|
Dell’educare. 62 “Solo all’Università ho studiato bene …“
Aldo Ettore Quagliozzi
|
Ho lasciato la scuola da un bel po’ di tempo e mai e poi mai mi è tornata la voglia di rispolverare le acquisite esperienze di trasmettitore o meglio di ripetitore di contenuti disciplinari. E tranne alcune sporadiche occasioni vissute e consumate all’interno della famiglia, ho sempre rifiutato, per l’appunto, il ruolo di mero ripetitore da svolgere nell’ambito del tinello di casa al solo scopo di rimpinguare le magre risorse della pensione. E questo perché ho inteso la scuola sempre in un’accezione più grande, oserei dire più alta, la stessa che ritrovo limpidamente delineata in questo estratto da uno scritto di Alfonso Berardinelli titolato “Lezioni di noia“.
A me piaceva pensare la scuola come comunità di ricerca didattica e pedagogica, come luogo di confronto e di crescita umana collettiva tanto per gli adolescenti, affidati dalla sorte alle nostre cure, quanto per i docenti stessi, che avevano l’opportunità, attraverso il confronto di esperienze e di proposte, di crescere ed acquisire metodi didatticamente e pedagogicamente più validi. E devo riconoscere con il Berardinelli che il mito del “metodo“, che ciascun insegnante della scuola pubblica italiana si crea nel corso di decenni di mestiere sulla pelle dei malcapitati adolescenti, il mito del metodo blocca sul nascere, e penso nella quasi totalità delle esperienze scolastiche italiane, ogni possibilità di confronto, di ricerca e di valutazione di quelle esperienze che restano, e ne sono assolutamente convinto anche al di là delle vacue indicazioni contenute nei manuali, le sole che abbiano vera attinenza con la scuola reale, in quanto esse espressione del lavoro quotidianamente svolto all’interno delle aule. E riconosco amaramente che quell’accezione più alta della scuola è rimasta, per tutto il percorso della mia carriera scolastica, un lontano irraggiungibile miraggio.
“( … ) Solo all’Università ho studiato bene. A scuola invece mi impegnavo poco. La mia prima occupazione era evadere. Che cosa altro si può fare, se ci si sente in prigione?
Per mesi e per anni sempre la stessa aula, gli stessi compagni, nelle stesse ore. E sempre costretti ad ascoltare, ricevere e restituire le stesse nozioni uguali per tutti: Tutti insieme, nello stesso tempo e nello stesso luogo: In queste condizioni imparare non è solo noioso. E’ impossibile!
Studiare vuol dire appassionarsi (in latino, studium è un’applicazione piena di ardore). E la passione richiede una certa libertà, che la scuola non prevede.
( … ) Alcuni pensano invece che il punto dolente sia altrove. Nell’idea di società e di cultura che abbiamo e non abbiamo. E soprattutto nella cattiva preparazione degli insegnanti (ma chi insegnerà agli insegnanti?) e nel loro insufficiente impegno in un lavoro complesso e difficile, che richiede qualità specifiche e spiccate: immaginazione, coraggio, passione e capacità comunicativa.
In realtà il grande tabù della scuola è proprio la cosiddetta “prassi didattica”, il senso e gli effetti di quello che giorno per giorno avviene tra insegnanti e studenti: E’ il “che cosa“ e il “come“ dell’insegnamento, il che cosa vuol dire insegnare e (soprattutto) imparare in un certo momento della vita.
( … ) Perciò quello che conta è un’autentica “autoriforma”: trasformare le scuole in centri di ricerca didattica oltre che di trasmissione del sapere e mettere in grado gli insegnanti di agire come esseri pensanti, capaci di costruire e gestire da sé i modelli e le strategie del proprio lavoro.
Tutto questo è tabù. Se c’è una cosa della quale a scuola non si può discutere è la sostanza o la forma dell’insegnamento. Fra colleghi (brutta parola) parlarne sembra proibito. Ma ciò che rende aridi o falsamente camerateschi i rapporti fra colleghi è proprio questo silenzio.
Gli insegnanti hanno per lo più un sacro terrore che il loro cosiddetto o presunto “metodo” possa essere ridiscusso e magari, di volta in volta, adattato, modificato, con o senza riforma e ordini del Ministero.
( … ) Quasi tutte le cose che sappiamo davvero, abbiamo l’impressione di averle imparate dopo, fuori dalla scuola. ( … ) Non c’è cultura senza piacere mentale, non c’è studio senza passione. Altrimenti a scuola ci si ammala.(…)“
in dell'educare: |
|
dello stesso autore: |
|