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I diritti della cultura e i rovesci della Siae
Enrico Galavotti
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Il mondo della scuola sa bene che gli ipertesti didattici e culturali offrono un valore aggiunto alla rete. Con un ipertesto critico, motivato, offerto a titolo gratuito, non solo non si violano i diritti patrimoniali degli eredi ma al contrario li si incrementano.
Più un dipinto viene commentato, esaminato da intellettuali ed esperti e più esso nei musei, nelle aste, nelle gallerie aumenta di valore.
Dovrebbero essere i docenti a fruire di royalties da parte degli eredi degli artisti.
Quanto paga un artista per essere presente in un catalogo, in una mostra, per avere una recensione da parte di un critico d'arte?
Con noi invece non paga nulla, anzi beneficia di pubblicità e sponsorizzazione praticamente a tempo illimitato in uno spazio illimitato per un pubblico illimitato.
Perché dobbiamo essere noi a pagargli i diritti d'autore quando non glieli pagherebbe neppure un giornalista che usasse le stesse immagini?
I nostri stessi ipertesti sono opere di ingegno creativo, eppure noi li mettiamo a disposizione di tutti. E in questo momento non siamo neppure protetti giuridicamente da chi volesse farne un uso commerciale senza chiedercene il permesso.
Dunque perché questo accanimento contro degli operatori che si vogliono muovere semplicemente per il bene della cultura e della formazione libera e pubblica?
Ha forse piacere un artista essere presente solo in un sito commerciale di arte in cui accanto al suo dipinto vi è una didascalia di poche righe e l'icona del carrello?
Vi sono alcuni che vorrebbero arrivare alla conclusione che nel nostro caso dovrebbe essere il Ministero della P.I. a pagare i diritti d'autore, magari in maniera forfettaria.
Io invece sostengo che i docenti dovrebbero fruire gratuitamente di una sorta di bollino Siae, che li tuteli dalla pirateria o da un uso improprio o lucrativo dei loro materiali, e anche dalla eventualità di denunce da parte di terzi, ivi incluse le Siae di altri paesi.
E' assurdo sostenere che i diritti vanno pagati da chi non trae alcun beneficio economico.
A meno che qualcuno non voglia sostenere che gli ad-sense di Google trasformano un sito da didattico a commerciale, ma allora dovremmo chiarirci sul significato della parola.
In rete i siti commerciali sono quelli che "vendono" beni (materiali o immateriali) e servizi, sono quelli che fanno B2C o B2B, sono quelli che hanno carrello e partita iva, sono quelli che hanno circuiti banner a pagamento, sono quelli intestati a persone giuridiche. Da me non c'è nulla
di tutto questo.
E comunque la Siae non fa differenza, se non negli importi dovuti, tra sito didattico e sito commerciale. Le loro tariffe parlano chiaro. Per cui d’ora in avanti è meglio stare attenti, almeno finché il governo non cambia la legge 633/1941.
9 febbraio 2007
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