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L'orologio
Anna Pizzuti
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Ci sono tre argomenti di cui si è discusso che sembrano separati, ma, secondo me non lo sono. Li accomuna l'immagine dell'orologio, alla quale, direttamente o indirettamente rimandano.
I doposcuola che ricordava Antonio sono quelli dai quali è nata la risposta alla "Lettera a una professoressa" e sono diventati modello del tempo pieno e prolungato: un modo diverso di usare il tempo, di collegarlo non tanto alla quantità, ma alla qualità.
Certo che, al fondo, c'era un'idea totalizzante di scuola, del tempo scuola, dentro il quale si dovevano riportare le mille libertà del fuori. Le libertà positive da rendere comuni e da distribuire anche a chi non poteva permettersele, quelle negative (andare a perdersi per strada) da combattere; mancavano quelle neutre, cioè quelle legate a perderlo, il tempo, a non fare nulla, a -sanamente- annoiarsi. Ma a questo, allora, non pensavamo. E non è stata una illusione: chi ci ha creduto veramente è riuscito a fare in modo che le aule fredde e buie, i cortili squallidi di quei tempi, diventassero scenari per mille avventure. Si riempissero anche loro.
Io ci sono arrivata tardi, quando i tempi eroici erano già passati, ed ho avuto la fortuna di poter imparare molto, sia quando ho trovato classi difficili, di ragazzini provenienti da famiglie che nel tempo prolungato vedevano una risorsa non da poco (non mi va di chiamarlo "parcheggio" come allora si diceva) sia quando le classi erano reattive e disponibili.
È stato in quegli anni, comunque, che ho imparato ad usare l'orologio a scuola: mi occorreva per controllare che il tempo e i tempi fossero equilibrati, coordinati, ma anche e soprattutto, pieni, perché il caos non prendesse il sopravvento.
Da allora l'orologio è stato un punto di riferimento costante, la struttura portante, il simbolo dell'organizzazione. Forse taylorista (non è il tempo uno dei fondamenti del taylorismo?) forse no.
Perché con l'altro tempo, quello, per intenderci, della programmazione, della scansione del curricolo -fossero unità didattiche, fossero moduli- ci ho sempre litigato, non sono mai riuscita a dominarlo e mi è sempre sembrato una prigione, nonostante le libertà "distributive" che ci venivano concesse. Tanto che anche quello "prolungato" mi sembrava poco.
Immagino che tutti noi consideriamo un grande riconoscimento -la vera valutazione- sentire i ragazzi dire "già!" quando suona la campanella, sentire che siamo riusciti a non fargli pesare il tempo.
Ma una spirale perversa ad un certo punto si è innescata: non so se sia stato il fuori, o siamo stati noi dentro, fatto sta che la tentazione di accorciare sempre più il tempo della scuola è diventato il nodo centrale -il punto rispecchiante del tutto- che la riforma moratti ha colto. Un punto che è ben diverso, secondo me, dal taglio di un anno che operava la legge 30. Positivo o negativo che fosse, questo rispondeva comunque ad una analisi dei tempi di crescita dei ragazzi e del più o meno coincidente tempo/ciclo della scuola; la frantumazione del tempo e la sua riduzione, da parte della riforma moratti coincide, invece, secondo me, con la frammentazione complessiva della società.
È la risposta alienata (nel senso vero della parola) ad una alienazione -quella di oggi- che è l'opposto di quella provocata dal taylorismo: alienazione per deframmentazione, non per rigidità strutturale.
Quando sono passata alle superiori, intese, nel mio caso, come istruzione professionale, ho trovato l'area di approfondimento,che prevedeva rientri pomeridiani. Molto bello, per me: continuità con l'esperienza precedente.
Anche nelle intenzioni del legislatore, dato il tipo di utenza di questi istituti che tutti conosciamo.
Anche questo tempo mi è sembrato risorsa da usare e stimolo alla creatività. E i ragazzi lo accettavano tranquillamente. debbo dire che provavo un piacere vivissimo quando constatavo che a volte la scuola era più piena nel pomeriggio che al mattino. E i ragazzi si sentivano più liberi, perché l'allungamento del tempo coincideva anche con un uso diverso dello spazio (a scuola la relazione tra tempo e spazio, nella scuola, è, per me, determinante).
Negli ultimi anni, invece, questa, diciamo così, armonia, è diventata
sempre più difficile.
La riforma Moratti esalta questa tendenza, in due modi diversi e coincidenti: da una parte sostenendo il familismo amorale, becero, che Gemma mette in evidenza, dall'altra favorendo lo sprofondamento dei ragazzi più deboli verso il tempo vuoto di scuola (ma l'avete letta l'ultima bozza di decreto per il secondo ciclo? In pratica è emanazione diretta della legge Biagi, altro che aziendalismo berlingueriano).
Del resto, meno stanno i ragazzi a scuola, più prede ci sono in giro, per ogni tipo di caccia.
Ma la scuola non è il bene assoluto, naturalmente. E se deve essere tedio e noia, è naturale che il desiderio di ridimensionarne il tempo può avere una valenza positiva.
Per le strade del mondo,, io proprio questo andrei oggi a cercare: un modello di scuola dai tempi naturali, coordinati però con gli spazi. Con il loro uso, dico.
E non sto parlando di scuola per l'infanzia o elementare, dove, suppongo, questo avviene. Sto parlando anche, e soprattutto, di scuola superiore. Per il tempo, vorrei che non fosse più quello dell'orologio, ma il tempo delle cose (volutamente non sto dicendo delle persone, ma la spiegazione sarebbe lunga), per lo spazio, vorrei che fosse ugualmente rispondente alle cose che si fanno. Non sto ponendo un problema di edilizia scolastica, ma proprio di uso diverso anche dello spazio che già abbiamo, per quanto poco.
Quando ho cominciato a scrivere avevo chiaro il collegamento di questo discorso anche con i test invalsi. Io capisco perfettamente perché Antonio, alla fine, sia dispiaciuto nel vedere qualcosa in cui aveva creduto -quella che lui chiama pedagogia scientifica- svilita dal carrozzone invalsi.
Nella scientificità dei test o nella ridicolaggine invalsi il tempo ha, comunque, una grande importanza. È esplicitato nella costruzione della prova. Su questo discuto continuamente con i miei alunni, quasi ad ogni prova -test o altro- ma qui rimando le considerazioni a qualche altro intervento, considerata la lunghezza di questo messaggio.
Vorrei però dire, chiudendo, che di tutte le lotte all'invalsi che vado facendo da due anni, l'unica che assolutamente non accetto è l'imbroglio.
L'opposizione deve essere scientifica e didattica e politica. Tanto che a scuola mia, l'unica a vigilare fortemente che imbrogli non ci fossero, sono stata io: l'unica, in collegio, a votare contro l'adesione al progetto.
E comunque una approfondita analisi delle prove mi fa essere d'accordo con quello che ha scritto qualcuno, che cioè non sia nemmeno tanto possibile, in alcuni casi, indovinare la risposta giusta. perché proprio non c'è.
27 aprile 2005
in scuola "extra moenia":           |
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