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Dell’educare. 63
“L’insegnamento è un lavoro, un mestiere, una professione, un’arte“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Paginetta pregna di indicazioni preziose, tratta da “Essere insegnanti, divenire maestri“ del professor Raniero Regni, apparsa sulla rivista “School in Europe“; il tutto potrebbe essere compendiato nella formuletta magica “quel che dovrebbe essere o non dovrebbe essere un buon insegnante“. Ma qui si sconfina nella deprecabile aleatorietà della formuletta precedente, tanto di buon uso nelle scuole pubbliche del bel paese, anche solo che ci si accosti a parlare di attitudini all’insegnamento, attitudini ben diffusamente ignorate e schernite e sostituite con l’ indimostrabile assioma del cosiddetto “metodo“ personale d’insegnamento. Tutt’altra cosa rispetto a quanto viene sostenuto e raccomandato nell’estratto dell’interessantissimo lavoro tante volte citato nella rubrichetta “Dell’educare“.
“ ( … ) L’insegnamento è un lavoro, un mestiere, una professione, un’arte. Non è arte ma artigianato, ovvero comporta talento, competenza, inventiva, insieme a routine consolidate. Allora l’insegnante deve essere un intellettuale, non un impiegato. Un essere impegnato nell’avventura intellettuale, nell’avventura del comprendere, nell’educazione come viaggio interiore. Uno specialista nel sapere e nella sua trasmissione (ma insegnanti molto colti costano molto, insegnanti che vivono la cultura come bisogno hanno diritto all’autonomia, che non è un privilegio ma un diritto).
Un professionista che esprime una professionalità forte, deve ridurre l’aleatorietà della sua prestazione, non deve essere facilmente sostituibile, ed una professionalità è forte se è autoregolamentata, se tratta situazioni emotivamente accese.. Un professionista non si fa dare degli ordini, sa da solo e spesso prima di altri ciò che si deve fare.
L’insegnante è e non può che essere un professionista autonomo e riflessivo perché non può applicare la selezione di un corso di azione da un insieme di opzioni stabilite. Detto altrimenti: pur avendo un repertorio di azioni già pronte, programmate, una scatola di attrezzi già pronti, non può che modularli adattandoli alle situazioni che sono sempre diverse.
( … ) … si può pensare che il vero educatore faccia del suo meglio per perfezionare i suoi metodi, per renderli più efficaci, pur sapendo che l’essenziale sta altrove, nel lavoro dell’educando su se stesso, lavoro imprevedibile e nascosto, che nessuno può programmare.
Riducendosi ad una tecnica cesserebbe di essere educazione. Questo “non-potere“ della pedagogia non è dovuto a carenze tecniche, che una tecnica migliore potrebbe superare, ma è dovuto alla natura stessa dell’educazione. Riducendosi ad una tecnica, cesserebbe di essere educazione. L’educazione mira alla maturità intellettuale e all’autonomia personale, ma non può programmarle senza distruggerle. Se si educano degli esseri liberi, non esiste un’educazione senza rischi. Ma questo rischio è l’altro nome della libertà.( … )“
7 gennaio 2008
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