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Riletture.
Riflessioni e brandelli di pensieri attorno all’Evento (titolo del redattore)
Aldo Ettore Quagliozzi
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Prologo
“( … ) E’ un fluido, l’Italia televisiva, in cui sono omogeneizzati ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una società che si è illusa di cambiare passando, per dirlo in una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra se stessa, nei ludi dell’etere, sperimentando ogni giorno la propria postmodernità e nascondendo dietro le quinte di una fiction e di un talk show i propri arcaismi.
In quello sconfinato presente che è l’orizzonte televisivo, anche gli italiani provano finalmente a essere eterni, sempre dalla parte dell’ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e conformi al tabù individuale e collettivo dell’assenza di tabù.
Appena spenta, la televisione ricomincia identica domani. E anche l’Italia, la post-Italia, domani riapre.“
Prima voce narrante
“Erano i giorni del Papa. Quello vecchio. E io stavo lì, come tutti, a seguire la grande messa in scena. La situazione, come si sa, inclinava a tutta una serie di sentimenti discordanti.
Ma con il passare delle ore iniziò a sembrarmi sempre più chiaro che non io in particolare, ma tutti, assolutamente tutti, stavamo per essere sopraffatti da un sentimento più forte degli altri, mica tanto confessabile, ma adamantino: il fastidio.
Eravamo tutti colpiti, vagamente commossi, ma soprattutto inesorabilmente infastiditi per quel che stava accadendo: e quello che stava accadendo non era che un papa moriva, no: quello che stava accadendo era una colata mediatica senza precedenti, un’invasione allucinante della mono-notizia papale, un distruttivo tsunami dell’informazione, anzi di una informazione.
Piaccia o no, la vera reazione che ha accomunato tutti, in quei giorni, credenti e laici, buoni e cattivi, è stata il pensare che si stava esagerando. Che davvero, tutto quello era troppo. ( … )“
Seconda voce narrante
“( … ) … intanto il grande racconto mediatico alluvionava qualsiasi spazio e tempo, partorendo a ritmo sempre più elevato domande senza risposte e paradossi logici.
Più erano le ore papali di televisione più si allungava la coda, da piazza San Pietro lungo il Tevere: comprensibilmente, perché ogni ora televisiva moltiplicava il mito.
E più si allungava la coda più si allungavano le ore papali in televisione: comprensibilmente, perché più lunga era la coda più la notizia diventava clamorosa.
Sì, ma qual era l’inizio di tutto: la tivù o la coda? Voglio dire: qual era la cosa vera? Cos’è che effettivamente era accaduto: che tanta gente era in coda, o che i media avevano messo su un mito? O tutt’e due? Mah.
E così passeggiavi lungo la grande coda, come allo zoo, cercando di capire. Con una domanda in testa: sarebbe una coda così lunga se non fosse una coda così lunga?
Voglio dire: quanti di quelli non sarebbero mai venuti se quella coda fosse stata una coda normale? Qual è il punto in cui la lunghezza naturale di una coda inizia a generare un gigantismo derivato dal suo essere un evento?
Dove iniziava la parte artificiale di tutto quello che stavamo vivendo? O anche: c’era ancora qualcosa, là dentro, che non fosse artificiale? O addirittura: non è che in questa follia stava morendo la distinzione tra naturale e artificiale? ( … )“
Terza voce narrante
“( … ) … se ne sentivano di tutti i colori. – Il papa è stato un rivoluzionario, ha rivoluzionato tutto ciò che ha toccato -, dice il ragazzotto intervistato in piazza San Pietro.
Così, d’acchito, nel grande sciroppo che dura da ore, ascolti e ti sembra sensato. Non ci fai caso. Però se ti capita di ripensarci, magari mentre fai altro, il giorno dopo, allora, d’improvviso, quel che ti chiedi è: ma che cavolo sta dicendo? Wojtyla, un rivoluzionario. Ma è vero?
La missione del papa era quella di regnare sulla Chiesa. Bene. Si può dire che in questo suo peculiare compito abbia rivoluzionato qualcosa?
Io ho fatto in tempo a vedere cosa significa rivoluzionare la Chiesa. Ero piccolo, ma me ne sono accorto quando hanno girato gli altari, quando i preti hanno iniziato a parlare la mia lingua, a dare l’ostia in mano e confessare la gente guardandola negli occhi.
Posso assicurare che quella sì era una rivoluzione. ( … )“
Quarta voce narrante
“( … ) Non ce l’ho con il ragazzo di Piazza San Pietro. Ce l’ho con il modo di fare: se una battuta è coerente alla sceneggiatura (Karol il grande)poco importa se è demenziale: diventa sensata, e legittima. Con tanti saluti al confronto con la realtà.
Con lo stesso spirito milioni di persone hanno assistito alla scena madre dell’Imperatore che si inginocchia davanti al Papa.
Due generazioni di Bush –gente che considera la guerra un modo di fare la politica, e regolarmente la pratica– si inginocchiano davanti a un uomo che ha detto senza sfumature, e a nome di Dio, che la guerra è il male assoluto. Non una cosa da evitare, o una specie di marachella: il male assoluto.
Se in quei giorni avessimo conservato anche solo una briciola di senso del reale, la scena ci sarebbe parsa vertiginosamente assurda. Completamente scissa dalla realtà delle cose.
Era una scena impossibile. Ma come scena del Grande Film ci è perfino piaciuta. Eravamo commossi. Spaventoso, a ben pensarci. ( … )“
Quinta voce narrante
“( … ) … un giorno mio figlio, sei anni, mi chiede, sintetico: -Ma perché ti emozioni se tanto non credi che Dio esiste-?
Non vorrei creare delle illusioni: i bambini sono ignoranti e dicono un sacco di boiate. Però qualche volta hanno il dono della sintesi. E vedono le cose da un’angolatura assurda, e quindi privilegiata.
Per giorni mio figlio, a cui è toccata in sorte una famiglia laica, si deve esser chiesto come mai fosse così importante quel che aveva detto e fatto un uomo che, a quanto gli risultava, era uno che credeva nel Grande Cocomero.
Giro la domanda all’intelligentsia laica. Io, lì per lì, ho solo trovato questa risposta: -Che c’entra? Anche tu ti emozioni per Spiderman, ma mica credi che esista!-
E mentre lo dicevo, capivo che era un segno di resa, era l’ammissione dello svacco planetario, la tardiva spiegazione di tutto ciò che era accaduto intorno a noi per giorni… ( … )“
Sesta voce narrante
“( … ) Probabilmente la faccenda è più complessa: ma resto dell’idea che negli ultimi anni, in almeno due occasioni, il sistema di equilibrio tra realtà e narrazione della realtà è andato in tilt, ha avuto come un’ischemia: quando quei due aerei sono entrati nelle Twin Towers, sullo sfondo di quel blu assolato newyorkese, e quando milioni di persone hanno fatto code di ore per andare a fotografare, col telefonino, il cadavere del Papa.
Un’ischemia, dico: per un attimo non c’era più niente, non c’era differenza fra realtà e racconto, originale e copia, contenuto e messaggio.
Non c’era origine e scopo, ma solo evento. Poi il corpo si riprende, ed eccoci qui a ragionarci su. Ma in quel momento: tutto nero e basta. ( … )“
Settima voce narrante
“( … ) Mentre il Papa moriva in quel modo là, a me è venuta una voglia illogica di cose vere: qualcosa che avesse la stabilità pietrosa delle cose vere.
Mi è venuto da entrare in una chiesa, qualunque, una chiesa che nessuno stesse raccontando, e guardarla, e appurare che esistesse ancora.
Ho anche pensato che, in certo modo, c’era un grande bisogno che qualcuno lo facesse, a nome di tutti: si defilasse dal Grande Racconto e facesse un pellegrinaggio alle cose vere.
Mica per capire chissà che: solo per una norma igienica, per risciacquare la mente, per ripristinare un certo equilibrio ecologico nell’indice del mondo. ( … )“
Ottava voce narrante
“( … ) … sono stato affascinato dalle liturgie vaticane. Alcuni simboli mi sono sembrati stupendi: penso a quel vangelo deposto sulla bara di Giovanni Paolo II e al vento che lo ha sfogliato, quasi leggendolo; e poi lo ha chiuso, come a dirci. adesso tocca a voi.
E mi ha commosso, questa volta dal punto di vista estetico, anche qualche elemento più propriamente profano: la solennità delle processioni e di nuovo il vento che scompigliava le vesti rosse dei cardinali, come di certi personaggi del Pontormo.
Riscoprivo, ancora una volta, la raffinatezza della cultura cattolica europea, la capacità tutta "romana" di avere assorbito usi e costumi da molte civiltà e di averne fatto un corpus unitario di straordinaria efficacia, tale da portare l'animo dei piccoli a un deliziato stupore, così come l'oro di certe chiese barocche che alle inquietudini dei cuori in ricerca risponde: guarda quanto è grande la gloria del Signore, abbandònati ad essa, senza resistere né dubitare.
Ma d'un tratto per me l'incanto si è rotto. I diaconi stavano leggendo il vangelo della messa di insediamento e papa Ratzinger, il bel volto assorto, stava in piedi, eretto, ascoltando.
La sua mitria era dorata, dorato il suo splendido piviale e d'oro (o pareva) la croce astile che reggeva con la destra.
All'improvviso ho pensato: sembra l'El Dorado, il mitico re amerindio invano ricercato dai conquistadores assatanati dalla fame di ricchezza; e disposti per trovare la sua città lastricata d'oro a torturare ferocemente e uccidere, come testimonia Bartolomé de las Casas, migliaia e migliaia di innocenti.
E mi sono domandato: ma Gesù di Nazaret è qui? ( … ) Io non ho risposta a questo interrogativo se non, per così dire, "laterale", nel senso che so bene dove ho sentito presente, con assoluta certezza, il Signore che i cristiani invocano.
Eravamo, Clotilde ed io, con un gruppo di amici, in Brasile, a Recife, e una domenica fummo invitati a partecipare alla liturgia di una comunità cattolica poverissima, quella del barrio (=quartiere) di Nossa Senhora de Conceipcâo.
Era una delle tante parrocchie su cui si era abbattuto il furore del successore di dom Helder Camara, convinto che dom Helder avesse seminato eresie e comunismo.
Un sacerdote che era (ed è tuttora) consulente liturgico della Conferenza dei vescovi brasiliani evangelizzava i 20 mila favelados in maniera che a Sua Eccellenza l'arcivescovo José Cardoso Sobrinho sembrava sovversiva.
Il sacerdote era stato rimosso, nella baraccopoli costruito, a tempi di record, con enormi spese, un santuario mariano.
L'arcivescovo aveva ordinato la chiusura della baracca in cui i fedeli da anni si radunavano per la messa. La favela non si era arresa: il nuovo parroco aveva dovuto fare il suo ingresso protetto da un centinaio di poliziotti.
Il santuario, per impulso dell'arcivescovo, era divenuto meta di pellegrinaggi, ma nessun favelado vi era mai entrato. La chiesa-baracca continuava a funzionare da cappella; il mercoledì e la domenica la gente continuava a radunarsi per un "servizio della Parola", diretto da uomini e donne formati, negli anni precedenti, dai "laboratorî" teologici di dom Helder.
Si leggeva e si meditava la Bibbia; si cantava, si pregava. Poiché non v'era più sacerdote, non si poteva celebrare la messa ma, ci spiegò una giovane, "elemosiniamo l'eucarestia da preti che sono solidali con noi".
In altri termini, v'erano sacerdoti che donavano alla favela ostie consacrate. La mattina in cui partecipammo al rito, l'assemblea era presieduta da una donna e da un uomo, Roberta e Reginaldo, vestiti di una tunica verde.
Raccontarono di avere visitato recentemente altre comunità cristiane in favelas anche più povere della loro (impossibile per noi immaginarle) e di averne tratto grandi speranze per l'impegno generoso di tante e tante persone che lottavano per ottenere, per sé e per gli altri, giustizia e dignità. Roberta predicò dicendo che nessuno deve vergognarsi della propria origine e condizione. La gente può cambiare la propria sorte; non è vero, disse, che la favela condanni inesorabilmente alla prostituzione, all'emarginazione.
"Insieme possiamo cambiare il nostro destino con l'aiuto del Signore; e quando cambiamo il nostro destino, cambiamo anche il mondo". Poi la gente cominciò a cantare: "Dalla Bibbia che vive nel popolo nasce un mondo nuovo…". E cantava, suonando lietamente tamburi e muovendo passi di danza: ( … ).
Mi guardavo intorno e vedevo bambini dai grandi occhi, donne che sembravano vecchie e avevano poco più di quarant'anni, uomini dal volto scavato, madri giovanissime, piedi nudi; e baracche di cartone e di latta e canaletti fognari a cielo aperto, "Um mundo de luz"?
Che la nostra santa Chiesa, pregai, li aiuti in questa ricerca e lotta. Ma improvvisamente una specie di muggito, altissimo, si distese sulla favela.
Da due altoparlanti posti sul campanile, il parroco del santuario bombardava la "messa dei poveri" con la registrazione di un rosario, a un milione di decibel.
"Tutte le volte così" mi disse scuotendo il capo con compassione un anziano che stava su una sedia a rotelle. ( … )“
N.d.r.
La voce fuori-campo del prologo è di Edmondo Berselli nel volume “Post Italiani“. Le prime sette voci hanno narrato le loro sensazioni e le cose straordinarie viste nel bellissimo scritto di Alessandro Baricco “Anch’io ero a San Pietro e mi chiedo perché“, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica“ del giorno 30 di aprile dell’anno del signore 2005; l’ottava voce narrante ha narrato la sua esperienza nella “Lettera 107“ scritta nel mese di aprile dal giornalista-scrittore Ettore Masina.
maggio 2005
in attualità/discussione:           |
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