la sua pratica effettiva prescinde da questa ideologia e procede come se Dio non fosse.
La Chiesa se n'è accorta già all'epoca di Galileo, e, senza farsi ingannare dalla visione religiosa della storia sottesa sia alla scienza, sia all'utopia, sia alla rivoluzione, è entrata in conflitto con queste versioni secolarizzate del tempo escatologico, perché ha capito che lo corrodono all'interno fino a farne smarrire la traccia, con danni irreversibili per gli apparati (le Chiese) che hanno il loro fondamento e la loro giustificazione nella visione escatologica del tempo e della storia. Questo è quanto ci insegna la storia e lo stato dei fatti ci conferma.“
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