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I fantasmi di Heidelberg
Mario Amato
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Il taccuino dalle pagine ingiallite sul quale lessi questa strana storia non riporta il nome del protagonista, perché il racconto è scritto in prima persona. Alcuni nomi sono illeggibili ed anche alcuni brani interi sono di difficile lettura. Del resto rinvenni il libretto d’appunti in una giornata di pioggia sulla riva del Neckar, a Heidelberg. Non so per quale ragione lo raccolsi. Della storia non ho cambiato nulla, se non il fatto di averlo trasposto alla terza persona.
Portai il quaderno nel mio albergo e, poiché la pioggia scrosciava con sempre maggiore intensità, iniziai a leggere. La vicenda risaliva a molti anni prima, narrava la storia di un uomo che tornava in questa bella cittadina dopo lungo tempo. Egli stesso si definiva amante della poesia e delle storie e mai avrebbe pensato di viverne una tanto straordinaria. Era anche amante dei viaggi, tanto che affermava di non poter resistere per più di qualche giorno in nessun luogo. La strada lo chiamava ed egli riprendeva il suo fagotto ed il suo prezioso taccuino e riprendeva il cammino, spesso senza alcuna meta, ma con l’intento di sostare nel primo luogo che lo affascinasse. Tali luoghi erano annotati in alto nella parte sinistra della pagina, ma non tutti potevano essere letti; l’uomo inoltre non usava una sola lingua, ma quella della nazione in cui si trovava mentre scriveva i suoi appunti sì che cambiava spesso anche il carattere della scrittura. Riuscii però a stabilire più o meno il secolo della vicenda narrata, ma lascio al lettore questa incombenza e proseguendo nella lettura egli comprenderà il perché.
Giunto a Heidelberg in una bella giornata di Aprile in prossimità della ricorrenza della Pasqua, il vagabondo –permettetemi di appellare il protagonista della storia in vari modi- iniziò a cercare una locanda ove soggiornare, ma alcune erano troppo costose per le sue modeste risorse economiche, altre avevano già tutte le camere occupate. Non era una fatica cercare un ostello, perché girovagare tra le strade e i vicoli era un modo di ricordare il tempo della giovinezza, tuttavia il tempo trascorreva e la sera già si avvicinava portando un vento freddo e pungente.
Infine nelle vicinanze dell’antico punto il girovago trovò un alberghetto sulla cui porta era scritto “Camere libere: 1”. Tirò soddisfatto il pennacchio della campanella, ma dovette aspettare alcuni minuti fino a quando una vecchia donna aprì il pesante portone. L’uomo comprese la ragione della sua attesa: di fronte alla porta si snodava una scala a chiocciola, male illuminata ed alquanto angusta. Alla domanda –ovviamente inutile- se avessero camere disponibili, la vecchia rispose in modo che si può definire sibillino “Abbiamo sempre una camera libera” e non si preoccupò di cambiare la scritta sulla porta.
A fatica ambedue, l’uomo e la vecchia donna, salirono fino al primo piano. Qui al viandante fu consegnata la chiave.
Fra i due corse il seguente dialogo: “Qual è il numero della stanza?” chiese l’uomo; “Le nostre stanze non sono contrassegnate da numeri, ma dal nome dello scrittore che vi ha abitato. La nostra è la più antica locanda della città”.
“Che strano che sia capitato qui” pensò il viaggiatore e presa la chiave si recò nella stanza. Spossato dal lungo cammino si gettò sul letto senza spogliarsi e, appena chiusi gli occhi, si addormentò. La pioggia continuava a battere insistentemente sui vetri e alla mezzanotte in punto il rumore del piovasco si confuse con i colpi dell’orologio a pendolo sito nel mezzanino e con un bussare alla porta, prima lieve, poi più forte. L’uomo si destò, ma forse non completamente, ed andò ad aprire. Gli apparve una figura vestita con abiti d’altri tempi, con in mano un foglio arrotolato e una penna d’oca nell’altra mano. L’apparizione parlò “Era da tempo che ti attendevamo. Vieni a fare una passeggiata”. È certamente difficile sapere per quale ragione l’ospite della locanda non replicò, ma si avviò con quello strano individuo fino al ponte.
Il signore così parlò “Guarda, la pioggia ha smesso, la luna viene a darti il benvenuto. Resta per sempre qui con noi e potrai vivere ogni notte l’incanto di quest’ora, come io lo vissi molto tempo fa”.
Lo scritto non dice se la conversazione proseguì, ma passa direttamente al resoconto del giorno successivo, trascorso completamente nelle vie della città a chiedersi se fosse stato un brutto sogno.
Ancora una volta stanco per il lungo girovagare il viandante, tornato nella sua stanza, s’addormentò, ma a mezzanotte qualcuno bussò ancora alla porta. Un signore con abiti non dissimili da quelli del visitatore della notte precedente ripeté l’invito “Resta con noi. In fondo tu sei un perdigiorno, ma la vita non è forse soltanto trascorrere il tempo”. L’uomo si svegliò, o forse era già sveglio, uscì dalla sua camera e bussò alla porta attigua. Una bella signora aprì ed egli chiese di poter scambiare poche parole, perché aveva fatto un incubo.
La terza notte giunse, indubbiamente a mezzanotte, un terzo signore, accompagnato però da un individuo spaventevole “Resta con noi, potrai sapere molte cose interrogando il mio amico”.
All’alba il girovago uscì ed era tentato di partire, ma anche quegli strani inviti lo affatturavano. Decise allora di trascorrere un’ultima notte. Forse non avrebbe più sognato.
A mezzanotte invece sentì ancora una volta i colpi alla porta. Questa volta era una bellissima signora “Resta con noi. Fui nella vita prima una principessa e poi una grande imperatrice, ma non ebbi la felicità. Ora sono tranquilla in questa piccola locanda. Potrai vedermi ogni notte.”
I raggi dell’alba entrarono a dare il buon giorno al vagabondo. Provvide alle abluzioni mattutine, si vestì, pagò il conto ed andò a riflettere su una panchina in riva al fiume.
Erano sogni? Era abitato da fantasmi l’albergo? Restare per sempre o fuggire?
Iniziò ad annotare l’accaduto sul suo taccuino, sul quale erano scritti anche versi di altri poeti, versi che egli amava e l’occhio andò su uno di essi, che parlava della meraviglia della vita. Si voltò verso la locanda, ma sentì nel suo animo che dall’altra parte la strada lo chiamava ancora e ancora…
aprile 2007
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